L’ossessione italiana per l’uomo che era negli anni 70

La storia. Il processo sommario. E ora Renzi cercherà “il successo” che Berlusconi non ottenne

Dopo quat­tro anni si ria­pre, come in un gioco dell’oca in cui si torna sem­pre al punto di par­tenza, il caso Cesare Bat­ti­sti. Era l’8 giu­gno 2011 quando la Corte costi­tu­zio­nale bra­si­liana negò l’estradizione nei con­fronti dell’ex mili­tante dei Pro­le­tari armati per il comu­ni­smo, dete­nuto in Bra­sile dal 2007, dopo aver dovuto abban­do­nare la Fran­cia dove viveva dal 1981.

Quando la Corte emise il suo ver­detto, Bat­ti­sti aveva già otte­nuto da oltre due anni lo sta­tus di rifu­giato poli­tico con­ces­so­gli dall’allora mini­stro della Giu­sti­zia Tarso Genro. Le pres­sioni ita­liane, dopo quella deci­sione, erano state senza pre­ce­denti, tali da richia­mare addi­rit­tura l’ambasciatore ita­liano in segno di pro­te­sta. L’obiettivo era stato cen­trato. In novem­bre il Tri­bu­nale supremo fede­rale si era espresso con­tro la con­ces­sione dello sta­tus di rifu­giato, rimet­tendo però la deci­sione finale nelle mani del pre­si­dente. Nell’ultimo giorno del suo man­dato, il 31 dicem­bre 2010, Lula si era espresso con­tro l’estradizione, anche sulla base delle regole bra­si­liane che la vie­tano in paesi nei quali vige l’ergastolo, che in Bra­sile non esi­ste. Sem­brava finita. Non lo era. Per il governo Ber­lu­sconi otte­nere lo scalpo di Bat­ti­sti era diven­tata una que­stione d’onore, un risul­tato poli­tico senza alcuna misura con la por­tata reale della vicenda. Il governo di Roma aveva dun­que insi­stito, eser­ci­tato pres­sioni di ogni sorta, mar­tel­lato il Bra­sile, pre­sen­tato due ricorsi presso l’Alta corte bra­si­liana con­tro la nega­zione dell’estradizione. Entrambi respinti. Una sto­ria che aveva coin­volto le rela­zioni diplo­ma­ti­che prima con la Fran­cia, che aveva con­cesso l’estradizione nel 2004, dopo anni di insi­stenze ita­liane, poi con il Bra­sile, sem­brava dun­que essersi chiusa il 22 giu­gno 2011, quando la Corte aveva con­cesso a Bat­ti­sti il per­messo di sog­giorno in Brasile.

Ieri la gio­stra ha ripreso a girare. Gli espo­nenti della destra hanno mitra­gliato di dichia­ra­zioni feroci le agen­zie. Il cen­tro­si­ni­stra, con qual­che ecce­zione, è stato più cauto. Ancora non è chiaro se Bat­ti­sti potrà sce­gliere in quale Paese essere spe­dito o se dovrà andare in Mes­sico o in Fran­cia, le nazioni da cui aveva rag­giunto il Bra­sile. Facile pre­ve­dere che Roma farà di tutto per­ché lo scrit­tore venga inviato in uno dei Paesi che si affret­te­reb­bero a riman­darlo in Ita­lia, dove lo attende la con­danna all’ergastolo.

Quat­tro omi­cidi. Due com­piuti diret­ta­mente, uno pro­get­tato, in un altro pre­sente nel com­mando ma in fun­zioni di sup­porto. Que­ste le moti­va­zioni della con­danna, esito di uno di quei pro­cessi som­mari che erano allora la norma. Un teste d’accusa prin­ci­pale, su cui si basa l’intera archi­tet­tura della sen­tenza: il pen­tito Pie­tro Mutti, fon­da­tore dei Pac dei quali Bat­ti­sti è da sem­pre indi­cato, a torto, come uno dei capi, men­tre era un sem­plice mili­tante. Testi­mo­nianza discu­ti­bile, quella di Mutti: accusò Bat­ti­sti di aver ucciso un agente di custo­dia, Anto­nio San­toro, poi fu costretto ad ammet­tere di aver spa­rato lui. Lo indicò come ese­cu­tore di un altro omi­ci­dio, che Mutti cono­sceva solo de relato, quello dell’agente della Digos Andrea Cam­pa­gna, ucciso quando i Pac si erano già sciolti. In realtà a spa­rare era stato un altro mili­tante, Giu­seppe Memeo, reo con­fesso, e l’identikit dell’uomo che era con lui è oppo­sto a quello di Battisti.

Ma in fondo non è que­sto ciò che importa. Quel che rende assurda l’ossessione ita­liana per l’ex dete­nuto comune poli­ti­ciz­za­tosi in car­cere e poi diven­tato, dopo l’arresto nel ’79 e la fuga dal car­cere nell’81, scrit­tore di suc­cesso è l’assenza di qual­siasi peri­co­lo­sità sociale. Bat­ti­sti ha cam­biato vita da ormai 35 anni, con il mili­tante armato degli anni 70 non ha più nulla a che spar­tire, ha pagato i suoi cri­mini con anni di galera e con una vita spesa a fug­gire da un paese all’altro. Potrebbe bastare. Dovrebbe bastare.

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