L’autobiografia di Teresa Noce, data alle stampe per la prima volta nel 1974, ci parla di un mondo che non c’è più. La distanza ormai siderale tra quel Novecento e questo XXI secolo non è calcolabile nei soli anni trascorsi, quanto nella trasformazione di una comunità umana antropologicamente discordante con quella odierna. Viene evocato, attraverso i ricordi dell’autrice, un mondo fatto di sacrificio e disciplina, di grigia militanza, senza mai cedere alle retoriche mitopoietiche molto in voga in questi anni. Non è l’avventurosa vita di un’eroina popolare questa, e neanche l’esaltazione di uno stile di vita romantico. E’ la sofferta e metodica militanza quotidiana di una donna del popolo, nata nella povertà e che decide di mettere a disposizione la propria misera vita per una causa più generale. Le avventure nella quale viene catapultata avvengono suo malgrado. Un piccolo e ininfluente pezzo dell’ingranaggio collettivo di emancipazione delle classi subalterne, eppure capace di incidere nella storia. Nata e cresciuta nella povertà e nello sfruttamento, autodidatta per vocazione, operaia per necessità, Teresa Noce attraverserà il Novecento da protagonista: dal biennio rosso all’avvento del fascismo, dalla clandestinità alla Guerra di Spagna, dalla guerra partigiana (due volte partigiana: in Francia e in Italia) alla Costituente, una delle ventuno donne elette nel 1946 per scrivere la nuova costituzione antifascista. La tenacia è alla base della vita di Teresa Noce, ma soprattutto s’impone nel racconto quella dimensione collettiva che permette ai più umili figli del popolo di partecipare e di incidere nella società. Questo, in fondo, è il lascito duraturo del secolo breve, al di là di tutte le sue tragedie. Difficile trasmettere oggi il senso della disciplina di partito, mettersi al servizio di una causa senza tornaconti personali. Eppure tutta la vicenda raccontata in questa autobiografia ci parla di questo. Senza celare punti di vista, critiche, debolezze, senza cioè annullare la propria individualità nella dimensione collettiva. E’ una continua dialettica tra necessità ambedue umane: il bisogno di cooperazione e la difesa della propria soggettività. L’equilibrio si ritrova nella dimensione politica di cui Teresa Noce è massima portavoce. Tutta la vita dell’autrice è dentro una militanza politica che però non tracima mai nel politicismo, men che meno nel “carrierismo” con cui oggi si vorrebbe liquidare la “vita di partito”. La politica è lo strumento con cui lei, e per sineddoche tutta la classe operaia del Novecento, cerca e trova quell’emancipazione altrimenti impensabile. Non è una scelta dettata dalla volontà: è la dura realtà che si impone sull’esistenza individuale. Solo la politica permette ad una modesta operaia tessitrice torinese, figlia di proletari, senza un padre, con la madre e il fratello morti precocemente e, infine, senza doti personali straordinarie (cioè, etimologicamente, fuori dall’ordinario), di divenire agitatrice sindacale, poi militante di partito, giornalista, dirigente internazionale, e infine co-autrice della nostra Costituzione, quella che ancora oggi regge le traballanti sorti del nostro paese. Una “madre della patria”, in mezzo a tanti “padri” d’incerta origine. Non è la “storia del Pci” che prende forma dalle pagine di questa autobiografia, sebbene la Noce abbia contribuito alla sua fondazione, ma la storia di un movimento operaio che esercita la propria pressione sul movimento comunista internazionale. Un movimento “senza santi né eroi”, se non quelli che autonomamente decide di elevare a sintesi di un processo collettivo. Rileggere oggi l’autobiografia di Teresa Noce, nella bella edizione di RedStarPress, serve allora a capire da dove veniamo e cosa abbiamo perso per strada in questi decenni. Non per autocommiserarci, ma per guardare al futuro forti di un bagaglio di esperienze che nessun revisionismo potrà velare.
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