Il fanfarone Tavaroli

l’ex carabiniere ed ex carcerato Tavaroli oggi maramaldeggia in un’intervista a Luca Fazzo, giornalista cacciato per infedeltà da “la Repubblica”

Lettera alla redazione di Dagospia

il 24 novembre, nel pubblicare l’articolo del “Giornale” del giorno precedente, dal contenuto chiaramente diffamatorio nei miei confronti, in cui Luca Fazzo intervista Giuliano Tavaroli sarebbe forse stato utile ricordare ai tuoi lettori che l’intervistatore Fazzo è stato a suo tempo cacciato dal quotidiano “la Repubblica” e sospeso dall’Ordine dei giornalisti per aver spiato suoi colleghi di redazione per conto del Sismi di quello stesso Marco Mancini, “gemello”, allora e dopo, di Tavaroli.

Si veda il relativo documento dell’Ordine dei giornalisti: http://www.odg.mi.it/node/30184, dove «Il Consiglio dell’Ordine afferma la piena responsabilità di Luca Fazzo, protagonista di episodi (…) che dimostrano la sua sudditanza nei riguardi del Servizio segreto militare» e si ricorda che «Luca Fazzo dal 2004 al 2006 ha sviluppato rapporti intensi con Marco Mancini (n. 2 del Sismi) conosciuto tramite Giuliano Tavaroli (capo della sicurezza Pirelli/Telecom). Tavaroli per lui è un amico di famiglia».

Insomma, più che un’intervista si tratta di una rimpatriata tra sodali (due dei quali finiti in carcere per le note vicende degli scandali Sismi/ Telecom e uno licenziato per infedeltà dal suo giornale), spacciata per notizia. In ogni modo, nell’articolo del Giornale, Fazzo fa raccontare a Tavaroli: «”Ero sicuro che mi avreste ammazzato”, ci diceva Segio. Ma noi non eravamo fatti così».

tavaroli1 GIULIANO TAVAROLI

Evidentemente “Tavola” dimentica, giusto per fare un esempio, l’11 dicembre 1980 quando il nucleo dei carabinieri antiterrorismo di Milano uccise i militanti delle Br Roberto Serafini e Walter Pezzoli, crivellati di colpi per strada.

Marco ManciniMARCO MANCINI

Nella foga, i «ragazzi dell’Arma che vivevano per quella caccia» fucilarono persino un doberman a spasso con il suo padrone. Non so se in quell’occasione Tavaroli brindò. So invece per certo che io non ho mai avuto l’abitudine di festeggiare la morte, come si spinge a titolare il “Giornale”. Così pure, Tavaroli dimentica l’abitudine di alcuni di quel «mucchio selvaggio» dell’Arma milanese di portare gli arrestati sulla montagnetta di San Siro o sotto i ponti di zona Certosa per finte esecuzioni, secondo gli stili tramandati dai gorilla golpisti sudamericani.

In quegli anni, di fronte alle notizie di brigatisti torturati nelle caserme dopo l’arresto, un segretario di un partito di governo dichiarò che pure lui avrebbe volentieri partecipato. Risultò poi iscritto alla Loggia massonica P2, come tutti i vertici dei servizi segreti e dell’Arma di Milano, e non solo, dell’epoca. Proprio perciò decisi di andare disarmato a un appuntamento dove avrei dovuto incontrare una compagna bisognosa di aiuto ma che sapevo essere probabilmente pedinata: per non consentire a Tavaroli e soci alibi e messe in scena nel caso mi avessero fatto fare la fine del mio amico Serafini.

Perciò, circondato dai carabinieri misi subito le mani in alto in mezzo ai passanti, perché la situazione fosse chiara. Altro che “Tiramolla”, come l’ex carabiniere ed ex carcerato Tavaroli oggi maramaldeggia. Peraltro senz’accorgersi di contraddirsi, dato che contemporaneamente racconta che un’altra volta lui e i suoi colleghi evitarono di arrivare in un luogo dove sapevano di trovarmi: «Lo stavamo per prendere già qualche mese prima, invece Mancini si schiantò con la macchina e fu la nostra fortuna, perché – ma questo lo abbiamo saputo dopo – erano armati fino ai denti, e avremmo fatto una brutta fine. Il Dio degli sbirri ci salvò la vita». Il Dio degli sbirri o quello dei fanfaroni.
Sergio Segio

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