La battaglia della Val Susa

Unione europea. Se i cantieri della Tav non apriranno entro il 30 giugno l’Italia perderà  i fondi comunitari. Una raffica di lacrimogeni sparati da polizia e carabinieri contro i No Tav anche dopo lo sgombero del presidio. 80 feriti (tra cui anche alcuni agenti) è il bilancio di una giornata di guerra. Fallito il tentativo di mediazione dei sindaci. I No Tav: «Perso un round». Oggi la marcia a Susa

Unione europea. Se i cantieri della Tav non apriranno entro il 30 giugno l’Italia perderà  i fondi comunitari. Una raffica di lacrimogeni sparati da polizia e carabinieri contro i No Tav anche dopo lo sgombero del presidio. 80 feriti (tra cui anche alcuni agenti) è il bilancio di una giornata di guerra. Fallito il tentativo di mediazione dei sindaci. I No Tav: «Perso un round». Oggi la marcia a Susa

PRESIDIO DELLA MADDALENA – Nemmeno i limoni per scacciare il dolore. Nemmeno i boschi per fuggire più sicuri. È stata una pioggia, una raffica di lacrimogeni senza scampo. Lanciati dai plotoni di polizia, carabinieri e finanza contro i No Tav. Anche quando, sgomberato tutto il presidio della Maddalena, i manifestanti sono corsi tra gli alberi, verso Ramats. Lanci violenti e senza motivo. Tra la nebbia, gli occhi rossi e la tosse, il movimento non si è perso d’animo. Sono stati proprio quei passi senza sosta, uno dopo l’altro, in salita e in fila indiana, e quelle voci finalmente amiche dopo la paura mista rabbia, a cementare una nuova forza tra i manifestanti. Una capacità innata di riorganizzarsi e dire, anche dopo una pagina nerissima per la democrazia italiana: «Non tutto è perso». 
La giornata calda dei No Tav è iniziata dopo una notte passata quasi insonne alla Libera repubblica della Maddalena, seguita a una fiaccolata a Chiomonte bella e partecipata (5 mila persone). Allegra, tranne tristi presagi che si sono poi rivelati reali. Alle tre, poco prima dell’alba, l’attesa si fa davvero tesa. Dicono che mezzi e uomini sono partiti sia da Torino che da Bardonecchia. L’ansia sale e ci si ritrova tutti nel piazzale (la cui occupazione è stata pagata al Comune). I volti sono tirati, non si sa proprio cosa potrà accadere, stessa risposta anche per lo storico Marco Revelli che ha passato la nottata con i manifestanti. Poco prima delle 5 il cielo si riempe di fuochi d’artificio. È l’allarme in codice dei No Tav: «Sono arrivati». In forze, oltre duemila uomini sparsi tra gli ingressi al presidio. I manifestanti si spostano verso le barricate: Stalingrado, Saigon o quelle di Giaglione o vicine alla Centrale, sulla strada dell’Avanà. Caschetti, sciarpa, ma c’è pure chi non li indossa. «Sarà dura!», il motto del movimento, e Bella Ciao tengono alto il morale. Alle 5,30, appena le luci dell’alba migliorano la visibilità, spuntano uniformi e mezzi. Molti si piazzano nelle gallerie dell’autostrada Torino-Bardonecchia. Arrivano draghe con pinze, spalaneve e ruspe, un elicottero sorvola la zona. Lo farà per tutta la giornata. Inizia l’attacco, che per le prime ore tenta di logorare i nervi, poi si fa concreto. 
Il primo fronte aperto è quello di Giaglione. Ma anche le altre barricate vengono colpite. I No Tav resistono. Una draga tenta di rompere il guardrail in vetro vicino alla barricata Stalingrado, la polizia spara acqua con gli idranti. I manifestanti si avvicinano alla grata che divide i due fronti. Partono i cori: «Giù le mani dalla Valsusa», «Servi», «Mafiosi». Le pinze del mezzo si avvicinano ai volti dei ragazzi in prima fila con le bandiere. Sulla gallerie corrono in loro soccorso altri manifestanti spruzzano vernice contro il parabrezza dell’addetto alla draga. La tensione sale alle stelle, la polizia ogni tanto esce dalla galleria, impugna gli scudi o fotografa i manifestanti. Arriva la notizia che Giaglione è difficoltà, pure la barricata vicino alla Centrale, dove un serpentone di forze dell’ordine e blindati cerca di sfondarla. «Aiutateli, chi può vada in loro appoggio» chiede Alberto Perino. Turi Vaccaro, pacifista nonviolento, salta la barricata arriva fino alla ruspa («volevo solo benedirla» dirà poi), ma viene preso e fermato dalla polizia. 
Dopo momenti di stallo riparte l’attacco. La difesa diventa complessa. C’è chi tira pietre, ma servono a poco e molti urlano di non farlo. Sanno bene quanto siano già state strumentalizzate e quanti danni abbiano causato al movimento. «L’importante è che ci sia gente» dice una donna. E di persone ce ne sono davvero tante. Un movimento sfaccettato, ricco di anime e di solidarietà reciproca. Non può essere spazzato via dalla violenza della polizia, che – dopo che si è diffusa la notizia dell’ordinanza del Prefetto di sgomberare ogni zona della Maddalena -, pure quella regolarmente pagata dai No Tav, si prepara a sferrare il colpo finale. Gli avvocati scuotono le teste. Tira brutta aria. Il pool di legali aveva, tra l’altro, inoltrato una diffida al Ministero dell’Interno ed alla Prefettura di Torino: oltre ai diversi ricorsi ai Tar del Piemonte e del Lazio, infatti, molti dei terreni interessati dall’azione sono di proprietà privata o concessi dal Comune per manifestazione. Cade la barricata della Centrale e parte il lancio dei lacrimogeni. Fallito il tentativo di mediare dei sindaci, andato in fumo per «una proposta indecente» da parte delle forze dell’ordine: «Vi lasciamo prendere le vostre cose e andare via». La risposta è stata «No». 
La strategia della polizia è ormai chiara accerchiare la Libera repubblica della Maddalena da tre fronti: dalla strada dell’Avanà, da Giaglione e dell’autostrada. Assediare i No Tav, con le maniere forti. Lacrimogeni senza sosta. E, soprattutto, ad altezza uomo. Cadono tutte le barricate. Le forze dell’ordine salgono, vengono da ogni parte. Qualche manifestante rimane ferito (saranno 80, compresi gli agenti, nel bilancio complessivo), altri si sentono soffocare: la Maddalena è una nube. Per chi si attarda è un incubo. «Ci siamo trovati di fronte ad un’operazione criminale, abbiamo subito un attacco che ha messo a rischio la vita dei manifestanti», dichiara Lele Rizzo. Le forze dell’ordine prendono possesso dell’intero presidio alle 9,30 (il cantiere può iniziare!). Bisogna correre, scappare. Una signora dai capelli bianchi e il viso sconvolto urla nei boschi: «Basta». La fuga verso Ramats è iniziata. Da lì ripartirà il movimento, che si ritroverà ancora più unito. La notizia di scioperi di lavoratori di Fiom, Cub e Usb li rallegra. «Abbiamo perso un round, non la guerra. Oggi è andata come si pensava. Non abbiamo potuto resistere a un attacco delle forze dell’ordine che hanno sparato migliaia di lacrimogeni. Andiamo avanti» dice Perino. La risposta del movimento è forte: dai blocchi in Valle a quelli a Torino (a Porta Susa), dall’occupazione del municipio di Chiomonte da parte delle donne del paese alla solidarietà ricevuta in ogni regione d’Italia, fino alla marcia di questa sera a Susa.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password