Miccia corta, una storia di prima linea

Il libro Miccia corta, scritto da Sergio Segio, descrive la lotta armata e i movimenti degli anni settanta. Miccia corta ripercorre inoltre sulla storia di Prima linea, organizzazione di sinistra della lotta armata degli anni Settanta alternativa alle Brigate rosse. Miccia corta, una storia di prima linea di Sergio Segio
Sergio Segio
Prima linea
Miccia Corta, una storia di Prima linea

Miccia corta, una storia di Prima linea

I libri sono acquistabili in libreria o presso i rispettivi editori


Brani tratti da Una vita in Prima Linea (Rizzoli editore, 2006)

«Ho sempre creduto che l’amore e il comunismo si debbano intendere e sposare, salvo scordarmene a tratti, annebbiato dalla foga e dalle durezze della battaglia».

«Un Comitato contro la tortura promosso dal Partito Radicale, in un dossier aveva documentato una sessantina di episodi di torture e pestaggi. Dopo il sequestro del generale Dozier e la sua liberazione, l’indicazione venuta dai vertici della polizia e del ministero era di non andare per il sottile, perché era giunta l’ora di farla finita. Lo aveva rivelato Franco Fedeli, direttore della rivista “Nuova polizia”.

In attesa della nuova polizia, però, quella vecchia e i carabinieri usavano sovente incappucciare i militanti catturati, talvolta trasferirli in case anonime e torturarli per giorni, sia con i metodi classici sia con quelli artigianali ed estemporanei. A due dei nostri, Adriano e Fernando, nell’agosto 1979, dopo le varie razioni di botte, il sale e l’aceto sparsi sulle ferite in una caserma nei pressi di Teramo, i carabinieri si erano inventati di costringerli a stare sulla punta dei piedi, legargli i testicoli con uno spago teso e assicurato a una finestra: se i talloni fossero stati appoggiati a terra, i testicoli si sarebbero strappati. Ancora peggio era andata a Franchino e Guglielmo, presi nel gennaio 1982 a Tuscania, dopo un conflitto a fuoco in cui erano morti due carabinieri e Lucio, il giovane compagno “Olmo”».

«Per noi, che siamo sopravissuti a un’esperienza comunque tremenda, alle armi e al carcere, diventa facile e ricorrente sentirsi fuori epoca e fuori posto. Allora, occorre ascoltare il nostro stesso racconto come venisse dall’esterno, reso ovattato e quasi irriconoscibile dal tempo. Come fossimo anche noi argonauti, superstiti che vaneggiano e vagheggiano da un luogo remoto, dove la storia e il mito ritornano a essere semplicemente storie: di uomini e donne, di vite e passioni, di amore e morte. Dove si può ricordare senza fare e farci male.

Dove si può parlare, anche solo fra noi, sottovoce. Per dovere, per fedeltà, per rispetto».

brani tratti dal libro Miccia corta:

«Ricordo la strage di piazza Fontana del 1969 che ha radicato in molti indignazione e ribellione, l’idea che bisognasse reagire alla repressione della polizia, alle bombe fasciste, ai tentativi golpisti. Ma anche allo sfruttamento capitalistico. Ricordo i compagni uccisi in piazza, gli scontri con la celere, i pestaggi degli arrestati. E poi l’organizzazione dei servizi d’ordine, l’antifascismo militante, la controinformazione, le sedi incendiate, le macchine bruciate. Infine, il passaggio alla lotta armata.

Ci siamo allora induriti, senza riuscire a mantenere la capacità di tenerezza. In un’anestesia morale progressiva, che ha avuto ragione delle nostre ragioni. La logica delle armi ci ha preso non solo la mano ma anche il cuore e la testa.

In quella manciata di anni i movimenti sono stati brutalmente schiacciati. Hanno deragliato stretti tra il partito armato, la repressione, l’eroina dilagante e il privato risorgente. Decine di migliaia di compagni hanno organizzato lotte autonome e scioperi spontanei, manifestazioni di massa e azioni d’avanguardia. Si sono armati, hanno combattuto.

Ora migliaia sono in carcere, decine sono morti. Per questo siamo qui a oliare e caricare le armi che dovremo usare tra poco. Oggi apriremo almeno una breccia nel vicolo cieco in cui ci stiamo dibattendo. La sconfitta politica è ormai certa, il sogno si è sgretolato, impastato nel sangue nostro e in quello delle nostre vittime, nella ferocia delle prigioni di Stato e nell’orrore di quelle del popolo. Ma assaltando questo carcere, cominciamo a riprenderci la libertà delle nostre compagne».

dall'introduzione:

«La storia di Prima Linea sinora non era mai stata scritta. I fatti forse allora erano troppo vicini. Ora sono probabilmente divenuti troppo lontani. Ma non dispero che questo Miccia corta possa innescare finalmente un prossimo lavoro più ampio e collettivo. È un valore aggiunto che mi auguro di consegnare a queste pagine.

Che escono in un momento probabilmente tra i peggiori degli ultimi anni. Anzi degli ultimi due decenni. Un momento in cui è crescente e concretamente operante uno spirito rancoroso e ulteriormente vendicativo rispetto a quelle vicende e agli anni Settanta. Uno spirito che paradossalmente è divenuto più forte ed esplicito man mano che è trascorso tempo da quei fatti e da quelle lacerazioni».

«Dovrebbero bastare le cifre a svelare quanto si sia piuttosto trattato di un ampio fenomeno di radicalità sociale: secondo una stima, o più probabilmente una sottostima, sono stati 20.000 gli inquisiti per fatti di lotta armata e almeno 4200 sono stati incarcerati a seguito dell’accusa di banda armata o associazione sovversiva. Trecento hanno avuto pene con meno di 10 anni, oltre 3100 più di 10 anni, quasi 600 più di 15 anni, centinaia sono stati gli ergastoli. Oltre 50.000 anni di galera sono stati nel complesso già scontati. Delle migliaia iniziali, quasi 200 sono ancora detenuti, parzialmente o totalmente. Tra loro 77 sono gli ergastolani. Analoga è la cifra di quanti sono fuggiti all’estero».

«Ora è rimasto solo il dolore di quanti sono stati colpiti, dei loro famigliari. Ma anche di quelli dei militanti uccisi o a lungo incarcerati. Ed è rimasto l’eterno accanimento nei confronti dei vinti».

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