Un’eredità che sembra smarrita Anarchici e marxisti le correnti principali
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L’alba della Prima Internazionale

 
 
 
Un’eredità che sembra smarrita Anarchici e marxisti le correnti principali
 
 
 
Un’eredità che sembra smarrita Anarchici e marxisti le correnti principali
 
Escono, certo per caso, quasi contemporaneamente, due libri tra i quali non è fuor di luogo stabilire un collegamento. Un volume che racconta e documenta l’atto di nascita della Prima Internazionale ( Prima Internazionale , a cura di Marcello Musto, Donzelli) e inoltre un libro di Domenico Losurdo significativamente intitolato La sinistra assente (Carocci). Per fortuna l’editore Donzelli si è ricordato che, col 2014, sono 150 anni dalla nascita della Prima Internazionale, e così ha preso la saggia iniziativa di far raccogliere in traduzione italiana i documenti fondativi, a partire dall’indirizzo di saluto di Marx, nonché via via i successivi documenti (per lo meno i principali) della vivacissima vita di quella organizzazione. 
Dopo un secolo e mezzo si può guardare al cammino compiuto a partire da allora con mente sgombra dallo spirito di fazione e concludere che, senza quella grande impresa, la condizione operaia e più in generale del lavoro dipendente sarebbe stata di gran lunga peggiore. La vita tormentata, la fine prematura, la rinascita sotto altre forme (Seconda, Terza, Quarta Internazionale) nulla tolgono alla fecondità di quella iniziativa pionieristica attuata a Londra nel 1864, e grazie alla quale furono posti sul tappeto già tutti i problemi fondamentali di libertà e di giustizia che i liberali, già intorno a quegli anni, avevano ormai dimostrato di non essere in grado di risolvere, e forse non ne avevano ormai più la voglia. 
L’altro volume, opera di uno studioso benemerito della storia politica euro-americana tra Secondo Impero francese e fine del «socialismo reale», affronta invece il vuoto determinatosi a seguito di tale tracollo. Il titolo, La sinistra assente , ben simboleggiato dalla sedia vuota che campeggia sulla copertina, dice molto meno di ciò che il libro contiene. Esso affronta alcuni temi fondamentali che caratterizzano gli attuali comportamenti dell’ex «mondo libero», di dullesiana memoria. In primo luogo la risorgente lotta di potenza contro Russia e Cina, nonché, strettamente connessa a ciò, la capacità degli Usa di tenere per lo più al guinzaglio la inconsistente politica estera della Ue, anche grazie all’apporto di fedeli «quinte colonne». Poco o nulla importa che il capitalismo sia stato restaurato sia in Russia che in Cina (e in Russia anche la ginnastica elettorale): anzi forse questo accentua la rivalità. Prova definitiva, se pur ve ne fosse bisogno, del fatto che lotta di potenza fu già a suo tempo, quando si favoleggiava di una inevitabile lotta contro l’impero del male, e lotta di potenza è adesso. Ammantata però da cangianti foglie di fico: un giorno l’integrità dell’Ucraina, un altro giorno i diritti di libertà dei terroristi islamici ceceni e così via mentendo. 
Un altro tema forte del volume è la sistematica manipolazione dei fatti ad opera della macchina informativa, o meglio disinformativa: dalla esibizione dei cadaveri torturati delle vittime di Ceausescu, trafugati dagli obitori al fine di fabbricare la scena madre, alla grandinata di notizie sul conflitto interetnico jugoslavo. 
Il terzo punto, che dà il titolo al libro, è la autodistruzione della sinistra, ambito nel quale all’Italia spetta un posto d’onore. Non si riesce invero a capire perché mai i tedeschi o gli svedesi, o i belgi, o gli austriaci, abbiano diritto ad avere un partito socialdemocratico nei loro parlamenti, ma non gli italiani. Hanno impiegato oltre quindici anni, dalla «Bolognina» alla nascita del cosiddetto Pd, a demolire quanto ancora restava dell’insediamento sociale, culturale e umano del maggior partito riformista che l’Italia abbia avuto nella sua storia repubblicana, e che Togliatti chiamò «partito nuovo». 
Le simpatie di Losurdo vanno a quella che ancora oggi si chiama «Repubblica popolare cinese». Imbarazzato dalla rinascita, in quel Paese, di un selvaggio capitalismo fondato su una radicale disuguaglianza (non solo di salario, ma anche di condizione umana), Losurdo ricorre ad alcune autorità teoriche, da Trotsky, a Gramsci a Deng, per giustificare, appellandosi a formule quali «collettivismo della miseria», «eguaglianza della miseria comune», lo stato di cose che si è determinato in quel grande Paese, trasformatosi ormai nell’esatto contrario di ciò che si proponeva di essere alla metà del Novecento. Mi sembra uno sforzo ermeneutico mal riposto. Sarebbe molto più utile proporsi di comprendere quale inedita formazione economico-sociale e politica sia nata sotto i nostri occhi in quello che oggi è il punto nevralgico del pianeta. 

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