«Lui, Eichmann e gli altri Boia felici di esserlo senza mai un rimorso»

 PARIGI — Nel 1943 Serge Klarsfeld sfuggì alla Gestapo, a Nizza. Suo padre venne catturato e deportato a Auschwitz. Serge aveva 8 anni. Il resto della sua vita lo ha dedicato a ritrovare — con l’aiuto della moglie Beate — i capi nazisti per trascinarli in tribunale.

 PARIGI — Nel 1943 Serge Klarsfeld sfuggì alla Gestapo, a Nizza. Suo padre venne catturato e deportato a Auschwitz. Serge aveva 8 anni. Il resto della sua vita lo ha dedicato a ritrovare — con l’aiuto della moglie Beate — i capi nazisti per trascinarli in tribunale.

Signor Klarsfeld, è sorpreso dal testamento di Erich Priebke? Quel suo ripetere che l’Olocausto è un’invenzione, che ad Auschwitz c’erano cucine più che camere a gas, che lui comunque non ha mai fatto altro che ubbidire agli ordini?
«No, sarei sorpreso del contrario. Io ho ritrovato e fatto processare tra gli altri anche Klaus Barbie (soprannominato “il macellaio di Lione”, ndr ), che deportò centinaia di ebrei di Francia e in particolare 44 bambini. Abbiamo mai sentito da lui una parola di pentimento? L’abbiamo mai udita da Adolf Eichmann? Priebke è un boia uguale a tutti gli altri, non fa che ripetere il copione tipico di tutti i nazisti che sono stati catturati dopo la guerra».
Perché, secondo lei? Forse non voleva deludere quelli che avrebbero poi scritto sui muri «onore a Priebke» con la croce celtica? C’è un clima, in Europa, che rende possibile queste assurdità?
«No, non credo sia questo il motivo e non mi sento di lanciare allarmi. A parte qualche imbecille, l’opinione pubblica europea sa che l’Olocausto è esistito e Priebke è morto sapendo di suscitare il disgusto nella stragrande maggioranza della popolazione».
Quindi Priebke è rimasto fedele a una linea concordata?
«Sì, tutti i nazisti catturati hanno sempre risposto allo stesso modo, con quel ritornello di ubbidire agli ordini… Né Priebke né nessun altro ha avuto mai la forza di assumersi le sue responsabilità di boia, di dire la verità, cioè “ammazzavo gli ebrei perché potevo farlo ed ero contento”. Si sono tutti dati un gran da fare nel dare la colpa agli altri, a chi dava gli ordini, anche se molti ordini li hanno dati loro stessi. Forse, in qualche Paese del Medio Oriente dove si contesta ancora l’esistenza stessa dell’Olocausto, Priebke avrebbe persino rivendicato le sue gesta. Non poteva farlo in Italia, in Europa. Ha scelto la rimozione, la negazione. È qualcosa di psichiatrico, comune a tutti loro. Qualcosa che forse ha anche a che fare con il bisogno di poter guardare ancora in faccia i figli, i famigliari. C’è una distanza che lascia sgomenti tra le loro azioni durante la guerra e il loro umore da sconfitti in fuga. Non uno che sia crollato sotto il peso del rimorso».
Che pensa del rifiuto di Roma e dell’Argentina di accoglierne la salma?
«Non saprei, neanche questo mi sorprende. Come non mi ha turbato il fatto che Priebke abbia vissuto tanto. La durata e la qualità della vita non dipendono affatto dalla moralità della persona, come si vede. Altri gerarchi hanno vissuto molto a lungo. Mi consola pensare che anche alcuni deportati sopravvissuti ad Auschwitz ci sono riusciti. Israele disperse le ceneri di Eichmann in mare, l’Argentina non vuole esaudire il desiderio di Priebke di essere sepolto accanto a sua moglie. Mi è tutto sommato indifferente».
Signor Klarsfeld, la sua battaglia continua?
«Continua la mia battaglia per tenere viva la memoria dei deportati, con la mia Associazione dei figli e delle figlie dei deportati ebrei di Francia. Ma la caccia ai criminali nazisti ormai si sta concludendo. Ho sempre cercato di colpire i pesci grossi, quelli che realmente avevano delle responsabilità enormi nell’esecuzione del massacro, e quelli sono morti o sono negli ultimi mesi di vita. A questo punto della vicenda storica bisogna fare molta attenzione».
Che cosa intende?
«Dobbiamo essere in grado di fermarci, di non accanirci. I grandi colpevoli non ci sono più. Resta qualche pesce piccolo, e il problema con loro è accertarsi che abbiamo davvero commesso crimini contro l’umanità. La legge tedesca è la meno selettiva nella materia, consente di arrivare fino ai guardiani dei campi. Ma a questo punto, siamo sicuri che solo per questo siano responsabili? La prospettiva di condannare un innocente mi spaventa tanto quanto quella di lasciare indisturbato un massacratore. Nei prossimi mesi nel Baden-Württemberg verrà organizzato un processo contro uno di questi guardiani, ormai molto anziano. E io non so ancora se vorrò partecipare».
Stefano Montefiori

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