Il Warfare, la causa dimenticata del debito USA

Editoriale di “Vita” del 12 agosto 2011

Se qualcuno, anche solo poco tempo fa, avesse adombrato l’ipotesi di un possibile default degli Stati Uniti d’America sarebbe stato considerato provocatore o matto. Ora la questione ha tenuto tutto il mondo con il fiato sospeso, stante che gli USA hann oraggiunto il tetto, previsto dalla Costituzione, di 14.300 miliardi di dollari di debito pubblico, e si sono riotrvati nell’obbligo drammatico di innalzarlo. Ma qual è la ragione che ha portato a questa crescita esponenziale del debito? Gli analisti più avvertiti indicano tra le sue concause le avventure belliche nelle quali gli USA si sono impegnati negli ultimi anni e il cui costo è stimato in circa 4.000 miliardi, quasi un terzo del debito.

Editoriale di “Vita” del 12 agosto 2011

Se qualcuno, anche solo poco tempo fa, avesse adombrato l’ipotesi di un possibile default degli Stati Uniti d’America sarebbe stato considerato provocatore o matto. Ora la questione ha tenuto tutto il mondo con il fiato sospeso, stante che gli USA hann oraggiunto il tetto, previsto dalla Costituzione, di 14.300 miliardi di dollari di debito pubblico, e si sono riotrvati nell’obbligo drammatico di innalzarlo. Ma qual è la ragione che ha portato a questa crescita esponenziale del debito? Gli analisti più avvertiti indicano tra le sue concause le avventure belliche nelle quali gli USA si sono impegnati negli ultimi anni e il cui costo è stimato in circa 4.000 miliardi, quasi un terzo del debito.

Uno studio elaborato negli USA dall’Institute for International Studies della Brown University Watson (http://www.brown.edu) calcola infatti che i conflitti in Afghanistan e in Iraq costeranno all’America tra i 3,2 e i 4 mila miliardi di dollari. Oltre ai costi diretti (circa 2.000 miliardi di dollari) sono stati sommati quelli indiretti, in particolare derivanti da cure, sostegni e pensioni per i reduci, feriti e disabili. Altra consistente voce è quella degli interessi sui prestiti ricevuti da banche e istituti finanziari (185 i miliardi già pagati, che nel decennio in corso potranno arrivare a 1.000 miliardi), dato che ormai le guerre statunitensi vengono fatte a credito.

Si tratta di stime prudenziali, se consideriamo che già nel 2008 il nobel per l’economia Joseph Stiglitz, assieme a Linda Bilmes, esperta di finanza pubblica, quantificava in 3.000 miliardi di dollari il costo per le casse USA del solo conflitto iracheno. In ogni caso, si tratta di una spesa superiore a quella per l’intera Seconda guerra mondiale.

Il “warfare” e i suoi effetti costituiscono dunque un lascito avvelenato che Barack Obama ha ereditato dalle amministrazioni repubblicane e dalla “guerra infinita” di George Bush, nei cui otto anni di presidenza la spesa militare è aumentata del 30% e che avrebbe voluto aprire persino un nuovo fronte in Iran. Ed è facile capire perché, se consideriamo che queste guerre sono state e sono un enorme business per le corporations del settore, a partire dalla multinazionale Halliburton di cui è stato amministratore delegato sino al 2000 l’ex vicepresidente degli USA Dick Cheney e nella quale ha avuto interessi la stessa famiglia Bush. Basti pensare che il Dipartimento della Difesa USA utilizza in maniera massiccia i cosiddetti contractors, che in Iraq e Afghanistan rappresentano ormai il 54% del personale impiegato.

A quella montagna di miliardi vanno poi aggiunti gli oneri dell’intervento in Libia (almeno 2 milioni di dollari al giorno). Ma, soprattutto, vanno aggiunti i costi umani, che indicano 7.800.000 rifugiati e sfollati a causa degli eventi bellici e ben 225.000 vittime, di cui 6.051 soldati USA e 2.300 contractor; 125 mila vittime civili in Iraq, 11 mila in Afghanistan e 35 mila sul versante pachistano; 1.192 caduti dei Paesi alleati con gli USA; 10 mila militari iracheni; 9.922 membri della sicurezza irachena; 8.756 soldati afghani e 3.520 pachistani; 10 mila morti tra gli insorti talebani (http://costsofwar.org).

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