Per gli intellettuali italiani l’autocensura fa più paura dell’Isis

L’autodenuncia nelle risposte di una settantina di scrittori, intellettuali e giornalisti al questionario del nuovo numero di Nuovi Argomenti

Qual è la principale minaccia per la libertà d’espressione in Italia? Non il terrorismo islamico che ha sventrato la redazione di Charlie Hebdo, per il quale anche gli intellettuali italiani, con eccezioni come Roberto Saviano, sembrano adagiarsi in una comfort zone dove la difesa assoluta della libertà di satira si perde (e rifugia) tra mille distinguo. No, non è l’Isis o lo scontro di civiltà a condizionare gli intellettuali italiani. Almeno, non quanto l’autocensura, generata da conformismo ispirato al politicamente corretto, inibito dal potere, ingolfato da rigurgiti giudiziari. È l’autodenuncia ricavabile dalle risposte di una settantina di scrittori, intellettuali e giornalisti al questionario del nuovo numero di Nuovi Argomenti . Da Erri De Luca, processato per il suo sostegno al sabotaggio della Tav, a Walter Siti, che critica la mania di intercettare tutto e tutto pubblicare sul web, passando per Giuliano Ferrara e Edoardo Nesi.
Il titolo della rivista edita da Mondadori non poteva essere più felice nell’incarnare il paradosso di una libertà che si autocensura sonoramente: «Dite quel… bip… che vi pare». Ma di chi è la colpa?
Per Mariapia Veladiano c’è una nuova retorica del progresso; per Marco Missiroli i tabù sono sessuali, razziali e religiosi. Errico Buonanno parla di «sudditanza psicologica» verso la demagogia antidisfattista. Per Marco Cubeddu, caporedattore della rivista che firma l’introduzione in cui rivendica la polifonia dell’inchiesta, si cade nelle reti di relazioni e interessi, tessute per far carriera (scrive Giancarlo Liviano D’Arcangelo).
Lo stile di questa autocensura è il politicamente corretto: per Giancarlo De Cataldo sta «incartando» le democrazie (e ricorda che «marocchino» veniva usato male, ma con meno razzismo di «extracomunitario»); Nicola Lagioia lo individua nel «laicismo progressista», abile a occultare, sotto le proprie coltri, una violenza subdola.
Se Gabriele Pedullà invita a diffidare dei «presunti iconoclasti», Stefano Petrocchi, patron del premio Strega, parla di conformismo delle opinioni, e difende De Luca; come fa anche Massimiliano Parente, da libertario. Molti, pur non condividendo le sue opinioni, stigmatizzano il processo a suo carico, che ha logiche da Anni 70: Aldo Cazzullo, Alessandro Zaccuri, Antonella Lattanzi e altri. De Cataldo, Mario Santagostini, Giorgio Van Straten e Raffaele La Capria, invece, senza citare lo scrittore, sostengono che sussiste una qualche responsabilità giuridica o etica per chi «incita o appoggia pubblicamente atti violenti o illegali».
La radiografia è precisa, dunque preziosa. In Italia, una riflessione sulle stragi d’inizio 2015 deve fare i conti con un anacronistico processo in stile Anni 70 ad un anacronistico intellettuale in stile Anni 70.

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