Fotografia. Il ’77 di Romano Martinis

Fotografia. Inaugurata la mostra «’77 quattro atti in bianco e nero» alla «Martincigh» di Udine, lo straordinario reportage di un cambiamento storico

Si è inaugurata il 14 luglio la mostra di Romano Martinis «’77 quattro atti in bianco e nero» alla «Martincigh» di Udine (via Gemona 40), libreria antiquaria di Cristina Burelli che con l’occasione espone anche una scelta di libri di quella stagione.
Martinis grande viaggiatore di mete inconsuete, testimone di avanguardie come la beat generation o Kantor e il suo teatro da lui fotografato quando in occidente era assolutamente sconosciuto, presente durante tutta la stagione dei movimenti politici, ha reso emblematici alcuni di questi scatti che ci raccontano precisi momenti di cambiamento.
La scelta di queste foto, ci dice, nasce da una mostra che si fece alla Casa internazionale delle donne di Roma per ricordare Giorgiana Masi, uccisa il 12 maggio del ’77 da una calibro 22 proveniente da un’arma mai individuata.
Suddivise in quattro tappe, le immagini raccontano una sintesi di quel clima politico: «12 marzo 1977 a Roma. Gli arrestati»; «20 marzo 1977 a Montalto di Castro. La Festa della vita»; «12 maggio 1977 a Roma. Giorgiana Masi aveva diciotto anni»; «giugno 1977 a Roma. Corteo».
«Le immagini del 12 marzo sono immagini storiche, dice, per la prima volta sono state assaltate le armerie e inizia la lotta armata. Un poliziotto mostra i proiettili che ha in mano. Cosa fai lì, mi ha detto, io ho fatto il finto tonto e gli ho detto: ma guarda un po’ cosa stano facendo quelli, è tutto rotto. «Vuoi vedere?» ha aperto la mano mostrandomi un pugno di proiettili e io ho scattato e sono le foto degli arrestati faccia al muro: non si erano mai viste prima foto così in Italia. Questa del poliziotto con la racchetta da tennis in mano l’ho chiamata ’il tennista’ che chiude in maniera metaforica quella serata. Sequestravano quello che portavano via, canne da pesca, racchette, oltre a pistole e pallottole.
Dopo queste c’è la sequenza di Giorgiana Masi. La prima foto è quella di due poliziotti in piedi e uno mascherato con la pistola in mano accucciato dietro una macchina della polizia. È la foto che ha smentito Cossiga, poi la schiera in controluce, i razzi e alla fine le molotov e quattro o cinque giorni dopo la commemorazione a piazza Garibaldi dove si riconosce anche Narco Ferreri. Poi le cariche selvagge a Monteverde, una zona non abituale per le manifestazioni, drammatico trovare vie di fuga.
L’ultimo capitolo?
È giugno Lama porta i suoi operai in una grande dimostrazione a San Giovanni: nella prima gli operai, siccome c’era anche Autonomia che sfilava avevano messo dei camion per impedire il contatto tra le due parti. Le ultime due foto fatte in controluce sono importanti perché in una vedo il segno della pistola per la prima volta e le altre sono donne di Autonomia che tengono in alto il tesserino del sindacato con lo slogan: »Siamo noi i veri delinquenti, Lama e Cossiga sono innocenti» e facevano il gesto delle braccia ammanettate. Da una parte Lama e le istituzioni e dall’altra gli Autonomi e gli indiani metropolitani.
Le foto di Montalto di Castro sembrano una festa
Sono state scattate la settimana dopo gli arrestati. Era una piana verde, non c’era nulla e il movimento di protesta era organizzato dal principe che era il proprietario di quelle terre e faceva il verde per impedire l’insediamento della centrale nucleare. Lì è la prima volta che ho visto il simbolo del panda senza neanche la W doppia, credo sia la prima volta che compare quel simbolo.
Con l’assalto alle armerie cambia tutto per noi fotografi. Prima si poteva fotografare tutto, poi ci sono foto che avrebbero potuto mandare in galera, cominciava ad essere un atteggiamento meno libro per noi fotografi, anche di autocensura. Certe foto cominci a pensare di non doverle fare. Le foto di Giorgiana Masi ho dovuto consegnarle tutte alla magistratura, le hanno tenute un mese, sarebbe stato occultamento di prove.
Cambiava anche il mestiere di fotografo
Neanche prima avrei mandato foto evidenti. Io per esempio non fotografo foto di morti perché non vorrei che una madre vedesse la foto del figlio sul giornale. C’è una barriera che non voglio superare, non è censura è rispetto. Poi la metafora della morte credo che sia più forte della morte stessa.
In queste foto fai vedere la trasformazione della tensione dell’epoca
Ho fatto questa scelta: era tutto imperniato sulla giornata di Giorgiana Masi, ho pensato di aggiungere Montalto di Castro che sembra una roba felliniana con i suoi clown, le danze, la foto dell’arco contro il cielo che sembra che spari alla luna.
Poi cominciano gli arrestati con la faccia al muro. Quel giorno di Giorgiana Masi non ci sono stati tanti scontri su Ponte Garibaldi, era finito tutto, gli scontri erano avvenuti a Campo de’Fiori. Lì c’è stato forse un tentativo di creare qualcosa, ma su Ponte Garibaldi sembra un colpo sfuggito, un mistero. Noi eravamo abituati a vedere infiltrati armati, non era una grande notizia. La notizia nasce da un redattore del Messaggero che è andato per conto suo in piazza, vedeva queste persone in borghese con le armi, si è stupito ed ha montato il caso. Io avevo fatto tante foto, non avevo neanche stampato la foto del poliziotto in borghese che poi è uscita sull’Espresso e Cossiga non ha potuto smentire perché l’agente in borghese era mascherato e parlava con i due poliziotti in divisa. Quella è stata la foto definitiva.

FONTE: Silvana Silvestri, IL MANIFESTO

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