Il manichino che raffigura Sergio Marchionne suicida esposto davanti allo stabilimento Fiat di Pomigliano

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Fiat, cinque licenziati per il manichino

Il manichino che raffigura Sergio Marchionne suicida esposto davanti allo stabilimento Fiat di Pomigliano

Il manichino che raffigura Sergio Marchionne suicida esposto davanti allo stabilimento Fiat di Pomigliano

Hanno bloc­cato per due ore ieri i var­chi del Fiat di Pomi­gliano, i cas­sain­te­grati del Wcl di Nola, il reparto logi­stico del Lin­gotto mai entrato in fun­zione dove nel 2008 ven­nero dislo­cati 316 lavo­ra­tori. Pro­te­sta­vano per i 5 col­le­ghi a cui mar­tedì è arri­vata la let­tera di licen­zia­mento: 4 del Wcl e 1 del Vico, Dome­nico Mignano, già licen­ziato due volte e in causa con l’azienda. Ave­vano por­tato le imma­gini di Maria Baratto, ope­raia del reparto di Nola morta sui­cida lo scorso mag­gio, di Giu­seppe De Cre­scenzo, altro ope­raio di Nola sui­ci­da­tosi a feb­braio, e di Vin­cenzo Espo­sito Moce­rino, ope­raio della Devi­zia, ditta di puli­zie al Giam­bat­ti­sta Vico, morto in fab­brica cadendo in una vasca in disuso.

Al Lin­gotto non sono andate giù le pro­te­ste dopo il sui­ci­dio di Maria Baratto, con­te­sta ai lavo­ra­tori «atti maca­bri, gra­vis­simi e inau­diti»: il 5 giu­gno hanno messo in scena, davanti ai can­celli di Nola e della sede Rai di Napoli, l’impiccagione di un mani­chino con la foto di Mar­chionne sul viso, al collo il testa­mento con le scuse per le morti pro­vo­cate. Il 10, all’ingresso 2 del Vico, il mani­chino è in un baule con lumini. La let­tera di licen­zia­mento recita: «Con­si­de­rata la gra­vità degli adde­biti che le sono stati mossi, le evi­den­ziamo che gli stessi, oltre a inte­grare un’intollerabile inci­ta­mento alla vio­lenza, costi­tui­scono una palese vio­la­zione dei più ele­men­tari doveri discen­denti dal rap­porto di lavoro e hanno pro­vo­cato gra­vis­simo nocu­mento morale all’azienda e al suo ver­tice societario».

«Siamo col­pe­voli di aver denun­ciato i sui­cidi in Fiat e i 6 anni di cassa inte­gra­zione con soldi pub­blici – ribat­tono gli ope­rai – Siamo col­pe­voli di aver sma­sche­rato il reparto fan­ta­sma di Nola, 4 mila metri qua­drati dove non si pro­duce nulla. Chie­de­remo il rein­te­gro per com­por­ta­mento anti­sin­da­cale». Per­ce­pi­scono 7–800 euro al mese, età media 50 anni, con ridotte capa­cità lavo­ra­tive o ade­renti a sin­da­cati di base: «Con la disoc­cu­pa­zione nei pros­simi 2 anni pren­de­remmo di più, tanto il Wcl non andrà avanti a lungo. Noi siamo la prova gene­rale di quello che potrebbe capi­tare al Vico, dove l’azienda ha messo tutti in ferie per quat­tro set­ti­mane dal 28 luglio. Evi­den­te­mente non ci sono molte richie­ste per la Panda. Depo­si­te­remo una denun­cia: tra il 2003 e il 2007 sono spa­riti 2 milioni di euro pub­blici, finiti nelle tasche di qual­cuno anzi­ché in inve­sti­menti. È ora di smet­terla di gio­care sulla pelle dei lavoratori».

La Fiom ha defi­nito i licen­zia­menti un prov­ve­di­mento ecces­sivo: «La Fiat avrebbe dovuto tener conto dello stato d’animo dei lavo­ra­tori del polo logi­stico di Nola per i tre sui­cidi di col­le­ghi e per il con­ti­nuo ricorso agli ammor­tiz­za­tori sociali senza una vera pro­spet­tiva di rien­tro». La situa­zione non è rosea nep­pure dove si pro­duce: nei seg­menti B e C del Vico si appli­cano i con­tratti di soli­da­rietà, nel seg­mento A gli ope­rai sfor­nano Panda a ritmi for­sen­nati, 69 a dipen­dente, la media più alta del gruppo (a Tychy in Polo­nia è di 63). Se ne spre­mono 2 mila e si lasciano gli altri fuori.

Con i licen­zia­menti del Wcl, spiega Roberto Pessi (docente di Diritto del lavoro della Luiss), «si apre un con­ten­zioso desti­nato a fare sto­ria, a chia­rire qual è il limite dei com­por­ta­menti che, nel rispetto della libertà d’espressione, si pos­sono assu­mere nelle mani­fe­sta­zioni sin­da­cali». Pessi sot­to­li­nea che, se la bara e l’impiccagione non sem­brano coe­renti coi valori costi­tu­zio­nali, «siamo difronte a un’azienda, la Fiat, che già negli anni ‘50 licen­ziò un lavo­ra­tore per­ché iscritto al sin­da­cato, teo­riz­zando che i diritti sin­da­cali vale­vano fuori e non den­tro la fab­brica. Ne licen­ziò 52 negli anni ‘70 per­ché sospet­tati di essere bri­ga­ti­sti e poi gli epi­sodi di Melfi e Pomi­gliano. In Fiat c’è anche un ‘sin­go­lare’ sin­da­cato auto­nomo, accu­sato da più parti di essere azien­da­li­sta. Insomma – con­clude – c’è tutta una linea di com­por­ta­mento che si muove sull’idea dell’inutilità dei corpi inter­medi e dun­que dei sindacati».

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