12 dicembre 1969 – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 03 Dec 2019 09:45:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Mezzo secolo dopo, commemorazioni divise per l’anarchico Pinelli https://www.micciacorta.it/2019/12/mezzo-secolo-dopo-commemorazioni-divise-per-lanarchico-pinelli/ https://www.micciacorta.it/2019/12/mezzo-secolo-dopo-commemorazioni-divise-per-lanarchico-pinelli/#respond Tue, 03 Dec 2019 09:45:13 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25817 La famiglia convoca una «catena musicale», il Ponte della Ghisolfa va da solo: «Non ci sono le condizioni politiche minime per una adesione»

L'articolo Mezzo secolo dopo, commemorazioni divise per l’anarchico Pinelli sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>

MILANO. Quello di Giuseppe Pinelli è un corpo sospeso da mezzo secolo. In piazza Fontana, dove il 12 dicembre del 1969 una bomba alla banca dell’Agricoltura causò 17 vittime ancora senza giustizia e fece capire a tutti che l’aria nazionale era più torbida di quello che si potesse pensare, ci sono due targhe a ricordarlo. Una firmata dagli «studenti e democratici milanesi» in cui si parla di lui come «ucciso innocente» nei locali della questura, e un’altra messa lì dal Comune, in cui la formula diventa «morto innocente». Indagini, inchieste, processi, informazione e controinformazione: l’anarchico Pinelli, ferroviere, sindacalista, esperantista, militante del Ponte della Ghisolfa, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre volò giù da una finestra della questura del commissario Luigi Calabresi. La verità ufficiale parla di «malore attivo» e conseguente caduta, ma le ombre che circondano i poliziotti che lo stavano tenendo in stato di fermo da quasi tre giorni sono lunghissime, e i dubbi spesso sembrano certezze. Cinquant’anni dopo, la memoria è ancora in bilico e sulle commemorazioni (plurale necessario) di quei fatti c’è divisione nell’universo anarchico italiano. Il 14 dicembre la famiglia Pinelli ha convocato «una catena musicale» che porterà da piazza Fontana alla questura nel nome di Pino, delle vittime della strage e delle «false e depistanti accuse agli anarchici che portarono anni di carcerazione all’innocente Pietro Valpreda». Le firme in calce sono quelle della moglie del ferroviere Licia, delle figlie Silvia e Claudia e della sorella Liliana, venuta a mancare lo scorso ottobre. La lista delle adesioni è chilometrica; centinaia di nomi (tra cui quello di Adriano Sofri, per esempio) e di realtà diverse: Acli, Arci e Anpi di varie città, centri sociali, collettivi studenteschi, associazioni, la rivista A di Paolo Finzi, sezioni del sindacato libertario Usi e della Federazione Anarchica Italiana. «Abbiamo deciso di fare le cose in maniera più aperta e plurale possibile – dice Silvia Pinelli al manifesto -, d’altra parte anche cinquant’anni fa per Pino si mosse la società civile, i compagni certo, ma anche un fronte che andava dai cattolici all’alta borghesia. È quello che vogliamo far accadere anche adesso con la catena musicale». Qualcuno però non ci sarà, ovvero il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, la casa politica di Giuseppe Pinelli, il luogo dove ha speso una parte consistente della sua militanza. Il comunicato di dissociazione dalla catena musicale è durissimo. «Non ci sono le condizioni politiche minime per una adesione», dicono. Spiega Mauro Decortes, storico militante del Ponte: «Nei testi diffusi dalla catena musicale manca sempre il contesto di quegli anni, inizialmente non era nemmeno citato Valpreda… Noi siamo sempre stati aperti, abbiamo invitato a partecipare tanta gente, non solo del mondo anarchico. Il problema non è però l’apertura verso l’esterno, ma il fatto che ci devono essere dei valori e dei caratteri chiari. Non ci piace che tutto debba ridursi a una sorta di messa obbligatoria, certe lotte sono ancora vive e questo va ribadito sempre. Pinelli, d’altra parte, non era solo un padre di famiglia, ma anche un compagno, un militante molto attento che immaginava e lottava per una società diversa. Non possiamo fare di lui una figurina istituzionale. Diceva Valpreda che credere nella verità non vuol dire credere nella giustizia». Il Ponte andrà in corteo il 12 dicembre, e poi il 15 al Leoncavallo si terrà una serata intitolata «Pinelli assassinato, Valpreda innocente. La strage è di stato» (a ricordare che i due compagni «non sono morti per la democrazia ma per l’anarchia», come da striscione più volte esibito in varie manifestazioni e iniziative), con la partecipazione tra gli altri di Ascanio Celestini e Saverio Ferrari. E qui invece a mancare saranno la compagna e le figlie di Pinelli. «Siamo state attaccate senza motivo e sempre sul personale – commenta ancora Silvia -. Fa male perché in tanti anni non ci è successo con la polizia, i fascisti o la mafia e invece adesso certe parole arrivano da parte di persone che pensavamo essere nostre amiche». Dal Ponte la risposta è agrodolce. Sostiene Decortes: «È una questione che ci addolora, sono state dette e scritte tante falsità anche su di noi, e comunque voglio sottolineare che con Licia non ci sono mai stati problemi, anzi ci sentiamo spesso ancora adesso. C’è molta psicologia in questa storia, molte questioni di ego, come se una parte della sinistra volesse comparire e basta, un po’ per piccoli interessi e un po’ forse per senso di colpa. La nostra, ad ogni modo, è una critica politica e non personale». Intorno, mentre Milano si appresta a ricordare Pinelli in ordine sparso, tutto è ancora fermo: la bomba, la strage, i fascisti ora condannati, ora assolti e ora condannati di nuovo, le complicità di stato, il volo di Pino, l’omicidio Calabresi, la strategia della tensione. Il mistero non è più indagato, resta la memoria sospesa di un paese che da sempre confonde la pace con la rimozione. * Fonte: Mario Di Vito, il manifesto

L'articolo Mezzo secolo dopo, commemorazioni divise per l’anarchico Pinelli sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>
https://www.micciacorta.it/2019/12/mezzo-secolo-dopo-commemorazioni-divise-per-lanarchico-pinelli/feed/ 0
Giuseppe Pinelli, mezzo secolo dopo https://www.micciacorta.it/2019/07/giuseppe-pinelli-mezzo-secolo-dopo/ https://www.micciacorta.it/2019/07/giuseppe-pinelli-mezzo-secolo-dopo/#respond Sat, 13 Jul 2019 09:47:30 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25549 Scaffale. «Pinelli l'innocente che cadde giù» di Paolo Brogi

L'articolo Giuseppe Pinelli, mezzo secolo dopo sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>

Mezzo secolo ci separa, ormai, dalla madre di tutte le stragi e dalle ingiustizie che ha portato con sé. Il 12 dicembre del 1969 una bomba esplode nella Banca nazionale dell’agricoltura, in Piazza Fontana, a Milano: muoiono 17 persone, 88 sono i feriti. È LA PRIMA grande strage di una stagione che intorbidirà, di sangue e non solo, almeno un quindicennio di storia nazionale. Cinquant’anni dopo, ci ritorna Paolo Brogi, con il suo Pinelli, l’innocente che cadde giù (Castelvecchi, pp. 152, euro 17,50). Lo guardo è obliquo, ma l’osservazione è generale. Brogi sceglie un punto di vista e una vicenda specifica per tornare a raccontare la storia infinita di quella che fu icasticamente definita la «strage di Stato»: la morte di Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della Questura di Milano, la notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, quando era in stato di fermo perché «gravemente indiziato» di essere partecipe dell’attentato. MA DALLA MORTE di Pinelli, lo sguardo subito si allarga alle cause della impunità della strage. Nella minuziosa ricostruzione delle carte e delle testimonianze sulla morte dell’anarchico milanese, si affacciano fin da subito azioni e attori dei depistaggi che hanno lasciato la strage orfana di responsabilità penali e politiche. All’indomani della strage («la sera stessa», dice beffardamente qualcuno di loro), la Questura di Milano era occupata dagli agenti dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno. EPPURE, nelle indagini sulla morte di Pinelli, la loro presenza non è neanche registrata. Si muovono come ombre in quelle stesse stanze in cui decine di fermati vengono trattenuti e interrogati. Fantasmi che torneranno alla luce solo negli ultimi svolgimenti delle indagini su Piazza Fontana e dintorni, ma mai messi in relazione a quelle ore in cui «l’innocente cadde giù». Eppure, gli uomini degli Affari riservati non furono estranei alla pista anarchica, al grande depistaggio che vide vittime prima Pinelli e poi Pietro Valpreda, a lungo il nemico perfetto cui attribuire le responsabilità di una strage che invece era stata voluta, eseguita e coperta a destra, da gruppi neofascisti e apparati deviati. Anzi, ne furono gli attori più solerti e consapevoli. Ma in quelle ore, era come se non ci fossero. IL LAVORO di Brogi si avvale, in particolare, della desecretazione di documenti riservati fino alla direttiva Renzi del 2014. Tra le altre cose, dalla seconda inchiesta sulla morte di Pinelli – quella svolta da Gerardo D’Ambrosio e che si concluderà con la fantasiosa tesi del «malore attivo», che avrebbe fatto cadere Pinelli dall’altra parte della finestra, nella stanza in cui si trovava al termine della lettura del verbale dell’interrogatorio – emerge un graffio su un dito di una mano del brigadiere Panessa, il più prossimo a Pinelli nel momento del «malore attivo», di cui egli stesso si era dimenticato per due anni e della cui rilevanza, comunque, nessuno gli ha mai chiesto conto. BUCHI, incongruenze, incoerenze che hanno segnato i due iter giudiziari, quello per la responsabilità della strage e quello per la morte di Pinelli. IL RACCONTO di Brogi si avvale, infine, delle testimonianze delle figlie di Pinelli, Claudia e Silvia, che all’epoca avevano 8 e 9 anni e che si porteranno dietro per tutta la vita, non solo l’improvvisa e inspiegata perdita del padre, ma anche l’essere state sue figlie, motivo di curiosità e di solidarietà nelle scuole e nella Milano degli Settanta, responsabilità di una memoria da quando la madre Licia ne ha passato loro il testimone. «In questi anni – scrive Claudia al padre – ci sei sempre stato e hai permesso incontri, sguardi, condivisioni … Molta strada è ancora da percorrere… ma resisteremo a queste ondate di xenofobia e razzismo… e continueremo a credere che un mondo nuovo… è possibile». * Fonte: Stefano Anastasia, IL MANIFESTO

L'articolo Giuseppe Pinelli, mezzo secolo dopo sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>
https://www.micciacorta.it/2019/07/giuseppe-pinelli-mezzo-secolo-dopo/feed/ 0
Strage del 12 dicembre a Milano, 48 anni di domande https://www.micciacorta.it/2017/12/23939/ https://www.micciacorta.it/2017/12/23939/#respond Sun, 10 Dec 2017 15:11:16 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23939 Che cosa accadde veramente a Milano il 12 dicembre del 1969?

L'articolo Strage del 12 dicembre a Milano, 48 anni di domande sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>

A distanza di tanti anni ancora senza risposta alcuni interrogativi: quante furono le bombe pronte ad esplodere? Perché fin dalla mattina si era sparsa la notizia della strage? Martedì 12 sono 48 anni dalla strage di Piazza Fontana. Quell’attentato del 12 dicembre del 1969, che provocò 17 morti e 87 feriti, continua a trascinare con sé, a tanti anni di distanza, domande e interrogativi. Che cosa accadde veramente quel giorno a Milano? QUATTRO E NON DUE LE BOMBE? La mattina del 13 dicembre sulla prima pagina del quotidiano della Democrazia cristiana, Il Popolo, comparve la clamorosa notizia del ritrovamento verso la mezzanotte del giorno prima, «in via Monti», di un «altro ordigno», poi «disinnescato e reso inoffensivo» dagli artificieri. Notizia rimasta senza alcun seguito. «l’Unità», a sua volta, il 18 dicembre, a pochissimi giorni dalla morte di Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura, pubblicò in edizione nazionale il resoconto di una conferenza stampa tenuta dagli anarchici del Circolo Ponte della Ghisolfa, con la denuncia del ritrovamento di altre due bombe inesplose, taciute dalla polizia, nella sera stessa del 12 dicembre, una in una caserma militare e l’altra in un grande magazzino. La questura smentì immediatamente. Su questa vicenda il quotidiano comunista ritornò mesi dopo, il 26 febbraio, scrivendo di «due ordigni» rinvenuti «presso il negozio di abbigliamento della Fimar in corso Vittorio Emanuele» e la «caserma di via La Marmora» (nei pressi di via Monti), denunciando il giorno successivo con un altro pezzo in prima pagina come ai vigili urbani, autori del rinvenimento, e «ai loro dirigenti», fosse stato «imposto il silenzio». QUALI PROPORZIONI avrebbe dovuto assumere la strage di Milano? Di chi furono le eventuali responsabilità nell’occultamento degli ordigni ritrovati? Domande che meriterebbero una risposta, pur a distanza di tanti anni. Domande non inutili per sapere chi decise di manipolare la verità. Si spiegherebbe finalmente in questo modo anche il motivo dell’acquisto da parte di Franco Freda, riconosciuto come uno dei corresponsabili della strage, di quattro borse a Padova, solo una delle quali fu rinvenuta intatta con dentro la bomba inesplosa alla Banca commerciale di piazza della Scala. UNA STRAGE ATTESA DA ORE Anche un’altra concatenazione di fatti, antecedente la strage, non è mai stata sufficientemente indagata. Nel memoriale di Aldo Moro redatto nei cinquantacinque giorni della sua prigionia ad opera delle Brigate rosse, tra il 16 marzo ed il 9 maggio 1978, rinvenuto nell’ottobre del 1990 in via Monte Nevoso a Milano, leggiamo testualmente: «Ma i fatti di Piazza Fontana furono certo di gran lunga più importanti. Io ne fui informato, attonito, a Parigi dove ero insieme con i miei collaboratori in occasione di una seduta importante dell’assemblea del Consiglio d’Europa che per ragioni di turno dovevo presiedere. Proprio sul finire della seduta mattutina ci venne tra le mani il terribile comunicato d’agenzia, il quale ci dette la sensazione che qualcosa di inaudita gravità stesse maturando nel nostro paese. Le telefonate, intrecciatesi fra Parigi e Roma, nelle ore successive non potettero darci nessun chiarimento Io cercai di sapere qualche cosa, rivolgendomi subito al Presidente Picella, allora segretario Generale della Presidenza della Repubblica, uomo molto posato, centro di molte informazioni (ovviamente ad altissimo livello) ma non con canali propri. I suoi erano i canali dello Stato. Alla mia domanda sulla qualifica politica dei fatti, la risposta fu che si trattava di gente appartenente al mondo anarchico». UN RICORDO SINGOLARE. Come è noto, la strage di Piazza Fontana avvenne solo alcune ore più tardi, alle 16.37. L’Ansa diramò la notizia alle 17.05 e solo nel dispaccio delle 18.30 parlò di una bomba. Si potrà certamente pensare ad un cattivo ricordo anche per le difficili condizioni di prigionia in cui versava Moro. Ma Moro non fu il solo a ricordare male. Anche Alberto Cecchi, già parlamentare del Pci, nella sua Storia della P2 incorse in un identico infortunio: «In Italia l’inizio del secondo tripudio (quello delle armi e del terrorismo) è contrassegnato da una data e da un’ora: il 12 dicembre 1969, intorno alle 11 del mattino. È la strage di Piazza Fontana». Forse a monte di tutto c’è una spiegazione molto semplice: già 5 o 6 ore prima in ambienti politici e militari si era diffusa la notizia dell’imminenza di un fatto di eccezionale gravità. L’allarme era già diffuso. Da qui l’anticipazione in alcuni protagonisti politici dell’epoca del ricordo della strage. Andrebbe, sotto questo profilo, ancora una volta ricordato l’interrogatorio reso il 7 settembre 2000 dal senatore a vita Paolo Emilio Taviani, più volte ministro e figura tra le più prestigiose della Dc. Interrogatorio rilasciato nell’ambito delle nuove indagini sulla strage di Piazza Fontana. Uno dei documenti in assoluto più illuminanti proprio sulle ore antecedenti i fatti. «La sera del 12 dicembre 1969», disse, «il dottor Fusco defunto negli anni ’80, stava per partire da Fiumicino per Milano, era un agente di tutto rispetto del SID Doveva partire per Milano recando l’ordine di impedire attentati terroristici. A Fiumicino seppe dalla radio che una bomba era tragicamente scoppiata e rientrò a Roma. Da Padova a Milano si mosse, per depistare le colpe verso la sinistra, un ufficiale del SID, il Ten. Col. Del Gaudio». Una ricostruzione ribadita dalla stessa figlia del Dottor Fusco, Anna, solo pochi mesi dopo, il 13 marzo 2001. «Posso dirvi», ribadì riferendosi al padre, «che il non aver impedito la strage di Piazza Fontana fu il cruccio della sua vita». IN QUESTA ULTIMA DEPOSIZIONE la signora Fusco aggiunse anche un particolare su cui mai si è forse riflettuto sufficientemente. «Mio padre», sostenne, «era un ‘rautiano di ferro’ e ho sempre avuto l’impressione che abbia appreso l’episodio del 12 dicembre non dai servizi ma dalle sue conoscenze di destra». La verità, anche in questa versione, continua a dirci dell’intreccio fra neofascisti ed apparati statali. FONTE: Saverio Ferrari, IL MANIFESTO

L'articolo Strage del 12 dicembre a Milano, 48 anni di domande sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>
https://www.micciacorta.it/2017/12/23939/feed/ 0
47 anni dopo. Piazza Fontana, la madre delle stragi https://www.micciacorta.it/2016/12/47-anni-piazza-fontana-la-madre-delle-stragi/ https://www.micciacorta.it/2016/12/47-anni-piazza-fontana-la-madre-delle-stragi/#respond Mon, 12 Dec 2016 08:37:45 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22779 12 Dicembre 1969, ore 16:37, una bomba esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano uccidendo 17 persone e ferendone altre 88. Tre giorni dopo la diciottesima vittima: l’anarchico Giuseppe Pinelli vola da una finestra della questura di Milano, dove veniva trattenuto illegalmente. Dopo 35 anni di processi  nel 2005 la Corte di Cassazione […]

L'articolo 47 anni dopo. Piazza Fontana, la madre delle stragi sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>

12 Dicembre 1969, ore 16:37, una bomba esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano uccidendo 17 persone e ferendone altre 88. Tre giorni dopo la diciottesima vittima: l'anarchico Giuseppe Pinelli vola da una finestra della questura di Milano, dove veniva trattenuto illegalmente. Dopo 35 anni di processi  nel 2005 la Corte di Cassazione concluderà che la strage di piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova, nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», non più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari» per questo stesso reato.

L'articolo 47 anni dopo. Piazza Fontana, la madre delle stragi sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>
https://www.micciacorta.it/2016/12/47-anni-piazza-fontana-la-madre-delle-stragi/feed/ 0
Armando Calzolari. La strage e l’uomo che sapeva troppo https://www.micciacorta.it/2016/12/22769/ https://www.micciacorta.it/2016/12/22769/#respond Sat, 10 Dec 2016 08:42:45 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22769 La controinchiesta. Fascista convinto, ex X Mas, Armando Calzolari dopo la carneficina del 12 dicembre di 46 anni fa aveva minacciato i suoi camerati di rivolgersi ai giornali. Fu trovato morto

L'articolo Armando Calzolari. La strage e l’uomo che sapeva troppo sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>

La controinchiesta. Fascista convinto, ex X Mas, Armando Calzolari dopo la carneficina del 12 dicembre di 46 anni fa aveva minacciato i suoi camerati di rivolgersi ai giornali. Fu trovato morto in una pozza d'acqua con il suo cane. Gli assassini rimasero ignoti nonostante le testimonianze Con la vicenda della morte di Armando Calzolari si apriva, 46 anni fa, il libro «La strage di Stato», la controinchiesta sulla bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e la «strategia della tensione». Non molta attenzione ebbero i successivi sviluppi giudiziari, che pur attestarono come Calzolari fosse stato assassinato per ragioni che rimandavano alla strage. «AFFOGALASINO» Armando Calzolari, 43 anni, nato a Genova, per gli amici «Dino», era un ex ufficiale di coperta della Marina mercantile, poi traferitosi a Roma qualche anno prima. Divenuto uomo di fiducia di Junio Valerio Borghese (anche per i suoi trascorsi da giovanissimo nella X Mas) e assunto presso il Fronte nazionale, l’organizzazione creata dal «principe nero», scomparve la mattina di Natale, il 25 dicembre 1969, dopo essere uscito alle 8 del mattino per una passeggiata dalla sua abitazione, in via Dei Baglioni, al quartiere Bravetta, nella zona ovest di Roma, a bordo di una 500 bianca, con il suo cane Paulette, un setter a pelo lungo, avvertendo la moglie e la madre che sarebbe presto tornato per portarle a messa. Le ricerche per rintracciarlo iniziarono subito nel pomeriggio e si protrassero inutilmente per quattro giorni. La zona, in particolare il 29 dicembre, fu meticolosamente battuta, palmo a palmo, con cani poliziotto che frugarono in ogni cespuglio, buca o anfratto. Fatto strano fu che solo il giorno prima, il 28, la 500 era riapparsa a 200 metri da casa, posteggiata proprio in via Dei Baglioni, visibilissima. Impossibile che l’auto fosse lì nei giorni precedenti; tamponata di recente, aveva per altro tutta la parte posteriore ammaccata. Oltretutto era piovuto solo dopo il 25 dicembre, ma il terreno sottostante era bagnato come d’intorno. Qualcuno l’aveva portata di proposito lì e da poco. Il cadavere di Calzolari, insieme al cane, furono casualmente rinvenuti in avanzato stato di putrefazione ben 35 giorni dopo, in un pozzo, la mattina del 28 gennaio, da un operaio che stava lavorando con una ruspa. Nel pozzo, profondo due metri e 85, c’era poca acqua, il livello raggiungeva un metro e 40, ma 35 giorni prima era sicuramente più basso. Eppure un suo amico, Dante Baldari, che compì il riconoscimento ufficiale di Calzolari, testimoniò di aver ispezionato quel pozzo e che dentro non c’era nessuno. Il perito stabilì che la morte risaliva a 20-30 giorni prima, dunque tra il 31 dicembre e il 9 gennaio. Come minimo sei giorni dopo la scomparsa. La località del pozzo era chiamata «Affogalasino». «SIETE DEGLI ASSASSINI!» Armando Calzolari, «fascista convinto», militava, come detto, nel Fronte nazionale fondato nel 1968 da Junio Valerio Borghese, un’organizzazione costruita in funzione del colpo di Stato. Strutturata su due livelli, uno pubblico (il gruppo «A») e uno clandestino con nuclei armati (il gruppo «B»), di fatto appaltato ad Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie. Due testimoni, Giampaolo Bultrini ed Evelino Loi, rilasciarono separatamente due deposizioni importanti che finirono agli atti dell’inchiesta. Il primo raccontò di «aver udito non visto», il 16 dicembre 1969, dopo la strage di piazza Fontana, «un’accesissima discussione fra il Calzolari e gli altri nella sede del Fronte». Il secondo dichiarò che «la sparizione non poteva essere dovuta se non ad un’azione dei suoi stessi camerati del Fronte Nazionale in quanto io avevo assistito al litigio fra Calzolari e gli altri del Fronte circa la strage di Milano del 12 dicembre 1969. In questa occasione Calzolari rinfacciava ai suoi amici di essere “degli assassini”. Ci fu anche, un accenno di rissa. Ricordo che il comandante Borghese e il comandante Bianchini gli intimavano di stare zitto e al suo posto. Ero convinto, sin da un mese prima del ritrovamento del corpo, che il Calzolari fosse stato ucciso da quelli del Fronte in seguito alla minaccia da lui formulata in occasione del litigio di rendere pubblica la verità sulla strage attraverso giornali». Da quel giorno cadde in «uno stato nervoso, disastroso e depresso», manifestando «una tristezza infinita», anche a seguito di ripetute minacce ricevute telefonicamente: così testimoniò la madre. IL POZZO Solo nel febbraio 1976 il sostituto procuratore della Repubblica Enrico Di Nicola, dopo un lunghissimo iter, sentenziò che Calzolari fu «ucciso e poi gettato nel pozzo». Fu infatti visto ancora in vita da due persone con il suo cane la mattina di Natale a Villa Doria Pamphili. Non poteva finire in quel pozzo venendo da casa o da dove la sua auto era stata ritrovata, dato che un fittissimo canneto profondo in larghezza una decina di metri, una sorta di muraglia fatta anche di arbusti fittissimi e pungenti, ne sbarrava il passo. Non poteva di certo neanche morirvi annegato date le sue «eccezionali capacità natatorie». Il suo cadavere, per altro, non indossava più il giubbotto con cui era uscito da casa. Fu probabilmente costretto all’uscita di Villa Pamphili a seguire qualcuno che lo uccise dopo il 25 dicembre. Le battute con i cani e le ricerche avvennero quando nel pozzo non c’era ancora nessuno. La sua 500 fu riportata vicino a casa per inscenare una disgrazia. DUE DI OSTIA Nel processo per il golpe del dicembre 1970, inscenato da Junio Valerio Borghese, un teste (tale Pirina) riferì che un dirigente del Fronte gli rivelò che «lui ed altri avevano “sistemato” una persona che parlava troppo», alludendo a Calzolari. Molti anni dopo, nel marzo 1995, il giudice istruttore Guido Salvini del Tribunale di Milano, nella sua ordinanza di rinvio a giudizio per la strage di piazza Fontana, riportò la testimonianza di Angelo Izzo in cui si accusavano due militanti del Fronte di Ostia (Roberto Zerbi e Franco Balzerani) di aver ucciso Armando Calzolari. Izzo sostenne di aver ricevuto da loro la confidenza che «il Calzolari, uno dei cassieri del Fronte, era in crisi ed era un personaggio debole e poteva quindi diventare pericoloso». Lo sorpresero «mentre portava a spasso il cane» e lo annegarono «tenendogli la testa sott’acqua, in un giardino, un luogo poco distante dal pozzo in cui poi lo avevano abbandonato». Nessun riscontro fu fornito da Angelo Izzo. Gli assassini rimasero ignoti. SEGUI SUL MANIFESTO

L'articolo Armando Calzolari. La strage e l’uomo che sapeva troppo sembra essere il primo su Micciacorta.

]]>
https://www.micciacorta.it/2016/12/22769/feed/ 0