Saggi. «I partigiani della Volante rossa» di Francesco Trento per Laterza. Le azioni armate dopo la Liberazione maturano in un clima di militarizzazione della politica
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L’epopea della Volante rossa

Saggi. «I partigiani della Volante rossa» di Francesco Trento per Laterza. Le azioni armate dopo la Liberazione maturano in un clima di militarizzazione della politica
Saggi. «I partigiani della Volante rossa» di Francesco Trento per Laterza. Le azioni armate dopo la Liberazione maturano in un clima di militarizzazione della politica

L’arco di tempo di un dopo­guerra troppo lungo per essere inteso come una paren­tesi veloce tra equi­li­bri diversi e troppo breve per essere risolto come una tran­si­zione repen­tina e subi­ta­nea è dive­nuto, ora­mai da almeno una ven­tina d’anni, il ter­reno pri­vi­le­giato di eser­ci­zio per revi­sio­ni­smi di diversa natura. Tra di essi, pri­meg­gia quello di Giam­paolo Pansa, che di fatto, facendo pro­pri aspetti signi­fi­ca­tivi dell’auto-narrazione neo­fa­sci­sta sul «san­gue dei vinti», ha offerto ad esso un altri­menti inspe­rato con­senso di pub­blico. Nel discorso di senso comune, infatti, la con­vin­zione che tra il 1945 e il 1948 si sia con­su­mata una lun­ghis­sima scia di omi­cidi poli­tici, effe­rati nella moda­lità della loro ese­cu­zione e, soprat­tutto, moti­vati da un cal­colo d’interessi di cui il Par­tito comu­ni­sta ita­liano sarebbe stato il depo­si­ta­rio, con l’obiettivo di instau­rare una dit­ta­tura comu­ni­sta in Ita­lia pro­ce­dendo ad un vero e pro­prio mas­sa­cro di classe, ha preso lar­ga­mente piede.

Il claim anticomunista

La rilet­tura del lungo e uni­ta­rio periodo che in realtà va dal marzo del 1943, con i grandi scio­peri nelle fab­bri­che del Nord del Paese, all’attentato con­tro Pal­miro Togliatti, è spesso fil­trata dal ritorno di quell’immagine dell’orda rossa che, col­ti­vata a suo tempo dai set­tori più con­ser­va­tori e anti­co­mu­ni­sti della società ita­liana, ha ritro­vato vigore nel momento stesso in cui la con­sun­zione e la morte del Pci decre­ta­vano il venire meno del sog­getto sto­rico al quale erano attri­buite, diret­ta­mente o indi­ret­ta­mente, nefan­dezze di ogni genere e tipo. Di fatto que­sto approc­cio, al di là della sua asso­luta incon­si­stenza sto­rio­gra­fica, oltre a costi­tuire una pre­ven­tiva impu­ta­zione di false respon­sa­bi­lità, che capo­volge il con­creto com­por­ta­mento dei gruppi diri­genti comu­ni­sti in quel periodo, impe­di­sce anche una let­tura pro­ble­ma­tiz­zante di due aspetti che invece si accom­pa­gnano al dopo­guerra ita­liano, ossia la mili­ta­riz­za­zione della poli­tica e il tema della vio­lenza inerziale.

La prima que­stione rin­via alla for­ma­zione di un’ampia leva di mili­tanti sulla base della mili­zia armata o, comun­que, a con­tatto con l’idea che la poli­tica sia essen­zial­mente un eser­ci­zio di pre­va­ri­ca­zione fisica. La seconda rimanda alla com­ples­sità della nozione di guerra civile, lad­dove essa non si riduca solo alla con­trap­po­si­zione tra nemici dichia­rati ma recu­peri il sur­plus di radi­ca­li­smo che si accom­pa­gna allo scon­tro tra indi­vi­dui e gruppi carat­te­riz­zati da comuni radici ma da visioni del mondo e inte­ressi con­trap­po­sti. Una vio­lenza, quest’ultima, che in nes­suna guerra si con­clude con l’atto for­male di ces­sa­zione delle osti­lità, tra­sci­nan­dosi e arti­co­lan­dosi nuo­va­mente — sem­mai — in una serie di rivoli paral­leli, nutriti pro­prio dalla reci­pro­cità dei rap­porti e dalla con­di­vi­sione com­pe­ti­tiva dei mede­simi luoghi.

Il con­trollo del territorio

Così nel con­flitto tra il neo­fa­sci­smo e alcuni seg­menti della base mili­tante comu­ni­sta, peral­tro assai poco pro­clivi, que­sti ultimi, a rico­no­scere al par­tito di rife­ri­mento un ruolo che non fosse quello di sta­bi­lire la cor­nice ideo­lo­gica, all’interno della quale inse­rire ini­zia­tive pro­prie sospese tra dimen­sione spon­ta­nei­sta, una visione atti­vi­stica, se non a tratti quasi sen­ti­men­tale del ricorso alle armi, non­ché una con­ce­zione dell’azione di forza in quanto solu­zione defi­ni­tiva dei con­tra­sti poli­tici come, a volte, anche umani. Il ter­ri­to­rio, e la disputa sul suo con­trollo, a par­tire dai luo­ghi di lavoro e di socia­liz­za­zione, da que­sto punto di vista, costi­tui­sce un ele­mento stra­te­gico. Così come il pro­blema dell’esercizio della giu­ri­sdi­zione politica.

In una fase di muta­mento qual è quella del dopo­guerra, soprat­tutto dopo un lungo con­flitto che ha chia­mato in causa gli stessi civili, quanta legit­ti­mità hanno le isti­tu­zione pub­bli­che, tanto più se sono viste come stru­menti di pre­ser­va­zione del pri­vi­le­gio e delle dise­gua­glianze? Non di meno, a fronte della spac­ca­tura ideo­lo­gica che stava attra­ver­sando l’Italia, il prin­ci­pio dell’auto-organizzazione, insieme all’idea che la Resi­stenza sia un cam­mino rivo­lu­zio­na­rio inter­rotto, da ripren­dere al più pre­sto, quanto contò nella con­di­vi­sione di atteg­gia­menti di for­za­tura, desti­nati poi a tra­scen­dere in vio­lenza ripe­tuta? Aiuta nella com­pren­sione di que­ste dina­mi­che il volume di Fran­ce­sco Trento, La guerra non era finita. I par­ti­giani della Volante rossa (Laterza, pp. 200, euro 18). L’indagine che l’autore effet­tua, attra­verso una rico­stru­zione dei fatti che coin­vol­sero il gruppo di ex par­ti­giani che si costi­tuì a Lam­brate nel secondo dopo­guerra, ripren­dendo gli studi in parte già ope­rati a suo tempo da Cesare Ber­mani, ci con­se­gna un ritratto col­let­tivo a tinte forti. Signi­fi­ca­tivo il pas­sag­gio in cui l’autore evi­denza come «in molti di loro l’inizio della vita adulta, la scelta che porta alla matu­rità, è rac­chiusa nell’atto di disob­be­dienza al regime». Vi è un nesso che lega l’estremismo gio­va­nile, a volte privo di pre­cisi moventi ideo­lo­gici, la con­sue­tu­dine con la lotta armata, la con­vin­zione che l’insurrezione costi­tui­sca l’atto poli­tico per eccel­lenza e l’idea, a tratti roman­tica, della lotta di Libe­ra­zione come tran­sito verso la rivo­lu­zione sociale. In realtà i mili­tanti del gruppo della «Volante rossa» si tro­va­rono ad ope­rare da subito, nell’Italia del dopo­guerra, in un qua­dro di galop­pante disin­canto. Da un lato cor­reva la linea lega­li­ta­ria assunta dai comu­ni­sti, dall’altro il veloce spe­gnersi delle spe­ranze in una tra­sfor­ma­zione degli assetti sociali ed eco­no­mici del Paese in senso egua­li­ta­rio. A ciò, come all’azione «nor­ma­liz­za­trice» dei governi e delle ammi­ni­stra­zioni peri­fe­ri­che, si aggiunse ben pre­sto la recru­de­scenza del neofascismo.

La man­cata epurazione

La man­cata epu­ra­zione e la con­ti­nuità degli appa­rati pub­blici, non ripu­liti delle pre­senze del fasci­smo, diven­tano così i due indici su cui la mili­ta­riz­za­zione degli spi­riti cono­sce una revi­vi­scenza ed un ulte­riore riscon­tro. Non c’è una stra­te­gia pre­cisa ma il biso­gno di ricor­rere alle vie di fatto, in una sorta di rego­la­mento dei conti che sosti­tui­sce l’azione poli­tica, vista come tor­tuosa e distante dalla pro­pria iden­tità. Non è un caso, infatti, se ad essere varia­mente col­piti (dall’intimidazione ver­bale fino all’assassinio), a volte con­fu­sa­mente, siano soprat­tutto gli espo­nenti del neo­fa­sci­smo repub­bli­chino che vivono nelle imme­diate vici­nanze dei loro aggres­sori. Di fatto la «Volante rossa», che pure si diede una qual­che forma orga­niz­za­tiva ma, al suo interno, man­tenne con­fini spesso inde­fi­niti, coniugò il cospi­ra­zio­ni­smo al ricorso al gesto pub­blico come sin­tesi della sua azione poli­tica. Il riflusso seguito al 18 aprile 1948 e all’attentato a Togliatti, decretò ben pre­sto l’insostenibilità di una mili­tanza che tro­vava nell’antifascismo armato il suo punto di coa­gulo. La tran­si­zione post­bel­lica era con­clusa, apren­dosi invece un lungo periodo dove lo sce­na­rio col­let­tivo sarebbe stato carat­te­riz­zato dall’amara fine delle illusioni.

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