Laura Seghettini, scomparsa a 95 anni la maestra partigiana

Resistenza

Ritratti. Scomparsa a Pontremoli all’età di 95 anni, fu la comandante di distaccamento nella XII brigata Garibaldi di Parma

Laura Seghettini, morta a Pontremoli lunedì scorso a 95 anni, era una maestra elementare, partigiana nella brigata intitolata a Guido Picelli, e poi in seguito comandante di distaccamento nella XII brigata Garibaldi di Parma. Una donna coraggiosa e indomabile che seppe tenere insieme i valori della sua militanza politica e il rispetto della verità, da affermare oltre ogni convenienza politica.

NEL «NUOVO CORRIERE» del 6 settembre 1945 si poteva leggere un articolo così titolato:«Drammatico rapimento a Pontremoli. Un capo dei partigiani catturato da una banda capitanata da una donna». La donna era Laura Seghettini, il capo dei partigiani era Antonio Cabrelli, colui che aveva processato e condannato a morte Dante Castellucci (Facio), comandante partigiano e compagno di Laura.
Laura e gli amici di Facio portarono Cabrelli a Parma, lo consegnarono alla giustizia, perché fosse giudicato per quella uccisione, per aver intentato e presieduto sui monti di Zeri il processo farsa che portò alla sua fucilazione. Facio era un giovane di 25 anni, colto e curioso, approdato ai monti del parmense e della Lunigiana da Sant’Agata d’Esaro, in Calabria. Suonava il violino. Amava disegnare e dipingere. Leggeva di filosofia. Aveva occhi ridenti e un volto gentile. E si innamorò, ricambiato, di Laura, la maestra diventata combattente, salita in montagna per evitare l’arresto da parte della polizia fascista.

CE N’ERA ABBASTANZA per suscitare irritazione nei tipi come Cabrelli, più anziano di lui e determinato a diventare il capo effettivo delle Divisione Ligure che si stava organizzando, unificando le bande e le brigate nate spontaneamente, e in cui era in corso un confronto per l’egemonia fra i comunisti e gli azionisti. Cabrelli utilizzò questo scontro per emergere, presentandosi, si scoprì poi la falsità dei suoi accrediti, come l’interprete più fedele della ortodossia comunista. Facio, con la sua autonomia, popolarità, umanità e capacità organizzativa, era un ostacolo. E proprio su quelle doti fece leva per alimentare i sospetti su di lui.
L’occasione per la resa dei conti fu un lancio alleato conteso fra le varie brigate. Fu processato senza che potesse nemmeno nominare un difensore. E ucciso poche ore dopo, avendo passato una notte con Laura e un gruppo di partigiani più che disposti a farlo scappare. Ma Facio non lo fece. «Sono fuggito dalle prigioni fasciste – disse a Laura che lo assisteva – non scappo dai compagni, anche se mi accusano ingiustamente». Un po’ come Socrate, e un po’ come i comunisti russi che accettavano in nome della loro fede incrollabile le condanne inflitte loro dal regime di Stalin.

LA STORIA DI FACIO E LAURA ci ha insegnato che l’orrore può crescere anche nelle file dei giusti, e che l’ortodossia ideologica può ospitare tranquillamente i personalismi e gli interessi più ignobili. E che rilevare questa contraddizione, senza ipocrisie e opportunismi, è onorare la memoria della Resistenza. Un capolavoro di ipocrisia è stato il modo in cui si è pensato di riabilitare Facio. Conferendogli la medaglia d’argento al valor militare per essere eroicamente caduto sotto il fuoco nemico. Pensando così di sistemare ogni cosa. Facio eroe, la Resistenza senza macchie, e Cabrelli e i suoi complici liberi di fare la loro vita e le loro carriere.

CABRELLI È MORTO tanti anni fa. Ora se n’è andata anche Laura Seghettini, attorniata dall’affetto di tanta parte del popolo della Lunigiana, e dai giovani che da lei hanno imparato ad amare la Resistenza e la verità. Due bei libri, uno della stessa partigiana, Il vento del Nord, e l’altro Il piombo e l’argento, di uno storico calabrese, Spartaco Capogreco, sono a disposizione di chi vuol ripercorrerne la storia.

FONTE: Andrea Ranieri, IL MANIFESTO

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