Diem25, la sfida dell’organizzazione

Yanis Varoufakis. Politici, movimenti e associazioni a Roma: «Democratizzare l’Unione Europea». Le analisi, le proposte e i rebus politici dell’europeismo critico

Dieci anni, al massimo, per democratizzare l’Europa. Ma il tempo sta scadendo, le conseguenze del fallimento dell’UE si fanno minacciose, mentre la prospettiva di tornare agli Stati-Nazione non è più rassicurante. All’assemblea all’Acquario Romano tenutasi ieri a Roma Yanis Varoufakis è stato più preciso, se è possibile. Incontrando movimenti, partiti e associazioni interessati al progetto di Diem25 [Democracy in Europe Movement 2025], Varoufakis ha rievocato la crisi degli anni Trenta.

Oggi ci troviamo in una altrettanto grave, per questo bisogna superare le vecchie divisioni e ragionare sullo stato di eccezione. Questo sembra essere il senso del suo appello ai democratici, liberali, alla sinistra, ai radicali o ecologisti. La proposta, contenuta nel Manifesto di Diem25 «non è di destra o di sinistra», ma «democratica». Da un lato, esclude razzisti e xenofobi, dall’altro lato mira a ripoliticizzare un processo decisionale opaco e imposto dall’alto, presentato come «tecnico» o «neutrale». Un approccio, questa è l’ipotesi, che può essere definito nei termini di una «contro-democrazia». L’obiettivo è – con le parole del filosofo francese Etienne Balibar – «democratizzare la democrazia», tornare ai suoi principi attraverso la creazione di un conflitto inedito a livello locale e transnazionale. «Multilivello» si è detto.

Varoufakis è fiducioso: «Quando abbiamo pubblicato il manifesto – ha detto – centinaia di gruppi si sono formati spontaneamente sulla nostra piattaforma online». Si punta alla partecipazione per creare «comunità» capaci di «deliberare su proposte concrete» per un programma valido per le elezioni europee del 2019. Si punta a un’«assemblea costituente» per passare da un’Europa del “noi i governi” a un’Europa del «noi popoli Europei». Obiettivo ambizioso, vista l’aria che tira, ma non troppo. Nel manifesto di Diem ci sono molti punti ricorrenti nell’agenda dei partiti esistenti. Ad esempio, la trasparenza del processo decisionale, la diffusione in streaming delle riunioni istituzionali Ue, la riforma dei trattati o dello statuto della Bce.

Dalla riunione italiana sono emersi i temi «sociali»: tutele universalistiche per i lavoratori (e non), il reddito di base, il salario minimo orario europei, l’Europa delle città. Elementi mancanti nella piattaforma di Diem, ma ricorrenti nelle sinistre europee. Il problema è come realizzarli, dopo tanti fallimenti. La trasparenza, e il consenso dell’opinione pubblica non bastano. «Serve l’organizzazione – ha detto il filosofo croato Srecko Horvat, cofondatore del movimento – Diem è una sintesi di tre livelli: l’internazionalismo radicale dei social-forum inizio anni Duemila; le occupazioni com’è stato il Teatro Valle e partiti come Syriza e Podemos».

Non tutti questi modelli hanno funzionato e Horvat lo riconosce: «Se si va avanti da soli, si fallisce. Vogliamo favorire processi di convergenza e una dialettica tra orizzontalità e verticalità». «Diem può contenere rapporti che non sono necessariamente pacificati tra soggetti diversi della politica – sostiene Sandro Mezzadra, docente a Bologna e interlocutore italiano del movimento – È un campo di tensione che prefigura uno spazio europeo futuro».

Come si pone la sinistra europea (Gue) rispetto a Diem? «La nostra idea – risponde l’eurodeputata Eleonora Forenza – è riorganizzare il partito alla luce di movimenti come Diem o del “Plan b” che si è riunito a Madrid. Sarà uno dei punti del prossimo congresso: non può esserci una democratizzazione se non c’è un demos che confligge contro l’austerità e la fortezza Europa. Mi auguro che le prospettive convergano».

Dalla soluzione di questi rebus politici dipende il futuro dell’europeismo critico.

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