Il corpo rimosso del capitalismo

RUSSELL BANKS
Un incontro con lo scrittore statunitense, in questi giorni in Italia per presentare il suo ultimo romanzo, «La memoria perduta della pelle», appena uscito da Dalai. «Quello che mi premeva, era rappresentare un mondo in cui la società  oggettivizza e controlla totalmente le persone riducendole a meri numeri, come in una prigione»

RUSSELL BANKS
Un incontro con lo scrittore statunitense, in questi giorni in Italia per presentare il suo ultimo romanzo, «La memoria perduta della pelle», appena uscito da Dalai. «Quello che mi premeva, era rappresentare un mondo in cui la società  oggettivizza e controlla totalmente le persone riducendole a meri numeri, come in una prigione»

Quasi vent’anni anni dopo la versione italiana di Tormenta e a quindici dalla traduzione de Il dolce domani (corredato nell’edizione tascabile dalla cronaca di un incontro tra il suo autore e Gustav Herling), lo scrittore americano Russell Banks è in questi giorni in Italia per presentare il suo ultimo romanzo, La memoria perduta della pelle (traduzione di Valeria Bastia, Dalai, pp. 415, euro 19,50). Banks è ospite di Ileana Florescu, poliedrica artista nata in Eritrea da madre italiana e papà inglese di origini rumene. Per lei Banks ha introdotto il catalogo Io e Calliope (Elliot Edizioni), corredo cartaceo della mostra omonima allestita fino al 31 ottobre alla Casa delle Letterature (per le cure di Emanuele Nobile Mino e Maria Ida Gaeta), e ha prestato il volto a uno dei personaggi dei dodici fotoromanzi ispirati ad altrettanti capolavori della letteratura mondiale che Florescu ha deciso di reinterpretare fondendo tradizione letteraria e immaginario popolare.
«Conobbi Ileana molto tempo fa – ci ha spiegato Banks – tramite il fotografo e comune amico Arturo Patten. All’epoca mi era stata presentata come studiosa di storia, ma credo già allora coltivasse segretamente la fotografia. Dopo la morte di Arturo, siamo rimasti legati e quando mi ha parlato del suo ultimo progetto ne sono rimasto subito affascinato. Negli Stati Uniti i fotoromanzi appartengono più che altro alla cultura dei latinos, ma io trovo molto stimolante la comunicazione tra forme espressive highbrow e linguaggi pop. Di solito, infatti, le prime si nutrono delle seconde e non viceversa, ma il loro è un apporto più determinante di quanto non si pensi. Era così per Cervantes e i romanzi cavallereschi ed è così anche oggi. In più, l’opera fotografica di Ileana, come quella di Arturo, è molto narrativa, e io mi ritengo uno scrittore piuttosto visuale: in altri termini, se non riesco a visualizzare quello che ho in mente di scrivere, devo ripensarlo finché non si traduce in immagini precise».
Venendo al suo ultimo romanzo, se La legge di Bone poteva intendersi come un omaggio al Mark Twain di Huckleberry Finn, ne La memoria perduta della pelle il calco sembra piuttosto L’isola del tesoro, con il suo precipitato di ambiguità e esotismo. Come è nata questa sovrapposizione tra l’impianto del suo romanzo e quello del capolavoro stevensoniano?
In certo senso è venuta da sé, come riaffiorasse dalla mia memoria di lettore mentre scrivevo. Quando me ne sono reso conto ho deciso di attenermi, deliberatamente, a quel modello, che rappresenta in modo esemplare una storia archetipica, antica come l’epica di Omero. Ciò che più mi colpisce in un libro come L’isola del tesoro è, in effetti, proprio lo statuto dei personaggi, che non sono mai del tutto buoni o cattivi, ma agiscono, anche moralmente, in forza delle circostanze esterne.
Allo stesso modo, i suoi, di personaggi, sembrano delinearsi in funzione del contesto nel quale si trovano coinvolti. Si può dire, perciò, che la loro identità sia determinata dalla società cui appartengono?
Di sicuro questo legame di dipendenza c’è e sebbene io non voglia ridurre il problema della loro fisionomia a un problema della società americana, ovvero della società più capitalistica del mondo occidentale, è altrettanto vero che, osservando gli uomini in relazione l’uno con l’altro, ogni romanziere finisce per descriverli rispetto a un dato ambiente sociale. Personalmente, poi, credo che il romanzo sia davvero un’affermazione anticapitalistica dell’individualità della persona e della soggettività della sua esperienza. Fermo restando che il modello più valido di quello che dico resta il Chisciotte di Cervantes, trovo interessante che come genere a diffusione di massa il romanzo si sia affermato in Occidente proprio nel momento in cui il capitalismo è sembrata una scelta inevitabile e l’esperienza del soggetto come singolo individuo è stata declassata, diminuita nella sua importanza.
Ne La memoria perduta, i protagonisti, di cui veniamo a sapere se non brandelli di biografia lungo lo svolgersi della vicenda, custodiscono gelosamente il proprio passato quasi non volessero essere considerati solo per ciò che sono stati o hanno fatto. Questo effetto risponde a una precisa strategia narrativa?
In parte, sì. E anche qui il modello è quello stevensoniano di dislocazione dei protagonisti dell’Isola rispetto all’ambiente da cui provengono. Nel mio libro Kid, il Professore e tutti gli altri personaggi sono presi e combattuti da due stati d’animo strettamente correlati tra loro: la vergogna e la colpa. La prima discende dal pensare di sé d’essere una persona cattiva, la seconda dall’aver infranto, proprio per questa negatività, la legge. Verso la fine del romanzo, però, Kid capisce la differenza tra colpevolezza e vergogna quando si persuade di non essere una persona cattiva. Leggendo la Bibbia senza condizionamenti o pregiudizi di sorta conquista una visione morale dei propri errori e una libertà esistenziale che lo libera dell’abito che la società gli ha cucito addosso. Anche la scelta dell’anonimato deriva dall’identità che gli è stata sottratta. Quello che mi premeva era rappresentare un mondo in cui la società oggettivizza e controlla totalmente le persone riducendole a meri numeri, come in prigione. L’anonimato, invece, o la scelta di soprannomi con cui i personaggi del romanzo si ribattezzano da soli, equivale a una disperata affermazione di sé.
A proposito di leggi infrante, ne La memoria, che racconta l’incontro tra un maturo sociologo controcorrente e un giovane disadattato, si tratta quasi sempre della violazione di norme sulla sessualità. Norme stringenti cui seguono condanne anche esemplarmente molto eclatanti. Lei creda che in una società avanzata come quella statunitense esista una forma di paranoia sociale – e dunque giuridica – legata al sesso?
Sì, la paranoia esiste, qualsiasi cosa nasconda. Io scrivo opere di finzione per interrogare ciò che mi sembra misterioso, come, appunto, la paura e la rabbia che spingono a fare leggi e regolamenti che controllano la vita sessuale delle persone. Penetrare con il romanzo questo mistero è stato il mio intento, così come cercare di capire il senso della digitalizzazione della vita sessuale ed erotica che passa attraverso la pornografia in rete, soprattutto per i giovani maschi. Di quest’ultima mi interessava approfondire l’aspetto che induce dipendenza. In più, un simile livello di paranoia spinge a punire anche solo le intenzioni, o le presunte intenzioni, come nel caso di Kid, che viene condannato, di fatto, per un reato che probabilmente nemmeno ha commesso, lui che sessualmente non vanta che un’esperienza puramente virtuale… In effetti Kid è una vittima tanto della digitalizzazione della vita sessuale, da lui completamente surrogata attraverso i media, come dell’ossessione protettiva nei confronti dei nostri bambini. Una ossessione che ci porta a vedere pericoli sessuali dappertutto finendo con l’impedire, quale contrappasso, anche un libero sviluppo della sessualità. Kid in altri termini è sia la vittima sia il carnefice di una contraddizione.
Qual è, dunque la sua opinione rispetto alle potenzialità e ai limiti della realtà virtuale?
Naturalmente le possibilità della realtà virtuale sono molteplici e possono essere piegate in bene e in male, va da sé. E però è indubbio che tale forma di comunicazione abbia finito per eliminare l’intimità dell’incontro fisico tra le persone; quell’intimità che si condivide proprio attraverso la pelle. Tutto questo rischia di confondere soprattutto gli adolescenti in ordine al confine tra realtà sessuale e fantasia erotica, portandoli a varcarlo senza averne consapevolezza. Digitalizzata, la sessualità come forma di conoscenza di se stessi e degli altri regredisce da una dimensione comunicativa a una onanistica, masturbatoria. Kid, con la sua ingenuità, la sua solitudine e la sua scarsa istruzione, ne è un esempio perfetto.
È questo, dunque, cui si allude nel titolo del romanzo, la perdita della memoria del nostro essere innanzitutto degli individui che comunicano attraverso il corpo, la pelle, appunto?
È questo ma è anche perdita della memoria di quella conoscenza. Un fenomeno cui si richiama anche l’obesità del Professore, il quale si nasconde agli occhi degli altri dietro la dipendenza dal cibo, ulteriore sindrome sociale di un paese che vive il paradosso del più elevato tasso di obesità del pianeta e della costante ostentazione dell’atletismo, della wellness. Ecco, io credo che una delle più terribili malattie della società capitalistica attuale sia esattamente l’incoscienza della propria fisicità, ridotta, quando esibita nell’immaginario collettivo, a mero valore commerciale.
Tornando alla sua opera, in Italia L’angelo sul tetto non raccoglie che una parte della sua copiosa produzione di racconti, genere che da sempre ha alternato al romanzo. Per lei si tratta solo di una questione di respiro, di due facce della stessa medaglia, o vede tra la forma romanzo e quella racconto una differenza sostanziale?
Dopo dieci anni, una volta terminata la stesura de La memoria perduta della pelle, ho ripreso con gioia a scrivere racconti, ma per me le due forme sono molto diverse tra loro. Quando scrivo un racconto ho l’impressione di usare una parte diversa del cervello. Strutturalmente, il racconto è più simile a una poesia, e diverso, rispetto al romanzo, è il suo rapporto con il tempo. In quest’ultimo caso, si riscontra una relazione mimetica, per cui spesso il tempo storico si identifica con quello narrativo; nel racconto invece, il tempo narrativo agisce su un altro piano, affine, appunto, al tempo lirico. In una poesia o in un racconto, per intenderci, la chiusa non può far tralasciare, nella memoria di chi legge, l’inizio della narrazione: la pone, in un certo senso, al di fuori del tempo. Nel romanzo, invece, la narrazione è piuttosto interna al tempo.

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PROFILO Un intenso rapporto con il cinema

Nato a Newton, nel Massachusetts, il 28 marzo del 1940, Russell Banks appartiene alla stessa generazione di Tobias Wolff, Sam Shepard, Richard Ford e John Irving – scrittori, tutti, che come lui hanno stretto negli anni un particolare rapporto col cinema. Da «Il dolce domani», romanzo del 1991, Atom Egoyan ha tratto sei anni dopo uno dei suoi film di maggior successo, premiato anche a Cannes, e a Banks si era rivolto in un primo momento Francis Ford Coppola per sceneggiare la versione cinematografica di «On the road», da poco uscito nelle nostre sale. Di Paul Schrader è invece la riduzione, nel 1997, di «Affliction» (1989), con Nick Nolte e Sissy Spacek. Autore di più di una dozzina di romanzi e quattro raccolte di racconti, Banks è membro della American Academy of Arts and Letters e ha presieduto l’International Parliament of Writers. Nel 2001 è stato riconosciuto State Author dall’università di New York, dove risiede, succedendo nella carica a Kurt Vonnegut. Quest’anno, per «La memoria perduta della pelle», gli è stata attribuita la Carnegie Medal for Excellence in Fiction. In Italia i suoi libri sono pubblicati da Einaudi e Dalai Editore.

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