Quelle docce che dividono la memoria del lager

Ad Auschwitz i visitatori sono rinfrescati da getti d’acqua. Ad alcuni sembra un macabro riferimento alle camere a gas

Faceva caldo, l’altro giorno ad Auschwitz: la temperatura superava i 36 gradi. Si parla spesso dei rigori dell’inverno polacco, ma l’afa, in quella landa desolata della Slesia, dove morirono oltre un milione di persone soffocate nelle camere a gas, può risultare ancora meno sopportabile del freddo. E allora la direzione del Museo che ospita ciò che resta del lager nazista assurto al simbolo della Shoah, ha pensato di mettere, davanti all’ingresso una serie di docce, nebulizzatori d’acqua, per dare refrigerio alla massa di turisti. Molti, specie tra gli ebrei israeliani, sono rimasti scandalizzati. E infatti, le docce, ad Auschwitz, inevitabilmente si associano alle camere a gas.

La discussione è in corso e probabilmente, come tutte le contese che riguardano questo posto disgraziato e maledetto, dureranno a lungo e comunque faranno parte della storia della costruzione di Auschwitz come luogo per eccellenza della memoria. Intanto però, per la cronaca: il direttore del Museo, Piotr Cywinski, intellettuale cattolico sofisticato, formatosi nelle migliori scuole svizzere e francesi, in un forum chiuso su Facebook ha detto cha ha agito secondo le regole di buon senso. Ogni giorno, in questo periodo di afa eccezionale si verificavano tre o quattro casi di svenimenti e malori. E allora, meglio un muro d’acqua. Ha torto Cywinski?
Qui torniamo alla natura del museo. Partendo da un numero: i visitatori sono quasi un milione e mezzo l’anno, poco meno di coloro che nello stesso arco di tempo mettono piede agli Uffizi. Ecco, Auschwitz, oggi è una costruzione culturale assai ambigua e ambivalente. Da un lato, lo sappiamo, è un luogo dove ogni anno i potenti della terra si radunano per dire: “mai più”, tra eccezionali misure di sicurezza e dove gite scolastiche vengono portate dall’intera Europa per far vedere ai ragazzi gli orrori del nazismo, ma è anche tappa obbligatoria di qualunque turista che viene a visitare gli splendori di Cracovia: tra Palazzo reale e La dama con l’ermellino di Leonardo.I turisti cercano e pensano di toccare con mano l’autenticità dell’orrore, o per parafrasare Benjamin, l’aura dell’indicibile. Ma quello che vedono — le cataste di occhiali, di gioccattoli, di pennelli da barba e di capelli da donna — è una costruzione artistica (forse non di eccelso gusto), creata nel 1955.
Dall’altro lato però Auschwitz è anche e forse prima di tutto un enorme cimitero. Lo è sicuramente nella sua parte più dura e forse meno visitata, a Birkenau, dove dai treni si andava direttamente nelle camere a gas. E allora, ad Auschwitz si viene per piangere i morti camminando sulle loro ceneri o per visitare il museo dell’orrore? È dalla risposta che si vuol dare a questa domanda che dipende il giudizio sulle docce ad uso dei turisti. O forse ha ragione Halina Birenbaum, scrittrice polacca-israeliana e reduce del Lager. Ha annotato su Facebook, queste parole: «Non dimentico Auschwitz, ma vivo oggi, e non sono più prigioniera».

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