Elogio del ’68 quando avere 16 anni era un’avventura oggi

I ragazzi di “Après mai” di Assayas e quelli senza speranze di “Acciaio” 

I ragazzi di “Après mai” di Assayas e quelli senza speranze di “Acciaio” 

VENEZIA. Storia di un altro secolo, ma non è solo il tempo a renderla lontana, piuttosto il ricordo di come ci si immaginava allora il futuro, che poi si è rivelato completamente diverso da ogni speranza e da ogni certezza di allora. Essere giovani quarant’anni fa, essere giovani oggi, figli o addirittura nipoti di quei ragazzi che, diventati adulti, si sono loro stessi dimenticati, cancellati, omologati al nemico, quello che la rivoluzione avrebbe dovuto distruggere. Due mondi separati, inconciliabili, lo ieri e l’oggi, sconosciuti uno all’altro: avere 16 anni nel 1971, essere liceali della borghesia, con il culto della giovinezza al potere, come in
Après mai il bel film del francese Olivier Assayas, in concorso; averli oggi, in una famiglia operaia di Piombino, occupata dalla grande acciaieria, come in Acciaio di Stefano Mordini tratto dal bestseller di Silvia Avallone (Giornate degli Autori); oppure, essere ancora adolescenti e già vittime della vita senza sbocchi e dalla camorra, come ne L’intervallo di Leonardo di Costanzo, (Orizzonti).
Assayas, che oggi ha 57 anni ed è uno dei cineautori francesi più apprezzati, era allora uno studente parigino che, come il protagonista del film, voleva diventare un pittore e intanto partecipava al caos, alla disinvoltura sessuale, al sogno di totale libertà, alle illusioni, e agli errori, di una parte della sua generazione. «Ci sono troppi fraintendimenti su quel periodo, che spesso viene ridicolizzato, oppure demonizzato, o ancora peggio, ricordato solo per la sua estetica, la moda poverista, le canzoni, la droga» dice il regista: «Io vorrei che gli spettatori giovani di oggi ne capissero la complessità, l’entusiasmo, i tanti vicoli ciechi che portarono poi al ritorno all’ordine o al terrorismo; e soprattutto come le nostre vite fossero impregnate di politica, di cultura, di libri e d’arte, come per noi contassero le idee, e il nostro linguaggio quotidiano comprendesse Marcuse o Deleuze, il marxismo e Mao, e le nostre giornate il dibattito, la riflessione, l’assemblea, lo scontro con la polizia, il volantinaggio, il ciclostile, la cancellazione degli adulti».
Il film inizia con la manifestazione, proibita, del 9 febbraio 1971 a Parigi, organizzata da Soccorso Rosso: le brigate speciali della polizia comprendono i “voltigeurs”, agenti in moto il cui passeggero manganella forsennatamente chiunque abbia l’aria giovane. Si studiano sommosse e rivendicazioni, l’ultrasinistra attacca naturalmente il partito comunista (francese) ma per Gilles c’è anche il tempo di far l’amore con la sua bellissima eterea ragazza del tipo malinconico che piaceva allora. Innamorarsi e fare coppia non è previsto dalla rivoluzione, e per non finire in galera ci si disperde, si va in Italia. Dove abbondano i collettivi internazionali, nei giardini delle ville dei ricchi disprezzati, invisibili genitori: c’è chi andrà in India, chi si dedicherà alle danze rituali, chi porterà aiuto alle lotte operaie che però non ne vogliono sapere, tutto è controcultura autogestita. Si fuma hashish, si creano comuni, si girano film marginali sulle vittorie dei popoli in lotta che nessuna va a vedere, ci si fa di eroina, si sostiene la free press, si prova Lsd, si fa l’amore, ci si suicida. Arrivano notizie luttuose sulla tanto ammirata Rivoluzione Culturale cinese, mentre a decidere del futuro del mondo pare che siano solo i maschi, perché le donne rivoluzionarie devono comunque fare la spesa e da mangiare e lavare i piatti. Per forza nascono i collettivi femministi. Tutto poi si sfalda in pochi mesi, e chi non è passato alla clandestinità, capisce che la vacanza dalla realtà è finita, che la giovinezza sta sfuggendo, che bisogna rientrare nei ranghi, affrontare la vita. E Gilles sceglie il cinema, e va a Londra, oscuro apprendista per un film non sperimentale, non militante, non rivoluzionario, che racconterà di una guerra tra animali preistorici e nazisti.
Gli attori scelti da Assayas sono sconosciuti e forse per questo le loro facce aderiscono ai personaggi d’epoca.
Après mai si accoda a quelli che potrebbero vincere il Leone d’Oro, soprattutto per la dolcezza senza nostalgia con cui riesce a dare l ritratto di una giovinezza oggi impossibile. Allora per Gilles e i suoi amici il denaro non contava nulla perché l’avevano le loro famiglie, oggi ragazze come le studentesse Francesca, e Anna, ma anche la più adulta Elena e il giovane operaio Alessio di Acciaio, sognano ciò che il denaro, che non hanno, può procurare, e hanno disimparato a pensare che il loro futuro sarà diverso, che saranno loro i protagonisti del cambiamento. Nel romanzo l’operaio Alessio vota Berlusconi, mentre sua madre è di Rifondazione, il che segnala il cambiamento non solo ideologico tra due generazioni: ma il film ha soppresso ogni accenno politico, puntando sulla fatica di crescere, di diventare adulte delle due ragazzine, nel vuoto di un tempo, di un luogo, di una condizione sociale, di un distacco dalla cultura politica che limiterà i loro sogni e la loro vita.

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