Caso Zucca, le tre prove che mancano a Pansa e alla polizia

Enrico Zucca, pub­blico mini­stero per le bru­ta­lità alla Diaz, in un con­ve­gno pub­blico ha in modo cir­co­stan­ziato pro­po­sto il suo punto di vista rispetto alla tor­tura e alle vio­lenze di Poli­zia

C’è un modo attra­verso il quale il mini­stro degli interni Alfano e il capo della poli­zia Ales­san­dro Pansa potreb­bero rispon­dere effi­ca­ce­mente alle osser­va­zioni cri­ti­che e dure del pub­blico mini­stero Enrico Zucca, ovvero dimo­strando con fatti e parole di essere lon­tani anni luce dalla sot­to­cul­tura che ha pro­dotto Genova 2001.

Enrico Zucca, pub­blico mini­stero per le bru­ta­lità alla Diaz, in un con­ve­gno pub­blico ha in modo cir­co­stan­ziato pro­po­sto il suo punto di vista rispetto alla tor­tura e alle vio­lenze di Poli­zia. Il mini­stro degli interni e il capo della poli­zia hanno chie­sto al mini­stro della giu­sti­zia di inter­ve­nire nei suoi con­fronti disciplinarmente.

“I fatti della Diaz sono stati oggetto di un feno­meno clas­sico di rimo­zione da parte della poli­zia ita­liana. C’è stata un’immediata nega­zione a cui è seguita la totale rimo­zione. Per evi­tare il ripe­tersi di que­gli errori e di quello che sarebbe più giu­sto chia­mare auto-inganni, occorre rico­no­scere come que­sti feno­meni non sono un fatto spo­ra­dico, ma sono feno­meni ende­mici e strut­tu­rali non della poli­zia ita­liana, ma dei corpi di poli­zia in genere. E se i corpi di poli­zia stra­nieri stu­diano que­sto feno­meno, allo stato attuale la poli­zia ita­liana ancora oggi rifiuta di leg­gere se stessa“Enrico Zucca a RepI­dee, 7 giu­gno 2015

Sup­po­niamo che si fini­sca davanti a una com­mis­sione che dovrà giu­di­care se Enrico Zucca ha dif­fa­mato o vili­peso il corpo di poli­zia, accu­sato di non essersi immu­niz­zato dai rischi di vio­lenza. Per poter vin­cere quella causa i ver­tici della sicu­rezza dovranno dimo­strare che tra il 2001 e il 2015 sono suc­cesse cose impor­tanti e in contro-tendenza.

Ecco tre prove che dovranno essere por­tate in giu­di­zio, in man­canza delle quali le chance di vit­to­ria sono scarse.

La prima prova con­si­ste in dichia­ra­zioni pub­bli­che fatte a soste­gno di una legge che codi­fi­chi il delitto di tor­tura così come defi­nito dalla Con­ven­zione delle Nazioni Unite del 1984. Sarebbe que­sto un argo­mento forte che con­sen­ti­rebbe a tutti di distin­guere in modo netto fra chi opera nel solco della lega­lità e chi invece no. Il reato di tor­tura, così come ricorda in ogni occa­sione Luigi Fer­ra­joli, è l’unico ad avere un avallo nor­ma­tivo costi­tu­zio­nale. Quando l’Assemblea Gene­rale dell’Onu ela­borò un codice di con­dotta per tutti gli espo­nenti delle forze di poli­zia nel lon­tano 1979 all’articolo 5 affermò che «Nes­sun appar­te­nente alle forze di poli­zia inflig­gerà, isti­gherà o tol­le­rerà atti di tor­tura o altri tipi di trat­ta­mento o pena cru­deli, inu­mani o degra­danti, né potrà invo­care atte­nuanti come ordini supe­riori». Dun­que l’intollerabilità della tor­tura fa parte della deon­to­lo­gia di chi rive­ste un deli­cato com­pito di sicu­rezza. La Corte per i cri­mini di guerra nella ex Jugo­sla­via nel caso Furun­d­z­jia ha affer­mato che nell’ipotesi di man­cata codi­fi­ca­zione del cri­mine di tor­tura la respon­sa­bi­lità del sin­golo tor­tu­ra­tore si espande fino allo Stato.

Nel caso Diaz la Corte euro­pea dei diritti umani ha ricor­dato all’Italia quali fos­sero le sue respon­sa­bi­lità di fronte alla comu­nità inter­na­zio­nale. Lo aveva fatto qual­che set­ti­mana prima il Con­si­glio dei Diritti Umani dell’Onu.
La seconda prova da por­tare è che il governo abbia dato man­dato all’Avvocatura di costi­tuirsi parte civile nei pro­cessi per vio­lenze nei con­fronti di per­sone dete­nute, fer­mate o arrestate.

Infine la terza prova con­si­sterà nel dimo­strare di avere auto­riz­zato l’uso dei numeri iden­ti­fi­ca­tivi per i poli­ziotti impe­gnati nelle fun­zioni di ordine pub­blico. Senza que­ste tre prove la causa la vince Enrico Zucca. Del reato di tor­tura che non c’è par­le­remo mer­co­ledì 10 giu­gno in una con­fe­renza stampa al Senato con Luigi Man­coni e Anto­nio Mar­chesi, pre­si­dente di Amne­sty International.

* L’autore è il pre­si­dente di Antigone

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