Ad Aliano i partigiani della felicità

Si è conclusa ad Aliano la festa della paesologia «La Luna e i calanchi». Dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo, per una «teologia» della bellezza, del corpo, della luce, dello spazio

Paesologia. Si è conclusa ad Aliano la festa della paesologia «La Luna e i calanchi». Dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo, per una «teologia» della bellezza, del corpo, della luce, dello spazio. Dove il Sud non è fuga ma un’altra idea di modernità, la prima soglia tra un mondo e un altro, dove il «dio denaro» è abbattuto

La luce è in ogni luogo e sopra ogni luogo c’è il cielo. Fare festa a un luogo, rac­con­tarlo, attra­ver­sarlo, can­tarci den­tro. Que­sto abbiamo fatto ad Aliano, pas­sando dalla coscienza di classe alla coscienza del luogo.

La luna e i calan­chi è una festa religiosa.

La que­stione teo­lo­gica è più impor­tante della que­stione meri­dio­nale, il cuore della vicenda è il ten­ta­tivo di resi­stere alla mise­ria spi­ri­tuale dilagante.

Le lacrime delle cuo­che non me le aspet­tavo. E i geni­tori dei ragazzi dello staff, pre­oc­cu­pati di non poter offrire ai loro figli la gioia che ha offerto la festa.

Le lacrime delle cuo­che appar­ten­gono alla reli­gione più che alla cul­tura. Le lacrime per un legame che si spezza. Noi che ce ne andiamo e loro che restano. Due fra­gi­lità che si divi­dono, si pie­gano sotto il peso del vuoto baga­glio della vita.

Una reli­gione fuori tempo

Che nome posso dare a que­sta reli­gione che arriva fuori tempo mas­simo? Gli uomini e le donne sono ani­mali supe­rati. Forse il filo che ci legava agli altri esseri e alle cose si è spez­zato per sem­pre. Siamo ani­mali postumi e la mia è una reli­gione per i postumi. Gigio Bor­riello, uno degli ospiti più intensi, in una sua can­zone dice che è morto e dun­que non può più morire.

Una visione improv­visa nella mia testa: La luna e i calan­chi è un gio­ioso fune­rale, pro­viamo a fare il fune­rale a una salma che pos­siamo chia­mare moder­nità. La gioia di un fune­rale liberatorio.

Ad Aliano c’erano mol­tis­simi ragazzi, di certo attratti dalla musica, ma non solo. Ci sono vari foco­lai di ragazzi che si sono messi a fare qual­cosa per restare nei luo­ghi dove sono nati o per tor­narci dopo aver stu­diato fuori. Mi pare una noti­zia che non è con­te­nuta nei rap­porti sul Sud basati sulle cifre.

Adesso penso all’arcaico. La Luca­nia emo­ziona per­ché in qual­che modo l’arcaico non è stato ster­mi­nato. Ma non è l’arcaico che ci inte­ressa, non è il suo ful­gore, piut­to­sto un arcaico ferito, in forma di relitto, di reli­quia. L’arcaico fuori forma. Adesso il com­pito è di con­ce­pire qual­cosa che già men­tre la con­ce­piamo si dis­solve. La festa di Aliano è finita e quella che forse faremo l’anno pros­simo acca­drà in una nuova epoca: in un anno ormai si avvi­cen­dano molte epoche.

Oggi è dif­fi­cile che qual­cuno mi possa par­lare vera­mente di que­sta festa. È come fare una carezza a una bestia ferita con mani che non esi­stono. Oppure è una pro­fa­na­zione que­sto fuoco d’artificio di leti­zia in una terra che non ama esul­tare, in una terra con­sa­crata al soffrire.

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Quest’anno abbiamo fatto anche due uscite nei paesi vicini. In Luca­nia ogni paese è un’emozione sicura, non esi­stono luo­ghi vacui, sfia­tati. A Gor­go­glione mi hanno col­pito i vec­chi che sta­vano seduti davanti alle porte del paese. Mi ricordo il cer­chio di san­gue di uno intorno a un occhio pic­colo e rotondo. Lì ho pen­sato al petro­lio come a un’ingiuria, lì ho sen­tito che non potrò mai stare dalla parte degli uomini del pro­fitto. La mia glo­ria è la perdita.

Dovrei pen­sare a quello che ha detto Aldo Bonomi. Lui ha inqua­drato la pae­so­lo­gia tra le spe­ranze del nuovo secolo, non so spie­gare bene cosa ha detto, anzi saprei anche spie­garlo, ma non ne ho voglia, il mio corpo oggi vuole indu­giare sulle pie­ghe, sui det­ta­gli. E poi non ha molto senso fare pro­clami intorno alla pae­so­lo­gia. Mi basta dire che è un pic­colo ten­ta­tivo che a che fare con la reli­gione, nel senso che vuole legare delle emo­zioni, delle vaghe sug­ge­stioni intorno al finire di un mondo e all’inizio di un altro.

Senza la fine dalla moder­nità non ci sarebbe pae­so­lo­gia, ma non è una disci­plina rurale e nep­pure pae­sana. Qui si tratta di inven­tare uno spa­zio impen­sato, capace di inter­cet­tare i flussi buoni e tenere lon­tani quelli cat­tivi. I paesi dell’Appennino vanno benis­simo come approdo per i pro­fu­ghi, ma non altret­tanto per lo svi­lup­pi­smo dell’ultima ora. In estrema sin­tesi: sì ai pro­fu­ghi, stop al con­sumo di suolo.

In fondo la nostra è una guerra par­ti­giana. Si tratta di resi­stere al nemico comune che pos­siamo chia­mare denaro. Nel momento in cui il denaro diventa teo­lo­gia, allora biso­gna scen­dere sul ter­reno del sacro e creare altre teo­lo­gie. La parola cul­tura per le mie azioni mi pare fuori luogo. La cul­tura è nic­chia inerte o popu­li­smo vacuo.

Quello che a me inte­ressa è por­tare i corpi in un luogo. In effetti gli ospiti più inte­res­santi sono quelli più sbi­lan­ciati dalla parte del corpo. Chi balla, chi suona, chi fa l’amore, chi ara il suo corpo per farne luce.
Biso­gna avere il corag­gio di mostrarsi per quello che siamo, infimi e immensi. Que­sto è il tempo dell’immenso, la medietà non esi­ste, è una patina con cui molti si rive­stono per nascon­dersi. Tendo a pen­sare che ogni indi­vi­duo è un abisso, una vora­gine in cui il bene e il male si pren­dono a calci.

La furia della vita

C’è una furia in ogni vita e biso­gna por­tarla in super­fi­cie. Il mio sogno è fare il festi­val degli ano­nimi, invi­tare solo per­sone che non cono­sce nes­suno. Magari prima o poi ci rie­sco, dovrei tro­vare qual­che finan­zia­tore che sfugge al ricatto della fama.

La pae­so­lo­gia mette l’accento sui luo­ghi sgra­ziati, sui luo­ghi che fanno luce da soli. Aliano sarebbe un luogo lumi­noso anche se non ci fosse nes­sun essere umano den­tro. La forza di que­sto luogo viene dal suo avere poca vita intorno.

La festa della pae­so­lo­gia dice addio anche a un certo modo di stare a sini­stra, tutto cen­trato sull’opinionismo a costo zero.

Mi piac­ciono i per­cet­tivi, gli attenti, quelli che prima di dire il male pro­vano a dire il bene. E per fare que­sto biso­gna lavo­rare di più per­ché il bene è raro e sfug­gente. Ad Aliano si capi­sce benis­simo che il canto e la poe­sia stanno un passo avanti rispetto ai ragio­na­menti rinsecchiti.

Il secolo che abbiamo davanti non sap­piamo che strada può pren­dere, per ora è il caso di aver cura della bel­lezza che si è sal­vata dal dilu­vio della moder­nità. Dun­que, la prima cosa da fare è par­teg­giare per le col­line, per i cani, per i baci, par­teg­giare per le albe, per chi cam­mina, riu­nirsi per leg­gere un libro, per sen­tire un suo­na­tore di fisar­mo­nica, per zap­pare un orto, per rac­co­gliere l’uva di una vigna.

Ecco le assem­blee del nuovo secolo. La sini­stra si rifonda qui, si rifonda nei luo­ghi dove si ripianta il grano buono, si potano gli ulivi con cura, si dà forag­gio buono alle muc­che. Ecco le tracce di una poli­tica che parte dalla natura, ogni cosa che abbiamo tra le mani viene dalla terra prima che da una fabbrica.

La festa pae­so­lo­gica pro­duce feli­cità in luo­ghi che di norma sono affranti, luo­ghi in cui si cre­sce con l’idea della fuga. Que­sto è il tempo di restare dove si nasce, è il tempo di cre­dere ai pae­saggi che ci hanno for­mato, per­ché se siamo qual­cosa è den­tro l’aria che abbiamo respirato.

L’alfabeto da rivedere

L’alfabeto è con­ti­nua­mente da rive­dere. Per­so­nal­mente non credo più nep­pure alla let­te­ra­tura. Credo a qual­che pagina, credo a qual­che frase, ma la let­te­ra­tura si è are­nata, non toglie e non aggiunge, è un treno d’ombre su un bina­rio morto.

La festa della pae­so­lo­gia è il mio libro, un libro scritto con i corpi dei visi­ta­tori e degli arti­sti invi­tati, con il corpo degli abi­tanti del paese. Chiamo que­sti intrecci comu­nità prov­vi­so­rie.
La festa ha messo insieme per­sone assai lon­tane tra di loro, ma le per­sone quando danno il meglio di sé un po’ si avvi­ci­nano. Il senso della festa sta tutto in que­sto clima in cui ognuno dà il meglio. Ad Aliano è tutto un fio­rire di abbracci, gli abbracci che mi hanno tenuto sve­glio a oltranza per sei giorni.

C’è soprat­tutto una visione, ho capito prima di altri che in certi luo­ghi del Sud oggi si può con­ce­pire qual­cosa di nuovo. Ho capito che la mia scrit­tura doveva essere aggan­ciata a delle azioni di mili­tanza col­let­tiva, una mili­tanza festosa, lon­tana dal gri­giore di chi vive sotto la dit­ta­tura del pro­blema. In realtà il mondo è già bene accor­dato ovun­que, il pro­blema di solito lo aggiun­giamo noi. Con que­sto punto di vista si pos­sono fare tante cose belle, non solo la festa della paesologia.

Dun­que, met­tia­moci al lavoro fuori dal piombo dei discorsi. Sa di pol­vere il mondo di chi parla e non crede. Ora c’è da cre­dere in chi crede e guarda.

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