25 aprile. La strada per la Liberazione fu «aspra, sanguinosa, divisiva»

«Resistenza. La guerra partigiana in Italia (1943-1945)», una nuova raccolta di saggi storici edita da Carocci

«Resistenza. La guerra partigiana in Italia (1943-1945)», una nuova raccolta di saggi storici edita da Carocci

Che la guerra partigiana in Italia sia stata, per vari motivi, una delle pagine più drammatiche della nostra storia non è un segreto. Per lo stesso motivo, è stato un capitolo spesso evaso nel discorso pubblico, oppure affrontato attraverso un racconto nazionalpopolare, che distribuisse in egual misura un po’ di merito a tutti gli italiani. A farne le spese è stata, però, la verità storica su un conflitto con molti episodi controversi, e che ha preso spesso la piega di una guerra civile.

TUTTO CIÒ È SPIEGATO in maniera magistrale nel nuovo libro Resistenza. La guerra partigiana in Italia (1943-1945), curato da Filippo Focardi e Santo Peli e pubblicato nella collana «Frecce» da Carocci (pp. 425, euro 39). Questo nuovo volume – una raccolta di saggi divisa in tre sezioni, «Combattere», «Vivere», «Raccontare» – risulta particolarmente prezioso per tornare a considerare la Resistenza italiana da una prospettiva completa, oltre che per guardare il partigiano «così com’era, non come vorremmo fosse stato», come disse Nuto Revelli in una lettera del 1955.

Questo era il nostro partigianato: un’esperienza meravigliosa perché vissuta da gente diversa – mille tipi con mille idee – da gente diversa che s’era ritrovata proprio nel partigianato, nella lotta. Gente comune, con pregi e difetti, non un esercito di santi – Nuto Revelli

D’ALTRONDE, la lotta armata fu affrontata dagli stessi partigiani nel mezzo di cocenti dilemmi morali. L’orrore di dover decidere per la vita e la morte degli altri era un tema molto sentito, come testimonia una stralcio di racconto preso dal giornale della divisione Chichero, e riportato da Chiara Colombini: «Avrei preferito che fosse stato Beppe a uccidere. Beppe era più deciso, più rotto alle imboscate. Berto invece (…) era un bimbo grande». I rimorsi di coscienza restano, ma resta anche la consapevolezza di combattere per qualcosa di più grande. Il partigiano «Berto», infatti, dopo aver passato una notte in preghiera ritorna: «Ho finito per sentire che avevo la coscienza a posto, che potevo tornare a fare il partigiano».

* Fonte/autore: Paolo Viganò, il manifesto

 

 

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