Un militante: «In Grecia hanno tirato fuori le pistole. È stato bello»
Un militante: «In Grecia hanno tirato fuori le pistole. È stato bello»
PERUGIA — «Lottare a prescindere da tutto, è questo che manca in Italia», dice l’anarchico individualista del terzo millennio. Quello che a forza di aspettare «il momento giusto» teme di perdere l’attimo fuggente. «E quand’è il momento giusto? Quando lo cogliamo questo cazzo di attimo?… È come i comunisti… aspettare la prospettiva rivoluzionaria! Quale prospettiva? È adesso la prospettiva rivoluzionaria! È subito, ora! Io esco di casa e gli obiettivi ce ne ho quanti me ne pare!… Basta che scendo qui sotto, sai quanti obiettivi c’ho di fronte? Non c’è bisogno di aspettà la manna dal cielo, che non arriva… Sei tu che devi crearti il modo».
Possono bastare poche frasi come queste, intercettate un anno fa da una microspia dei carabinieri del Ros, a svelare il modo di pensare dei nuovi ribelli ora accusati di attività terroristica ed eversiva. Le ha pronunciate il ventiseienne Alessandro Settepani, già arrestato e scarcerato tra il 2009 e il 2010, sotto processo per altri presunti attentati e da ieri nuovamente in prigione, parlando dei diversi modi d’intendere la militanza all’interno della galassia rivoluzionaria. Gli sviluppi giudiziari diranno se possono sostenere imputazioni gravi come quelle mossa dalla Procura di Perugia; di sicuro aiutano a illuminare un mondo dove si discute di violenza e azioni armate a qualche generazione di distanza dai cosiddetti «anni di piombo».
Racconta Settepani che quando stava in galera con un altro compagno riarrestato ieri, «preferivamo che invece di venire a fare il presidietto e a sprecare le forze per quello, la gente facesse altro… Investi le forze per attaccare, non per venirci a dire “liberi, liberi!”… Perché io, quando stavo in carcere e la gente fuori continuava a fare le azioni… cioè, io stavo contento come una Pasqua! Mi sarei potuto fare dieci anni senza problemi!… Non è la briscola e il tresette del bar… È una guerra!».
Così la pensa l’anarchico degli anni Duemila che una volta liberato ha ripreso la sua militanza estrema, quasi alla luce del sole, come dimostra un’indagine fatta di intercettazioni telefoniche, ambientali e postali che gli stessi protagonisti potevano forse immaginare. Ma non sembravano preoccuparsene più di tanto. Più delle parole, per loro contano i fatti; una singola azione vale più di mille elaborazioni teoriche: «Per me qualsiasi attacco è benvoluto — dice ancora Settepani —. Se tu fai l’attacco, se lo puoi fare… puoi prendertela o con un semplice disgraziato Bancomat o con il Parlamento… cioè, puoi dinamitare il Parlamento, ma puoi anche, che ne so, sporcare questo… è sempre un attacco… La cosa più importante per me è che avvenga l’azione diretta! … Mi serve che l’attacco sia capillare, non sia solo riguardo a un settore specifico».
Poco dopo, commentando il resoconto comparso su Internet di un’azione compiuta in Grecia, l’anarchico aggiunge: «’Sti tipi invece di arrendersi e consegnarsi… hanno tirato fuori le pistole… e hanno cominciato a sparare… È stato bello perché insomma alla fine… gente giovane… eh, ventuno… ventiquattro… Ma ti rendi conto che grande … che serietà… che integrità, cazzo!… Sentire che avvengano ancora ‘ste cose!».
Non che i nuovi antagonisti che non disdegnano la violenza siano dei nostalgici della lotta armata anni Settanta, tantomeno di stampo marxista-leninista. Anzi, da quelle esperienze prendono le distanze come fa, in una lettera inviata a uno degli arrestati di ieri, Olga Jkonomidou, la militante greca della Cospirazione delle cellule di fuoco, detenuta nel suo Paese, alla quale è intitolata la «Cellula di fuoco» che il mese scorso ha rivendicato l’attentato all’amministratore delegato di Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi. «Noi a Cospirazione — scrive Olga Jkonomidou nella missiva sequestrata durante una perquisizione — quando diciamo lotta armata non vogliamo dire avanguardia armata o partito armato come dicevano le Brigate rosse o altre organizzazioni comuniste. Noi usiamo la lotta armata per battere il riformismo di alcuni anarchici che sono indifferenti e mettono al margine le azioni dirette» preferendo «azioni pacifiche». Perciò, spiega, «proporremo di non dire lotta armata, ma azione diretta».
Nelle rivendicazioni dei pacchi bomba inviati a dicembre dello scorso anno la Federazione anarchica informale/Fronte rivoluzionario internazionale, cellula «Free Eat e Billy», avvertiva: «Non abbiamo bisogno di specialisti dell’azione, chiunque può armare le proprie mani». Tuttavia qualche mese prima, dal carcere tedesco in cui è rinchiuso, lo spagnolo Gabriel Pombo da Silva diceva al telefono a un compagno italiano: «Non c’ho niente contro la specializzazione, quelli che fanno la rapina, quelli che fanno ordigni belli e così, no?… Però vuol dire lavorare in comune tra noi, tra i diversi gruppi che si muovono in un contesto concreto». E a gennaio scorso, dopo le spedizioni dei plichi esplosivi di cui ora è accusato, aggiungeva: «Comunichiamo tra di noi ed attacchiamo… dalla prassi prendiamo… sai? Costantemente in movimento, e dopo c’è il progetto Fai che vuole raggruppare tutte queste diverse tendenze, nella prospettiva di un’agitazione armata».
Sembrano avere due tipi di avversari, i ribelli riuniti nella Fai/Fri. Da un lato le istituzioni, i loro simboli e i rappresentanti del predominio sotto varie forme; dall’altro i riformisti e chi si accontenta di proteste nonviolente. In una lettera scritta dalla cella dove si trovava nel 2009, ancora Settepani sosteneva: «Il carcere è una brutale gabbia non un albergo; è un’apparato che, come tutti quelli che fanno parte del sistema dominante, va eliminato e non migliorato… L’obiettivo principale di questa mobilitazione è quello di rilanciare la gioia di lottare con la solidarietà internazionale, non impietosire i compagni e spingerli a sostenere i prigionieri compassionevolmente».
Sono gli strascichi di un dibattito che risale a parecchi anni, già presente sul «Foglio anarchico rivoluzionario» col titolo preso a prestito dalla formula del nitrato di potassio, Kno3, individuato da un’altra indagine dei carabinieri del Ros di Roma, nel 2008. Dibattito che prosegue sulle possibili convergenze con altri gruppi e movimenti, come dice sempre Settepani: «Io parzialmente posso essere rappresentato da un comunista rivoluzionario; parzialmente, perché se un comunista rivoluzionario ammazza uno sbirro, parzialmente sono d’accordo con lui! Ha fatto bene, parzialmente… Ma è una merda comunque, perché ha un’opinione di merda».
Giovanni Bianconi
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