La differenza tra il crimine e la miseria

(la Repubblica, GIOVEDÌ, 30 AGOSTO 2007, Pagina I – Milano)

 Anche grazie ai provvedimenti “antilavavetri” prosegue la politica di criminalizzazione della miseria, per citare il titolo di un istruttivo libro del sociologo Loïc Wacquant; così monta sempre di più, se non l´odio, il disprezzo sociale verso i disperati. Pietà l´è morta? chiede, su “la Repubblica”, Gad Lerner, che iniziò la sua carriera di giornalista travestendosi da immigrato per raccontare dell´ordinario razzismo che corre sottopelle al Belpaese.

E non si capisce se la domanda sia retorica. Quel che è certo è che sembra seriamente erosa la capacità della politica e delle istituzioni di svolgere il proprio ruolo: trovare soluzioni, contemperare esigenze diverse, rendere le città vivibili, garantire protezione sociale anche ai più deboli, muoversi in logica di creare comunità, non sentimenti da bunker assediati. Si preferiscono, a destra e a sinistra, le scorciatoie che garantiscano visibilità mediatica e facili consensi, con un richiamo alla legalità che pare usata più come clava che come ovvio e necessario presidio. Si preferisce sfuggire domande scomode sulle cause e radici dei fenomeni. Si evita come la peste la disposizione a mettersi, per un momento, nei panni degli altri. Sarebbe veramente istruttivo (per loro, innanzitutto) se fossero questi severi amministratori, certi editorialisti dal portafoglio gonfio e dal rispetto assicurato, a provare a vivere per strada qualche giorno, con il brontolio della fame e la paura dei topi e delle malattie nella baracca, tra il livore e il disprezzo sociale. Probabilmente non considererebbero più la richiesta (magari sgarbata o insistente: la miseria non aiuta a coltivare i bei modi) di qualche monetina come intollerabile aggressione, come attentato alla tranquillità pubblica.

Alla meglio, si preferisce invece ripetere come litania la formula: «Bisogna coniugare legalità e accoglienza, sicurezza e solidarietà», ben sapendo che di accoglienza e solidarietà ce n´è sempre di meno, proprio in ragione dell´enfatizzazione di una sicurezza e una legalità intese né più né meno che come difesa accanita dei propri privilegi, come muro da erigere per tenere fuori i barbari, vale a dire i poveri. Come spesso in questi casi, davanti alle miopi scelte di “tolleranza zero”, a fronte delle speculazioni politiche, gli atteggiamenti di buon senso vengono da chi nella strada lavora, conoscendone i problemi reali. Come le forze dell´ordine, che di fronte all´accattonaggio o alla mancanza di documenti lasciano correre, ben sapendo che in questi casi la repressione o il rigore non servono, anzi costano e forse sono pure ingiusti. Quel lasciare correre non è lassismo ma è l´antidoto necessario verso politiche incapaci e un incattivimento generalizzato, che non può che produrre rabbia e disperazione, dunque cattiveria di rimando.

Le misure draconiane contro i lavavetri e altre simili rischiano di equivalere al picchiare un uomo legato, consegnandolo in questo modo sì ai racket e alla illegalità da disperazione. Sarebbe davvero un bel risultato. Ma forse l´intento è semplicemente quello di far smettere di discutere degli intollerabili privilegi di caste e corporazioni.

SERGIO SEGIO 

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