Quando prese il posto di Pasolini al «Caos» del Tempo illustrato

MEMORIE. Giorgio Bocca. Fu scelto per la rubrica più prestigiosa del settimanale. Lo scrittore contestato, la ricerca di un sostituto. Un testimone eccellente rievoca il «caso»

MEMORIE. Giorgio Bocca. Fu scelto per la rubrica più prestigiosa del settimanale. Lo scrittore contestato, la ricerca di un sostituto. Un testimone eccellente rievoca il «caso»
Con Giorgio Bocca se ne va un segmento importante del nostro passato, il sogno di un’Italia diversa, più giusta, più rigorosa, più laica, più europea. Lui ha rappresentato come pochi altri questi valori, sin da giovane, tanto è vero che quando la direzione del settimanale Tempo fu costretta dall’editore Palazzi a rinunciare alla firma di Pier Paolo Pasolini, titolare della rubrica di maggior prestigio del settimanale, quella pagina (se non ricordo male era intitolata «Caos») fu affidata proprio a Giorgio Bocca, ritenuto già allora uno dei pochi uomini di penna pronta in grado di sostituire per dirittura etica ed efficacia stilistica il poeta friulano.
Si tratta di una storia poco nota che, nel momento di dire addio a Giorgio, mi pare doveroso rievocare, avendo per altro avuto la fortuna di viverla direttamente, sia pure soltanto di sghembo, tra le quinte.
Le cose andarono così. Quando Nicola Cattedra assunse la direzione di Tempo, sorretto dalla parte più responsabile della redazione, avviò un’opera di risanamento ideologico-editoriale che culminò con l’arrivo di Pier Paolo Pasolini come collaboratore di spicco del settimanale. Apriti cielo! I lettori abituali di Tempo , sino ad allora organo prediletto di benpensanti e tradizionalisti di ogni genere, non tardarono a manifestare il proprio disappunto e la propria ostilità, che crebbero con il passare delle settimane, via via che Pasolini dava sfogo, attraverso la rubrica, al suo estro polemico (nascono così gran parte dei suoi «scritti corsari»).
All’epoca facevo parte della redazione di quel settimanale e, in quanto amico di vecchia data del direttore, raccoglievo spesso le sue confidenze e preoccupazioni. Tra le quali, a un certo punto, divenne preponderante il «caso Pasolini». L’editore ne voleva assolutamente la testa. Cattedra non intendeva dare il benservito allo scrittore ed era alla ricerca disperata di una soluzione di compromesso. Io, suo fidato confidente, ascoltavo ogni sera i suoi sfoghi cercando di irrobustire il più possibile la sua volontà di non cedere alle insistenze dell’editore.
Intanto però continuavano a fioccare le disdette di abbonamento al giornale. Alcune lettere di protesta contro Pasolini erano di un’insolenza inaudita, svelavano l’immenso marcio presente nelle viscere di una parte del Paese. Che fare?
Finalmente una sera Cattedra mi espose un convincente piano d’azione. Il classico uovo di Colombo. Avrebbe parlato con Pasolini esponendogli in maniera dettagliata la situazione, chiedendogli di rinunciare a firmare la rubrica principale del giornale continuando comunque a collaborare con noi in qualità di critico letterario.
Cattedra si disse sicuro che Pasolini avrebbe accettato: era un uomo troppo intelligente per opporre un rifiuto. Io invece espressi qualche dubbio. Ebbi torto. Pasolini accettò senza fiatare, apprezzando anzi il gesto del direttore.
Fu a questo punto che si pose il problema del successore di Pasolini nella rubrica-vetrina di settimanale. Passammo in rassegna non so quanti nomi. Alla fine Cattedra non ebbe più alcun dubbio. Era lui, Giorgio Bocca, il più qualificato a sostenere quel ruolo di fustigatore politico e sociale che era stato nobilmente sostenuto da Pasolini, ma che un’Italia bigotta, ipocrita e parassita aveva voluto defenestrare a ogni costo.

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