Ha già ricevuto corrispondenza Ahmad Shaheed, il diplomatico delle Maldive appena nominato Special Rapporteur delle Nazioni unite sullo stato dei diritti umani in Iran. Sei noti attivisti dell’opposizione, detenuti nel carcere Rejai Shahr di Karaj (a nord di Tehran), gli hanno indirizzato una lettera aperta in cui gli chiedono di non limitarsi a chiedere di visitare le carceri ma incontrare anche le famiglie dei detenuti politici.
Ha già ricevuto corrispondenza Ahmad Shaheed, il diplomatico delle Maldive appena nominato Special Rapporteur delle Nazioni unite sullo stato dei diritti umani in Iran. Sei noti attivisti dell’opposizione, detenuti nel carcere Rejai Shahr di Karaj (a nord di Tehran), gli hanno indirizzato una lettera aperta in cui gli chiedono di non limitarsi a chiedere di visitare le carceri ma incontrare anche le famiglie dei detenuti politici.
Nella lettera i sei scrivono di essere stati arrestati per la loro «azione civile attraverso la partecipazione alle elezioni presidenziali del giugno 2009», e di aver cercato attraverso questa di «creare un cambiamento democratico e migliorare la situzione dei diritti umani in Iran». Ma le loro «pacifiche attività» sono state etichettate di «sedizione soft», e con questa scusa i dissidenti subiscono arresti illegittimi, interrogatori infiniti, pressioni mentali e fisiche, detenzione senza possibilità di contattare avvocati, processi senza garanzie di difesa – in violazione dei principio dei diritti umani e delle leggi della stessa Repubblica islamica.
Notizia della lettera è circolata su molti siti dell’opposizione. Sembra che i sei autori della lettera abbiano anche deciso di unirsi allo sciopero della fame cominciato sabato scorso da un altro gruppo di detenuti nel più noto carcere di Evin, a Tehran. Sono 12 persone, il loro digiuno è cominciato in protesta per la morte di due detenuti – Haleh Sahabi, morta di infarto dopo un tafferuglio con le forze dell’ordine durante il funerale del padre, e il giornalista Reza Hoda Saber, morto dopo 10 giorni di sciopero della fame: secondo le autorità sono due casi di morte «naturale».
La protesta dei 12 di Evin è giunto all’ottavo giorno, ed è entrata in una zona di pericolo: giovedì si è avuta notizia che due dei protagonisti sono stati ricoverati nell’infermeria del carcere perché le loro condizioni precipitano. Sono Abdollah Momeni, leader del movimento studentesco riformista, arrestato poco dopo le elesioni del 2009 – era nel «comitato elettorale dei liberi cittadini» che sosteneva Mehdi Karroubi. E Abdolfazl Ghadiani, il più anziano detenuto politico di Evin (ha 65 anni), intellettuale riformista arrestato nel dicembre 2009.
Lo sciopero della fame ha suscitato numerose reazioni – e questo è già un effetto importante. Diverse personalità dell’opposizione hanno fatto appello agli ormai 18 protagonisti della protesta perchè interrompano il digiuno: tra cui i figli di leggendari martiri della rivoluzione (Ebrahim hemmat e Hamid Bakr, a cui sono intitolate vie e piazze in tutto il paese) quelli di Mir Hossein Musavi e Mehdi Karroubi, i leader dell’opposizione riformista. Un simile appello viene dall’Associazione dei ricercatori e studiosi di Qom, gruppo di religiosi riformisti.
Una giornata di solidarietà ai detenuti politici in Iran è stata osservata ieri in diverse città al mondo – compresa Roma. mentre a tehran giovedì la magistratura ha fatto scarcerare Emadeddim Baghi, notissimo giornalista dissidente e fondatore di un gruppo per i diritti civili dei detenuti: lui stesso era uno dei 12 che hanno cominciato il digiuno di protesta. Appena scarcerato ha detto, in un’intervista a Amnesty international, che non smetterà le sue attività: «Molti iraniani restano in galera ingiustamente. Io sono fuori ma metà di me stesso resta là con gli altri».
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