Una storia pulita nell’eco sonante degli anni Set­tanta

Narrativa. “Diretto verso l’ignoto. Fuga dagli anni di piombo” di Giorgio Galli per Memori

Le libre­rie tra­boc­cano di nar­ra­tiva sugli anni Set­tanta. I suoi pro­ta­go­ni­sti, nel corso del tempo, hanno cer­cato di inqua­drare un feno­meno a suo modo epo­cale, almeno in Ita­lia. Dif­fi­cile però oggi imbat­tersi in qual­cosa di nuovo, che abbia cioè la capa­cità di uscire dal già detto che con­trad­di­stin­gue il tema. Il libro di Gior­gio Galli – Diretto verso l’ignoto. Fuga dagli anni di piombo, Memori, pp. 176, euro 16.50 — è invece un’eccezione.

L’autore, un pit­tore romano, rac­conta della sua fuga dall’Italia per l’Africa del nord nel 1978, una fuga det­tata dalla neces­sità di evi­tare l’arresto vista la sua mili­tanza in un gruppo armato. Il rac­conto segue il filo per­so­nale dei ricordi, non si abban­dona mai ad inter­pre­ta­zioni ogget­tive; l’autore sce­glie cioè l’ambito «peri­co­loso» della nar­ra­zione «intima». Ter­reno sci­vo­loso pro­prio per­ché carico di quel senno di poi che impe­di­sce di com­pren­dere il feno­meno poli­tico di quel decen­nio. La forza del libro sta però pro­prio nell’escludere, in ogni momento, quel «senno di poi». Il ricordo di un uomo, messo in crisi dalla figlia pic­cola che sco­pre a scuola di avere un padre «ter­ro­ri­sta», e che cerca nelle emo­zioni pro­vate nella sua vicenda le parole e le imma­gini per spie­gare che cos’erano gli anni Set­tanta e per­ché una parte di quella gene­ra­zione fece quelle scelte.

Come spie­gare ad una bam­bina degli anni Due­mila, in cui ogni mili­tante poli­tico è descritto come para-terrorista o per­sona da evi­tare, il senso di que­gli anni e le scelte di un ragazzo di 19 anni? L’autore sce­glie di ricor­dare una sua par­ti­co­lare espe­rienza, la sua fuga dall’Italia insieme ad un altro com­pa­gno. Il rocam­bo­le­sco ed avven­tu­roso viag­gio attra­verso il Medi­ter­ra­neo ser­virà a Gior­gio Galli per riflet­tere sulla sua vicenda umana e poli­tica, ma anche come mezzo per rac­con­tare un’esperienza più generale.

La con­di­vi­sione di un’esperienza, la par­te­ci­pa­zione come evento col­let­tivo capace di met­tere in comune le pro­prie vite, il rischio e la gioia di par­te­ci­pare a qual­cosa più grande di se stessi. Senza mai rin­ne­gare nulla o, al con­tra­rio, senza alcun redu­ci­smo infan­tile o dan­noso. Sba­gliati forse i tempi e modi, lascia inten­dere il padre alla figlia, ma il senso di ingiu­sti­zia pro­vato da quella gene­ra­zione, la lotta per abbat­tere quel tipo di mondo, sono valori da pre­ser­vare e che non vanno demo­niz­zati come invece accade oggi. Per­ché l’ingiustizia è carat­te­ri­stica anche del presente.

Non c’è «giu­sti­fi­ca­zio­ni­smo» nelle parole di Gior­gio Galli, quanto il ten­ta­tivo di com­pren­dere scelte pri­vate in un dram­ma­tico con­te­sto col­let­tivo. È così che attra­verso un agile rac­conto di nean­che due­cento pagine si rie­scono a resti­tuire i motivi di fondo di que­gli anni, sfrut­tando la sined­do­che della fuga verso l’Africa come viag­gio di una gene­ra­zione esa­spe­rata da con­trad­di­zioni insa­na­bili. Con­trad­di­zioni dif­fi­cili da far intuire ad una gene­ra­zione distante come quella odierna, ma il ten­ta­tivo sem­bra cogliere nel segno. «Non era­vamo ter­ro­ri­sti, non l’abbiamo mai pen­sato, è una parola inven­tata da altri. Ci sen­ti­vamo rivo­lu­zio­nari, ma abbiamo perso e la sto­ria è scritta da chi vince». Un libro che non ha pre­tese di esau­sti­vità, pro­prio per que­sto più effi­cace e, in fondo, più utile per comprendere.

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