La bandiera Usa torna sul Male­con

Cuba. Kerry riapre ufficialmente all’Avana l’ambasciata nordamericana

Una data sto­rica, ieri, per Cuba. La ban­diera Usa ha ripreso a sven­to­lare di fronte al Male­con dell’Avana, sull’edificio che ospita nuo­va­mente l’ambasciata nor­da­me­ri­cana. Era dai tempi dello sbarco di Neil Armo­strong sulla luna, nel 1969, che il drappo a stelle e stri­sce non rice­veva tanta atten­zione dalla stampa mon­diale. Circa 500 i gior­na­li­sti accre­di­tati per docu­men­tare la prima visita di John Kerry da segre­ta­rio di Stato, accom­pa­gnato da una dele­ga­zione di 19 per­so­na­lità di governo e da alti rap­pre­sen­tanti della poli­tica sta­tu­ni­tense. Alla dele­ga­zione par­te­cipa Roberta Jacob­son, sot­to­se­gre­ta­ria inca­ri­cata degli affari Usa per l’Emisfero occi­den­tale, che ha gui­dato i nego­ziati con l’Avana per conto del suo paese a par­tire dal 17 dicem­bre scorso. La ceri­mo­nia chiude infatti un primo ciclo di dia­logo ini­ziato in quella data, quando i due pre­si­denti, Barack Obama e Raul Castro, hanno annun­ciato la volontà di rista­bi­lire rela­zioni diplo­ma­ti­che e di ria­prire le reci­pro­che amba­sciate. Il 20 luglio scorso, dopo il viag­gio di una mis­sione cubana a Washing­ton, c’era stata la deci­sione uffi­ciale.
Kerry è il primo segre­ta­rio di Stato Usa a pog­giare il piede sul suolo cubano da 70 anni. L’ultimo a farlo fu Edward Stet­ti­nius nel marzo del 1945, durante l’amministrazione di Harry Tru­man. Il diplo­ma­tico nor­da­me­ri­cano era però già stato a Cuba nel 2000, da sena­tore dello stato del Mas­sa­chus­sets e can­di­dato alla pre­si­denza.
Ex vete­rano della guerra del Viet­nam in cui è rima­sto ferito, nel 1984, appena entrato in Senato, fu quasi l’unico a porsi qual­che domanda sulla poli­tica di Washing­ton nel Cen­troa­me­rica di allora: quella del finan­zia­mento Cia ai car­telli della droga per forag­giare i Con­tras in Nica­ra­gua e la «guerra al peri­colo rosso». Nel 2004, come can­di­dato alla Casa Bianca, dichiarò la sua con­tra­rietà al blocco eco­no­mico con­tro Cuba. E durante l’amministrazione Obama mani­fe­stò qual­che titu­banza di fronte ai fiumi di denaro spesi nella pro­pa­ganda con­tro l’Avana e nei vari piani desta­bi­liz­zanti orga­niz­zati dalle sue agen­zie come l’Usaid. Per que­sto, non è ben visto dall’estrema destra di Miami. Una dif­fi­denza mal ripo­sta, stando a una recente inter­vi­sta rila­sciata da Kerry al New Herald di Miami: «Con­ti­nue­remo a finan­ziare i pro­grammi per la demo­cra­zia e tutte le altre cose che abbiamo finan­ziato nel pas­sato», ha detto. E anche se gli anti­ca­stri­sti non sono stati rice­vuti durante la ceri­mo­nia uffi­ciale, per loro — ha assi­cu­rato Kerry — ci sarà spa­zio dopo.
Se, anche in que­sta nuova fase, il Pen­ta­gono man­tiene i suoi pro­grammi, resta in piedi quel che ha rive­lato qual­che anno fa uno dei prin­ci­pali agenti cubani sotto coper­tura, Raul Capote, che riu­scì a farsi reclu­tare dalla Cia e ne sco­prì le carte. A Capote, gio­vane pro­fes­sore e pro­met­tente scrit­tore ven­nero dati grandi mezzi per costruire una nuova lea­der­ship addo­me­sti­cata. Intanto, l’economia e la poli­tica socia­li­sta sareb­bero state desta­bi­liz­zate, si sareb­bero sca­te­nate rivolte san­gui­nose. Allora — la scan­denza era fis­sata per il 2015 — si sareb­bero fatti avanti i nuovi Walesa o nuovi Gor­ba­ciov, per “sal­vare” il paese con una poli­tica anche venata di sini­stra, ma ben con­trol­lata dagli Usa. Capote parla di un per­so­nag­gio chiave della Cia, inca­ri­cata d’affari in quello che è finora stato un covo di spie sul Male­con, Kelly Kei­der­ling. La stessa vista in azione in Vene­zuela, da cui è stata espulsa pro­prio su indi­ca­zione cubana.
Il giorno prima dell’alzabandiera Usa, Cuba ha festeg­giato gli 89 anni di Fidel Castro. Il vec­chio lea­der ha rice­vuto la visita dei suoi “eredi” del XXI secolo, Nico­las Maduro ed Evo Mora­les e si è fatto vedere in giro con loro. E gli sono arri­vati mes­saggi da ogni parte del mondo, dai lea­der e dalle orga­niz­za­zioni popo­lari. Lui ha rispo­sto con un testo dal titolo quanto mai signi­fi­ca­tivo, «Cuba fra realtà e sogni»: la realtà di un mici­diale blocco eco­no­mico — ancora in piedi — che non è riu­scito a spez­zarne le reni ma che ha anzi mostrato tutto il suo fal­li­mento. E per que­sto gli Usa non tor­nano certo da vin­ci­tori. La realtà delle cifre, illu­strate da Fidel, che mostrano i costi del capi­ta­li­smo e delle guerre. I sogni che si rin­no­vano nel volto di una nuova Ame­rica latina inten­zio­nata a non tor­nare indie­tro, nono­stante gli attac­chi delle destre e la pres­sione costante degli inte­ressi nordamericani.

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