Nel conflitto, la storia non è mai già  scritta

6 OTTOBRE Anniversario dei «40.000»

6 OTTOBRE Anniversario dei «40.000»
Torino. Il volto di Marx disegnato sul lenzuolo da Pietro Perotti, sotto la scritta: «Avevamo la ragione e la forza, ci è rimasta la ragione. Coraggio compagni». E’ la fine dei 35 giorni di lotta alla Fiat, trent’anni fa. Ieri a Torino il cielo era autunnale come allora. Mentre scorrono le immagini della marcia dei 40mila che chiude un ciclo straordinario iniziato nel biennio 68-69, una domanda attraversa la sala grande della Camera del lavoro di Torino: cosa c’è in comune tra quell’autunno e quello di oggi? Due i filmati, quello realizzato dalla Fiat è muto come muti sono i partecipanti al corteo, «si sentiva solo lo scalpiccio delle scarpe sul selciato», ricorda Marco Revelli. L’altro mostra i cortei operai, i tamburi, altri volti. Il simbolo del lavoro si ribalta e la scena viene presa dalla «massa grigia». Il lavoro, insiste Revelli, viene privato della soggettività e del protagonismo operaio. Nasce la nuova Italia pregna di solitudini che tracimano nel voto alla Lega. Fino all’oggi, dove si pretende di cancellare la lotta nelle aziende per imporre la lotta tra le aziende che sono navi da guerra e l’avversario dell’operaio Fiat non è più il suo padrone, ma l’operaio Volkswagen, ricorda Gianni Rinaldini citando le filosofia di Marchionne.
C’è molto o c’è poco in comune tra la sconfitta operaia dell’80 e la situazione attuale? Dietro la domanda si nasconde una paura: che lo scontro in atto alla Fiat possa concludersi come trent’anni fa. Se ne è discusso, nell’affollatissimo convegno promosso da Fiom e Fondazione Claudio Sabattini, non per commemorare una sconfitta ma per riflettere, cercare nessi e differenze. L’attacco alle condizioni dei lavoratori e il tentativo padronale di riprendere in mano tutte le leve del comando sono uguali. Ma, ieri, la Fiat guidata da Romiti non puntava alla divisione del sindacato perché voleva sconfiggerlo in toto, pur riconoscendo la legittimità del conflitto in una dinamica vichiana fatta di corsi e ricorsi, oggi vinco io domani tu. Il capo delle relazioni sindacali dell’azienda degli Agnelli, Cesare Annibaldi, cercava la mediazione, prima e dopo lo scontro. Oggi la mediazione (sindacale) viene negata perché tra il mercato e la condizione lavorativa non devono esserci ostacoli, e i diritti lo sono. Parte da qui il diktat di Marchionne a Pomigliano e poi in tutto il gruppo. Anzi, all’insieme delle relazioni sociali. Lo spiegano Luca Baldissara, lo aveva anticipato nella relazione d’ apertura Francesco Garibaldo. Il contesto è diverso: lo scenario dell’80 era dentro un processo globale di cambiamento, con la Thatcher che piegava i minatori inglesi, Reagan che licenziava 12 mila controllori di volo, il Fondo monetario che chiudeva una stagione iniziata dopo la crisi del ’29, incentrata sulla tutela dell’occupazione e ne apriva una post-taylorista e liberista. Prima dei 35 giorni e della marcia muta dei capi c’era stata la svolta sindacale dell’Eur. Riccardo Bellofiore ricostruisce il passaggio epocale e racconta il nuovo mondo analizzando i processi macroeconomici, Revelli tiene a bada l’emozione provata dall’intera sala a vedere scorrere i due opposti cortei e fa il centro sulla crescita abnorme della diseguaglianza, e Annibaldi annuisce quando il nostro collaboratore ricorda che nell’80 i grandi manager guadagnavano 30-40 volte più dei loro operai, oggi invece Marchionne si mette in tasca compensi 435 volte superiori.
Le relazioni sindacali, così come le intendono la Fiat e il governo, basate sul comando di una parte sola e sull’esclusione di chi non si piega, non sono realistiche perché impraticabili, oltre che inaccettabili. Lo dicono sia Rinaldini nelle conclusioni che Carla Cantone nel suo intervento. Se tra il mercato e la condizione lavorativa non devono esserci mediazione e diritti, il contratto nazionale di lavoro va spazzato via. Vuol dire che si sta peggio oggi che trent’anni fa, che l’attacco è più feroce? No, dice Lettieri, il paragone è improprio perché il contesto globale è diverso, per esempio negli Usa c’è Obama che vuole aumentare le tasse ai ricchi e salva le aziende. L’attacco di Marchionne è fuori contesto: l’ad Fiat pensa di poter imporre in Italia un modello che è in crisi anche negli Usa, non cerca il consenso ma pretende di imporsi. Dentro la crisi il conflitto sindacale è rivolto contro le politiche dei governi, per esempio in Francia e in Spagna, più che contro l’impresa come era negli anni Settanta.
C’è molto di diverso rispetto all’80, quando i delegati erano eletti dai lavoratori dei singoli gruppi omogenei e rappresentavano, difendevano e miglioravano le condizioni materiali di chi li aveva eletti, oggi sono scelti dai sindacati, ricorda Giorgio Airaudo. Inutile dire se era meglio allora, anche se nel dibattito alla Camera del lavoro di Torino lo pensano tutti. Era diverso anche il rapporto della politica, della sinistra, con la classe operaia (si chiamava così). Durante i 35 giorni c’erano due Pci ai cancelli, uno che dal palco metteva il partito a disposizione e un altro che tirava il primo giù dal palco perché la ricreazione era finita e bisognava chiudere un’epoca, si era andati troppo in là. I maligni dicono che Berlinguer ai cancelli era l’uno e l’altro. Oggi di Pci non ce né neanche uno e il Pd ai cancelli non c’è, non riconosce alcuna centralità a chi lavora; meglio tutelare i cittadini consumatori.
Questa volta può finire in un altro modo. Questa volta il testo di un ritorno alla normalità può non essere fatto scrivere dall’avversario – nel ricordo di Pierre Carniti al manifesto – fu il Pci a imporre a Lama di dire a Romiti: scriva lei il testo. Sta qui il senso della manifestazione del 16 ottobre indetta dalla Fiom e fatta propria dalla parte non pacificata del paese.

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