Si chiamano Audacia, Moby Vincent e Moby Fantasy e sono navi progettate e costruite per vacanze sul mare. Da qualche giorno, però, questi "traghetti di ultima generazione di altissimo standard qualitativo" sono diventati veri e propri centri di espulsione galleggianti. A bordo delle tre navi ci sono da giovedì scorso oltre 300 persone, private dei telefoni cellulari e di qualsiasi possibilità  di comunicare con l'esterno. ">

Prigioni galleggianti per rimpatriare i migranti tunisini

la nave Cie

la nave Cie Si chiamano Audacia, Moby Vincent e Moby Fantasy e sono navi progettate e costruite per vacanze sul mare. Da qualche giorno, però, questi “traghetti di ultima generazione di altissimo standard qualitativo” sono diventati veri e propri centri di espulsione galleggianti. A bordo delle tre navi ci sono da giovedì scorso oltre 300 persone, private dei telefoni cellulari e di qualsiasi possibilità  di comunicare con l’esterno.

la nave Cie Si chiamano Audacia, Moby Vincent e Moby Fantasy e sono navi progettate e costruite per vacanze sul mare. Da qualche giorno, però, questi “traghetti di ultima generazione di altissimo standard qualitativo” sono diventati veri e propri centri di espulsione galleggianti. A bordo delle tre navi ci sono da giovedì scorso oltre 300 persone, private dei telefoni cellulari e di qualsiasi possibilità  di comunicare con l’esterno. Sono quasi tutti cittadini tunisini, scappati dalla loro terra e arrivati a Lampedusa.  Dopo gli scontri di mercoledì scorso sono stati trasferiti con un ponte aereo al porto di Palermo. La Moby Fantasy ha lasciato il capoluogo siciliano sabato notte, alla volta di Cagliari. E da giovedì, di fronte al molo palermitano nel quale sono ancora ferme Audacia e Moby Vincent, un presidio di associazioni sta protestando contro la scelta di trattenere i migranti al di là e al di fuori di ogni garanzia di legalità. Anche grazie all’impegno di Cgil, Arci e altre associazioni, la Procura di Palermo pochi minuti fa ha aperto un’inchiesta.
Abbiamo chiesto ad Anna Bucca, presidente di Arci Sicilia, tra le realtà più attive nella mobilitazione di queste ore, di raccontarci cosa sta accadendo. Nessun giornalista può infatti mettere piede sulle navi, e le notizie che arrivano sono poche e controverse.

Cosa sta succedendo sulle navi ancorate al porto di Palermo?
Da giorni a bordo di Audacia e Moby Prince ci sono centinaia di persone recluse, delle quali non si sa né si può sapere niente. Nessuno può fare foto o video per documentare le condizioni all’interno delle navi e ai migranti è preclusa qualsiasi possibilità di comunicazione con l’esterno. Alle persone trattenute non viene fornita un’informazione chiara sulla loro destinazione e sul loro futuro, né nessun giornalista ha l’autorizzazione a mettere piede sulle imbarcazioni. Si tratta di vere e proprie carceri galleggianti, realizzate in 48 ore al di fuori e al di sopra della legge italiana. Dentro all’Audacia, alla Moby Vincent e alla Moby Fantasy vige la stessa, perversa logica dei Cie, dove sul piano della tutela dei diritti i migranti non esistono.

Ma come viene giustificata una tale situazione?
Ci dicono che stanno “applicando una procedura”. Ma se davvero fosse così, perché tanta paura di far salire sulle navi giornalisti e associazioni? Si tratta di un’operazione fuori da qualsiasi legalità. Le persone immigrate trattenute in quelle navi non hanno commesso alcun reato, non si spiega davvero in alcun modo il perché del ritiro dei cellulari e dell’impossibilità di comunicare con l’esterno. Ecco perché, nell’esposto alla Procura che abbiamo presentato, non abbiamo esitato a parlare di “irregolarità dei trattenimenti dei migranti”: si tratta di detenzione e privazione della libertà operate senza alcuna convalida da parte dell’autorità giudiziaria, reato di una gravità estrema.

Qualcuno racconta di donne, minori e malati che sarebbero sulle navi…
Sappiamo che sull’Audacia ci sono malati e feriti. Alcuni di loro sono stati trasferiti all’ospedale civico di Palermo, altri sono ancora a bordo. Ci sono minori, pare una decina, c’è una donna. Ma soprattutto ci sono centinaia di persone che non sanno quale sarà la destinazione, quale sarà il loro futuro, né per quanto tempo dovranno restare nella loro prigione galleggiante.

Ora che è stata aperta un’inchiesta come intendete muovervi? Continuerete a presidiare il porto?
Siamo venuti qui, di fronte all’attracco delle navi, per far capire che il problema esiste ed è di portata davvero immensa, anche se c’è una scelta precisa di sottrarre questa vicenda alla vista della cittadinanza. Non per niente le navi sono state spostate e “nascoste” di fronte ai cantieri navali, dove nessuno può vederle. E dove nessuno può accorgersi di come le persone che vengono fatte scendere e trasferite in aeroporto siano portate via in manette. Una procedura davvero al di fuori di qualsiasi legislazione in materia. Siamo riusciti a sapere qualcosa di quello che sta accadendo dentro alle navi solo grazie alla testimonianza diretta di alcuni dei migranti che sono stati rimpatriati e di un deputato del Pd, l’unico a poter salire sulle imbarcazioni. Speriamo che l’inchiesta porti i suoi frutti, noi continuiamo la nostra protesta contro una pratica che contrasta con l’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con l’articolo 13 della Costituzione, con gli articoli 2, 13, 14 del testo unico sull’immigrazione e con il regolamento delle frontiere Schengen, che impone che i provvedimenti formali di respingimento o di espulsione siano notificati individualmente con la possibilità di farsi assistere da un difensore. Questa situazione di degrado umano e psicologico è diventata intollerabile: ecco perché non ci fermeremo finché a queste persone non verranno restituiti i loro diritti fondamentali.

(Federica Grandis)

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