Il pugno della rabbia cieca contro la dignità  femminile

Rispetto degli altri come unico antidoto alla violenza

Rispetto degli altri come unico antidoto alla violenza

Una faccia livida, gonfia, dalle labbra tumefatte su cui spiccano due occhi scintillanti di ira. È lei, la donna picchiata da quel pugno. Ma non vediamo la faccia percossa. Vediamo il pugno che ha appena colpito. Porta sulle nocche il segno dell’urto. Il pugno vuole sconfiggere, umiliare, ferire. Il pugno si porta dietro una sicurezza di millenni, la sicurezza di alcuni privilegi che, una volta toccati e messi in discussione, creano scompiglio, disagio, e una voglia di rivincita che può diventare furia e aggressività incontrollata. Il pugno è il modo più antico e diretto di usare violenza. Il pugno non ha bisogno di armi, è il corpo che si fa arma e proietta la sua rabbia contro il più debole. La donna, che dovrebbe dolcemente acconsentire, ha mostrato la sua voglia di autonomia e ciò ha scosso nel profondo l’anima maschile dalle certezze irrinunciabili. Bisognerà mettere a posto le cose, ristabilire quell’ordine che è stato scriteriatamente sconvolto. È questo il linguaggio del pugno chiuso che si alza a percuotere una faccia, un collo, un petto, un ventre. Il pugno si porta dietro l’idea che la forza del predatore superi tutte le altre forze. Il corpo dell’essere dominante si fa oggetto contundente e colpisce chi vuole punire. Nel modo più elementare che si conosca. La forza con cui l’animale più robusto colpisce e atterra quello meno robusto. Ma l’uomo non dichiara in ogni momento di essere superiore all’animale perché simile a un Dio, che l’ha fatto ragionevole e socialmente evoluto? L’uomo non si arroga il diritto di tenere schiavi e uccidere a suo piacimento gli animali proprio in base al principio che essi sono incapaci di organizzarsi in società evolute? Poiché non dispongono della parola, non conoscono la scrittura, non sanno quello che fanno? Il pugno è la negazione del riconoscimento dell’altro o dell’altra. Il pugno colpisce per non vedere, non parlare, non discutere, non confrontarsi. Il pugno chiede silenzio e paura. Il pugno vuole che l’altro provi paura. Il pugno aspira a intimorire e offendere. Tu, donna, taci, perché la parola non conta più niente. Contano i fatti e i fatti dicono che il mio corpo è più potente del tuo. Il mio pugno te lo dimostra e tu tienilo a mente. Altrimenti dal pugno si passerà al coltello o alla pistola. Troppe donne evitano di uscire dal guscio di una paura atavica, per timore di quel pugno chiuso. Un pugno che le minaccia anche quando camminano o dormono e sognano in pace. I sogni ci rammentano le antiche schiavitù. Le quali, coi tempi ciclici della storia, tornano a farsi ricordare. Troppe donne, di fronte a quel pugno pronto a colpire, si chiudono in un bamboleggiante narcisismo, perché hanno introiettato le minacce maschili e credono di evitare i loro pugni, mostrando una sottomissione teatrale, a volte francamente comica. Troppe donne cercano di esorcizzare quei pugni con un’umiliante esposizione del loro corpo. Un corpo seducente che dovrebbe addolcire la mano maschile. E che invece spesso rende quella mano più brutale e insensata. Poiché chi è abituato a percuotere non si fida, vede trabocchetti dappertutto. Poiché il linguaggio della seduzione femminile, che vorrebbe rabbonire l’avversario, spesso provoca altro odio e altro disprezzo. Troppe donne stentano a capire che la dignità è la sola forza capace di prevenire il pugno. La dignità di chi si propone come persona e non come l’alter ego del tradizionale maschio dominante. ANNI PER I DIRITTI UMANI Il pugno chiede proprio questo: che la controparte usi il suo stesso linguaggio, la sua stessa logica, per colpire impunemente. Ci sono uomini, per fortuna, che hanno rigettato la cultura del pugno. Sono coloro che si mettono dalla parte delle donne. Non solo per generosità, ma per difendere un principio fondamentale: l’uguaglianza degli esseri umani di fronte alle regole di giustizia e di libertà. Forse non sono ancora la maggioranza, ma lo possono diventare, se partecipiamo tutti insieme alla diffusione di una cultura del rispetto e della generosità verso l’altro. Comprendere le ragioni dell’altro. Ecco l’esplosiva rivoluzione della vera politica. L’etica della convivenza. Il rispetto della libertà altrui non porta frustrazione ma appagamento e serenità. È questo che va appreso e fatto apprendere. Agli uomini che hanno capito, a coloro che vogliono vivere nel rispetto dell’altro, chiediamo di partecipare alla campagna contro il pugno chiuso, contro le ragioni della prepotenza, per quelle della comprensione e dell’accoglienza.

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