Fuga dall’austerità

Eurolandia. «Il Minotauro Globale» è un saggio di macroeconomia marxista del ministro greco per le finanze Yannis Varoufakis. Vi analizza le origini della crisi e la nascita della speculazione come unico modello, dall’America all’Ue

Nulla ci rende umani quanto l’aporia: quello stato di intenso diso­rien­ta­mento in cui ci tro­viamo quando le nostre cer­tezze vanno a pezzi». Così ini­zia il libro di Yanis Varou­fa­kis, Il Mino­tauro Glo­bale (Aste­rios Edi­tore, tra­du­zione di Piero Budi­nich, Trie­ste 2015). Il mini­stro delle finanze greco si rife­ri­sce al set­tem­bre del 2008, i giorni della crisi della Leh­man Bro­thers e di un’intera epoca, quella del capi­ta­li­smo finan­zia­rio. Ma lo stato di apo­ria non si è certo dis­solto, lo stiamo vivendo in que­sti giorni di nego­zia­zione tra la Gre­cia e l’Unione euro­pea, giorni di «guer­ri­glia seman­tica» se non fosse per la posta in gioco, la con­qui­sta di un mar­gine di tempo per avviare quel pro­cesso di rico­stru­zione interno di cui il popolo greco ha dram­ma­ti­ca­mente biso­gno. Di cui tutti noi abbiamo biso­gno, se è vero che l’esperimento Syriza, quell’essere «den­tro e con­tro» il sistema mone­ta­rio e finan­zia­rio euro­peo, rap­pre­senta il primo ten­ta­tivo di «ver­ti­ca­liz­zare» i movi­menti, di far tran­si­tare biso­gni, riven­di­ca­zioni, aspi­ra­zioni dai luo­ghi con­creti e sof­ferti in cui si espri­mono all’unico piano isti­tu­zio­nale ade­guato, quello euro­peo in cui si gioca la par­tita deci­siva. Vec­chia tat­tica per una nuova stra­te­gia, e l’avvio, per quanto este­nuante, convince.
Il Mino­tauro Glo­bale è un sag­gio di macroe­co­no­mia mar­xi­sta, scritto per essere letto oltre gli ambienti acca­de­mici, risul­tato di un lungo per­corso ini­ziato con l’economista Joseph Halevi con un primo arti­colo pub­bli­cato nel 2003 dalla Mon­thly Review, poi con­fluito, con la col­la­bo­ra­zione di Nicho­las Theo­ca­ra­kis, in un libro acca­de­mico inti­to­lato Modern Poli­ti­cal Eco­no­mics. Varou­fa­kis cerca di rispon­dere alla domanda «cosa è real­mente acca­duto?», ponendo al cen­tro della sua ana­lisi lo squi­li­brio fon­da­men­tale che ha deter­mi­nato, sto­ri­ca­mente, forme diverse di gover­na­men­ta­lità geopolitico-finanziaria. «La mia rispo­sta evo­ca­tiva è: il crack del 2008 ha avuto luogo quando un ani­male chia­mato il Mino­tauro glo­bale è stato ferito in maniera fatale. Fin­ché gover­nava il pia­neta, il suo pugno di ferro era impla­ca­bile, il suo domi­nio spietato».

Il Mino­tauro della nostra epoca prende forma a par­tire dal 1971 e ha un nome pre­ciso: si tratta dei defi­cit gemelli sta­tu­ni­tensi, quello del bilan­cio del governo Usa e il defi­cit com­mer­ciale dell’economia ame­ri­cana, defi­cit che si erano andati accu­mu­lando verso la fine degli anni ses­santa col venir meno delle ecce­denze com­mer­ciali (espor­ta­zioni) ame­ri­cane e con la cre­scita delle eco­no­mie tede­sca e giap­po­nese. Invece di ridurre i defi­cit gemelli, nel corso degli anni set­tanta gli Stati Uniti deci­sero di tra­sfor­marli in una immensa aspi­ra­pol­vere tale da assor­bire i capi­tali pro­ve­nienti dal resto del mondo.
Attra­verso que­sto pri­sma, que­sta chiave di let­tura, scrive l’Autore, «tutto sem­bra più moti­vato: l’ascesa della finan­zia­riz­za­zione, il trionfo dell’avidità, la dimi­nuita impor­tanza degli orga­ni­smi di rego­la­men­ta­zione, l’egemonia del modello di cre­scita anglo-celtico. Tutti i feno­meni che hanno carat­te­riz­zato quell’epoca improv­vi­sa­mente appa­iono come meri sot­to­pro­dotti dei mas­sicci afflussi di capi­tale per ali­men­tare i defi­cit gemelli degli Stati Uniti», per nutrire il Minotauro.

Varou­fa­kis svi­luppa que­sta tesi con molta intel­li­genza e ele­ganza lungo tutto il suo libro, pas­sando dagli anni cin­quanta del Piano glo­bale all’epoca della finan­zia­riz­za­zione, dal for­di­smo al post-fordismo, svi­sce­rando tutti gli arcani «tec­nici» della crisi del 2008 e i suoi effetti deva­stanti sull’Europa. Non è irri­le­vante osser­vare che nel pieno della crisi, già a par­tire dal 2009, sulle pagine del Finan­cial Times e anche di gior­nali come l’Eco­no­mist abbiamo avuto modo di leg­gere ana­lisi simili alla sua. Si pensi solo agli arti­coli di Mar­tin Wolf, cer­ta­mente non mar­xi­sta, ma tra i più con­vinti soste­ni­tori della tesi dello squi­li­brio fon­da­men­tale.
In una nota finale, Varou­fa­kis scrive: «Dal momento che il Mino­tauro è stato abbat­tuto dalla crisi del 2008, tutti ora rico­no­scono che gli squi­li­bri glo­bali sono un pro­blema – sia a livello inter­na­zio­nale (sur­plus della Cina nei con­fronti degli Stati Uniti e dell’Europa), sia in Europa (sur­plus della Ger­ma­nia nei con­fronti del resto dell’eurozona». Ma, appunto, ci è voluta una crisi sto­rica per illu­mi­nare la notte. E non sem­bra bastare.

Il rom­pi­capo reale
Ora, cosa suc­cede «quando il despota oppres­sore si ammala e le ancelle pren­dono il comando?». È il pro­blema, oggi, dell’Europa e, per quanto riguarda l’Asia, della Cina.
La crisi per­si­ste e è desti­nata a durare per­ché manca un mec­ca­ni­smo di rici­clo delle ecce­denze nel cuore di euro­lan­dia. In assenza di tale mec­ca­ni­smo, lo squi­li­brio tra eco­no­mie in sur­plus e paesi in defi­cit viene gestito con inie­zione di liqui­dità da parte della Bce che però non sgoc­ciola nelle eco­no­mie reali in disa­vanzo, ma ali­men­tano il cir­cuito finan­zia­rio della speculazione.

Le misure d’austerità, inol­tre, non ridu­cono cer­ta­mente gli squi­li­bri, ma li acui­scono, depri­mendo la cre­scita e aggra­vando la povertà. La lotta della Gre­cia per intac­care que­sto squi­li­brio e l’assenza di una poli­tica mone­ta­ria con una Bce che funga da vera banca cen­trale, ruota attorno a que­sto rom­pi­capo. È l’epilogo del libro di Varou­fa­kis.
Su scala inter­na­zio­nale lo squi­li­brio fon­da­men­tale non sem­bra aver ancora col­pito a morte il Mino­tauro. Oggi l’Europa ha un sur­plus com­mer­ciale trai­nato dalle espor­ta­zioni soprat­tutto tede­sche (verso gli Usa, ma anche verso la Cina e la Rus­sia). La Cina, sep­pur in per­dita di velo­cità, con­ti­nua comun­que ad espor­tare più di quanto importa. Ma, soprat­tutto, que­sti paesi, invece di inve­stire al loro interno, con­ti­nuano a pre­fe­rire gli inve­sti­menti spe­cu­la­tivi dei loro risparmi all’estero, e gli Stati Uniti sem­brano aver risco­perto il gioco dell’aspirapolvere.

Riprese fit­ti­zie
Lo squi­li­brio fon­da­men­tale, almeno nel medio periodo, è desti­nato a raf­for­zarsi a causa di poli­ti­che mone­ta­rie diver­genti da una parte e dall’altra dell’Atlantico, con gli Stati Uniti pro­iet­tati verso l’aumento dei tassi di inte­resse (e quindi un raf­for­za­mento del dol­laro) e l’Europa avviata verso poli­ti­che di espan­sione della liqui­dità (e quindi un inde­bo­li­mento dell’euro).
Que­sta volta, secondo l’Economist, si pos­sono pre­ve­dere due peri­coli. Uno a breve ter­mine, con la dimi­nu­zione delle espor­ta­zioni ame­ri­cane a causa sia del dol­laro riva­lu­tato e della scarsa domanda dei paesi impor­ta­tori (come l’Europa e la stessa Cina), sia della ridu­zione degli inve­sti­menti interni, spe­cie nel set­tore ener­ge­tico (a causa del basso prezzo del petro­lio).
La ripresa sta­tu­ni­tense rischia quindi di durare poco. L’altro peri­colo, ma a medio ter­mine, è una ripresa dell’indebitamento delle eco­no­mie dome­sti­che ame­ri­cane che, certo, è dimi­nuito nel corso della crisi, ma sta già aumen­tando, spe­cie nel set­tore immo­bi­liare.
L’eterno ritorno dello squi­li­brio rende ancor più fon­da­men­tale la lotta della Gre­cia, e la let­tura del libro di Varoufakis.

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