Addio a Giovanni Zaretti, il partigiano Zara

Novecento. Se ne va a 96 anni Giovanni Zaretti, fu a capo dell’insurrezione di Villadossola l’8 novembre, che segnò l’inizio della Resistenza nella valle

Ci sono uomini che ricapitolano, nelle proprie esistenze, la Storia, con la maiuscola. Che hanno avuto in sorte di traversare un secolo incrociandone gli snodi decisivi, trovandosi sempre nel fuoco degli eventi, e dovendo prendere, a ogni snodo, una decisione. Che spesso era quella giusta. Giovanni Zaretti era uno di questi uomini. Se n’è andato a 96 anni, il partigiano Zara, lasciandoci una storia che è una icona potentissima del Novecento. Un filo rosso lungo un secolo.

«DEVI AVER PAZIENZA, ma queste gambe hanno fatto 3500 chilometri!», così mi aveva detto la prima volta che lo incontrai mentre scendeva lentamente dall’automobile per andare nel centro di Domodossola, a bere un caffè. E poi raccontava della Russia e della Repubblica dell’Ossola, ridendosela di gusto, con la stupefazione di un bambino. Quel bambino, figlio di un operaio ossolano fuoriuscito per sfuggire alle persecuzioni dei fascisti, era cresciuto a Parigi, aveva fatto il liceo classico e si era iscritto alla Jeunesse Communiste, ospitando nella sua cameretta dirigenti fuoriusciti come Amendola o Grieco. Poi era tornato in Italia e non era più potuto venirsene via, essendo giudicato abile e arruolato.

COSÌ, QUANDO SCOPPIA la guerra, viene mandato prima sulla frontiera francese, e poi in Russia. «Fino a Rykovo siamo arrivati con i camion, poi tutto a piedi, sempre a piedi – anche perché, prima che venisse il gelo a cinquanta sottozero, c’era il fango, e i camion si infangavano e non andavano più. Fino al Don. Stavo nel plotone esploratori del battaglione. In Russia, dove tutti si congelavano, io mi beccai la malaria sul Don, pensa un po’».
Poi il ritorno in Italia – dove, grazie alla malaria, torna sull’ultimo treno disponibile – l’8 settembre, il rientro a Ossola, l’adesione al Pci, e poi la lotta partigiana. Giovanni prese il nome di Zara, e fu a capo di una banda che diede vita all’insurrezione di Villadossola l’8 novembre, che segnò l’inizio della Resistenza partigiana nella valle; poi, da maggio del ’44, fu commissario politico nella brigata Garibaldi del comandante Barbis, e allora l’attacco ai tedeschi al ponte di Ribesca, e la calata su Domodossola che inaugurò la meravigliosa impresa della Repubblica dell’Ossola, quei quaranta giorni di libertà che ancora dopo più di settant’anni rifulgono di bellezza. E poi la ritirata in valle Antrona, e la Svizzera, e il 25 aprile a Milano, e Bella ciao.

DOPO LA GUERRA la militanza nel partito, l’attentato a Togliatti di cui accompagna la convalescenza, la lunga esperienza nel sindacato dei chimici e poi nella Fiom, il suo libro – il primo – sulla Repubblica dell’Ossola. Ma come fare a condensare in così poche righe la densità di cose e di eventi che costellarono la sua vita? Mi ci vollero molte pagine per farlo, quando scrissi Eravamo come voi, dove la storia di Zara era non a caso la più lunga e articolata di tutte le storie partigiane che raccontavo.

ERA IMPOSSIBILE non voler bene a Giovanni Zaretti. Per la sua forza, la sua autenticità, la sua generosità. E per la sua risata, quando raccontava, quel riso che ti rendeva presenti e vive tutte le sue mille e mille storie, che ascoltavi per ore, immergendoti in un ethos che fatichi a incontrare, in questi tempi così mutati, tempi che Zara non riusciva più a riconoscere. Ma che non rinunciava a voler comprendere, e a immaginarne la trasformazione. Perché uomini come lui ci dicono questo, è questo ci lasciano in eredità: sapere che un tempo non è mai chiuso su se stesso, e che tocca a noi tenere gli occhi aperti, per vedere nuovi inneschi, e nuovi inizi.

I funerali di Giovanni Zaretti si svolgeranno oggi, secondo il rito civile, al cimitero di Villadossola, alle 14,30

FONTE: Marco Rovelli, IL MANIFESTO

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