Media tattici

LE FORME FLUIDE DI UN’OPERA COLLETTIVA

Una critica della proprietà  intellettuale passando dalla carta alla Rete. È l’operazione «Roma Europa Fake festival» organizzata e sviluppata da artisti e mediattivisti ora raccontata in un elegante volume per DeriveApprodi. E che potrà  essere arricchita di materiali da inviare a un sito Internet usando oltre il tradizionale computer anche un iPod

LE FORME FLUIDE DI UN’OPERA COLLETTIVA

Una critica della proprietà  intellettuale passando dalla carta alla Rete. È l’operazione «Roma Europa Fake festival» organizzata e sviluppata da artisti e mediattivisti ora raccontata in un elegante volume per DeriveApprodi. E che potrà  essere arricchita di materiali da inviare a un sito Internet usando oltre il tradizionale computer anche un iPod

Un libro strutturato per essere letto, letteralmente, su più livelli, grazie all’impressionante numero di qrcode disseminati in ogni pagina, Reff (Roma Europa Fake Factory), La reinvenzione del reale attraverso pratiche critiche di remix, mashup, ricontestualizzazione, reenactment, presenta qualche difficoltà iniziale di definizione. E persino Bruce Sterling, noto autore di fantascienza statunitense di casa in Italia, nell’introduzione scrive: «Al momento, i comportamenti e le attività che sono oggetto di questo libro sono considerati bizzarri. Molto bizzarri. Essi sono così particolari che è intrinsecamente difficile descriverli, perché vengono dai confini estremi di una network-culture emergente».

Invenzione della realtà
Confortati dunque nella nostra capacità di lettori da questa affermazione di uno dei più visionari scrittori in circolazione, possiamo addentrarci nella grande quantità di interventi, articoli e brevi saggi che restituiscono in maniera davvero sorprendente un’ampia riflessione attorno al tema dell’hacking e della proprietà intellettuale, della reinvenzione della realtà e del diritto d’autore affrontate da prospettive differenti che spaziano dalla sociologia al campo giuridico, dalle ultime teorie sulla comunicazione alla storia dell’arte. Ed è proprio dall’arte, non soltanto dalla pratica artistica contemporanea, ma anche da un’analisi storica, che arrivano idee fondamentali soprattutto riguardo all’appropriazione di materiale già elaborato da altri da utilizzare in un altro contesto. Elementi comuni, tratti dalla quotidianità e inseriti nel contesto artistico, ma anche opere d’arte celebri riproposte con piccoli cambiamenti, fotografie scattate e riscattate, fanno parte del Novecento artistico con relative cause per plagio e hanno riguardato da vicino i più influenti tra gli artisti del secolo scorso.
Ma come ha notato Federico Ruberti nel suo interessante saggio, pur non essendo etichettati con le definizioni di Mashup e Remix (tecniche fondate sull’aggregazione di componenti «altre» e la ricontestualizzazione formale o mediale di «prodotti finiti» eseguiti dal altri) e senza la medesima intenzionalità, pratiche simili sono presenti da secoli nel mondo dell’arte, basti pensare all’Arco di Costantino, del 313 d.C., realizzato con frammenti sottratti a fregi dedicati ad altri imperatori non soltanto per velocizzare i tempi della costruzione, ma anche per ribadire una «nuova concezione figurativa». Arrivando a tempi più recenti, gli esempi, soprattutto dopo il secondo Dopoguerra, si moltiplicano e si intensificano (soprattutto quanto a consapevolezza…): la Pop art di Warhol e Lichtenstein innanzitutto, che hanno utilizzato dichiaratamente fotografie e fumetti precedentemente realizzati da altri, ma trasformati da una diversa forma, per non parlare di autori come Sherrie Levine, che negli anni Ottanta hanno messo profondamente in questione lo status dell’opera fotografica attraverso diversi lavori: in una serie molto celebre, questa artista statunitense ha rifotografato celebri scatti di Walker Evans, semplicemente firmandoli con il proprio nome.

Nel flusso della materia
Il panorama artistico attuale, poi, è un continuo rimando di specchi, con citazioni,appropriazioni e semplici ispirazioni prese a prestito, basti pensare a Maurizio Cattelan, che così spesso ha indicato il «furto» come una fondamentale strategia del fare artistico. Fuori dalle appropriazioni interne all’ambito artistico, infine, c’è un’ampia gamma di interventi documentati nella seconda parte del libro e attuati da gruppi di autori che sanno utilizzare con grande capacità la possibilità tecnologiche e che situano i loro interventi tra l’architettura, l’arte pubblica e il design. Si tratta di artisti che vogliono creare dei piccoli sistemi, ma anche oggetti, luoghi, contenuti, in cui le competenze divengano fluide, nomadi, possano inventare nuove prospettive di relazione, di scambio, di incontro. Sono Hannes Walter e Stephen Williams, autori di «Fluid Forms», ad esempio, un negozio online decisamente singolare, in cui gli utenti possono progettare attraverso software forniti dallo stesso sito gli oggetti di design desiderati: collane, orecchini o portaceneri, costruiti con circuiti ed equazioni. Oppure David Benqué, che utilizzando linguaggi video, anche 3D, trasforma il tessuto urbano disseminandolo di strutture temporanee destinate alla produzione, o ancora il trio Derek Holzer, Sara Kolster e Marc Boon che con «Sound Transit» ha creato una mappa di suoni alla quale si può accedere liberamente, suoni che raccontano di un grandissimo numero di luoghi e che si possono modificare all’infinito fino a ricreare un percorso sonoro il più simile possibile alla propria esperienza o, al contrario, differente fino a snaturare il ricordo originale.

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