8 marzo – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 03 Mar 2020 09:11:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Stato d’emergenza. Il Garante blocca lo sciopero femminista globale https://www.micciacorta.it/2020/03/stato-demergenza-il-garante-blocca-lo-sciopero-femminista-globale/ https://www.micciacorta.it/2020/03/stato-demergenza-il-garante-blocca-lo-sciopero-femminista-globale/#respond Tue, 03 Mar 2020 09:11:48 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26007 Per la prima volta stop ad un «generale nazionale» Non una di meno: non rinunceremo alla piazza. Usb revoca tra le polemiche «Il virus è la dittatura del mercato»

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Tra l’esortazione a tornare alla normalità e la marcia indietro dall’iniziale allarmismo, è arrivata una misura eccezionale, che non trova precedenti nella storia recente. La Commissione di garanzia sugli scioperi ha rivolto a tutte le organizzazioni sindacali e associazioni professionali un “fermo invito” a non effettuare astensioni dal lavoro collettive fino al 31 marzo. Motivo: l’emergenza sanitaria. L’EFFETTO IMMEDIATO è stata la revoca dello sciopero generale del 9 marzo, lanciato del movimento Non Una Di Meno, nella cornice dello sciopero femminista globale al quale avevano aderito Slai Cobas, Usi, Usb, Cub, Unicobas, Usi-Cit, e diverse strutture regionali della Cgil. LA LETTERE DELLA COMMISSIONE è stata preceduta da una richiesta informale, in seguito alla quale la Cgil aveva deciso di revocare lo sciopero della scuola del 6 marzo. Il provvedimento ha valenza in tutto il territorio nazionale e fa leva sulla clausola presente nella normativa che regola le professioni e che prevede la possibilità di interdire gli scioperi per cause di calamità naturale e ordine pubblico. «Rivaluteremo la situazione intorno a metà mese per capire se il limite del 31 marzo sarà riconfermato», spiega a il manifesto Giovanni Pino, capo di gabinetto della Commissione, «Capisco che da un punto di vista razionale la misura non suona» aggiunge «ma formalmente siamo nel pieno rispetto delle regole e la ratio che ha animato la decisione è l’esigenza di evitare complicazioni nella gestione pubblica dell’epidemia». TRA LE RAGIONI avrebbe pesato anche una preoccupazione di natura politica, e cioè quella di tutelare la reputazione dell’espressione di un conflitto sociale in un momento in cui forte è il richiamo all’unità nazionale. Tempestiva è arrivata la revoca degli scioperi, seppur accompagnata da aspre critiche, mentre sono state confermate le manifestazioni previste per l’8 e il 9 marzo, le quali per ora non sono soggette a divieti se non nelle zone rosse, focolai principali del virus. I TRATTI PARADOSSALI della situazione sono facilmente intuibili. Le attività commerciali, lavorative e gli assembramenti pubblici sono per ora consentiti, mentre parallelamente si fa ricorso, per la prima volta nella storia repubblicana, a un divieto di sciopero su scala nazionale. «REGISTRIAMO L’ENNESIMO ATTACCO al diritto di sciopero in nome dell’emergenza Coronavirus» si legge nel comunicato rilasciato ieri in serata da Non Una di Meno. «Tale intimazione si aggiunge alle condizioni materiali e economiche estremamente dure, specialmente nelle regioni sottoposte a ordinanze per contenere il contagio. Il peso dell’emergenza si sta scaricando infatti soprattutto sulle donne che hanno perso il salario o ricevuto salari ridotti perché costrette a casa dalla chiusura delle scuole, a turni di lavoro raddoppiati nei servizi socio-sanitari, in assenza di qualsiasi tutela e supporto pubblico» continuano le attiviste che però rilanciano sulla mobilitazione: «Nonostante l’impossibilità di astensione dal lavoro salariato, l’8 e 9 marzo non rinunceremo affatto a occupare le strade e le piazze in tutte le forme che saranno possibili, accanto ad ogni lotta femminista nel mondo. Daremo in tempo reale tutti gli aggiornamenti sul blog nazionale e i canali social di Non Una di Meno» concludono nella nota alla stampa. A Roma per ora la questura ha confermato la piazza del 9 e Flc Cgil e Fp Cgil di Roma e Lazio hanno annunciato la loro presenza in corteo a sostegno della protesta femminista. RESTII A PRESENTARE LA REVOCA dello sciopero Slai Cobas e Usi, che negano il carattere cogente della misura. La richiesta della Commissione, formalmente non è un vero divieto, ma prevede l’adozione di misure disciplinari verso singoli lavoratori o o sigle che decidano di non uniformarsi a quanto disposto. Anche per questo motivo nel mondo sindacale fioccano preoccupazioni e malumori. «Siamo un paese infetto, è vero. Ma il virus in circolazione è la dittatura del mercato, la forma moderna del fascismo» si legge nella nota di usb che accompagna la revoca dello sciopero. Mentre dalla pagina web della minoranza Cgil “Riconquistiamo tutto” si legge: «le lavoratrici e i lavoratori sono lasciati nell’incertezza: se non lavorano, moltissimi sono ancora senza garanzia dello stipendio e nemmeno certezze sugli ammortizzatori sociali; se lavorano non hanno ancora certezza sui rischi che corrono e sulle relative disposizioni di sicurezza». L’epidemia di Covid-19 sta ponendo il paese di fronte a una situazione inedita, i cui risvolti sono poco prevedibili. Ma nella gestione di questa emergenza affiorano in controluce le enormi contraddizioni politiche del paese. * Fonte: Shendi Veli, il manifesto  

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Liberi corpi in libera terra, la battaglia comune del Lottomarzo https://www.micciacorta.it/2018/03/24244/ https://www.micciacorta.it/2018/03/24244/#respond Fri, 09 Mar 2018 09:10:14 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24244 Non Una Di Meno in corteo da Bologna a Palermo. A Roma era presente anche Asia Argento: «È una rivoluzione» e scaccia i reporter

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Da Piazza Vittorio passando per Piazza Maggiore, via Cavour e poi Piazza Madonna del Loreto, la marea di Non Una Di Meno è arrivata nelle strade di Roma ieri pomeriggio, cominciando intorno alle 17 il corteo preparato da mesi. Altre sono state le piazze ieri che, un po’ in tutta Italia, hanno rappresentato la costellazione ormai solida delle varie realtà presenti da Venezia a Napoli, e ancora Bologna, Torino, Milano e molte altre che – con azioni, blocchi e contando sul sostegno dei sindacati (Usb, Slai Cobas, Usi e Usi-Ait), hanno portato in piazza e nello spazio urbano decine di migliaia di donne. La novità del corteo romano è che, più dell’anno scorso, la presenza degli uomini è stata più consistente. Un’assunzione delle istanze femministe, reti e gruppi misti che lavorano in tante città italiane tenendo tra le priorità i punti che sono comuni al movimento globale in più di 70 paesi. «Se il lavoro è molesto, molestiamo il lavoro»; «Se non te la dà non te la prendere»; «La nonna partigiana ce l’ha insegnato: il vero nemico è il patriarcato»; «L’assassino ha le chiavi di casa». Sono solo alcuni degli slogan presenti alla manifestazione romana, circondano una narrazione che in questi mesi si è svolta nei vari tavoli di lavoro, nelle 57 pagine del piano femminista antiviolenza e si collocano nella sostanza politica dei centri antiviolenza – presenti anch’essi in piazza -, nei consultori e nelle associazioni – «BeFree», solo per citare una di quelle più attive soprattutto in città – che raccontano la storia capillare di una lotta con radici ben piantate nei territori. L’altra faccia del corteo, ovvero l’ulteriore declinazione che assume la violenza maschile contro le donne, è la molestia sessuale. Sul posto di lavoro come per strada o nelle relazioni quotidiane, la tormenta che si è sollevata a partire dalla intervista rilasciata da Asia Argento il 12 ottobre scorso non ha cessato di mostrarsi. Espandersi e diffondersi. E se uno dei punti più drammatici – andati a detrimento di quanto si andava rivelando – è stato il discredito, il fango quando non la canzonatura mista a una importante (quanto inguaribile) misoginia che genera cecità politica oltre che relazionale, quando l’attrice e regista italiana si è unita al corteo di Non Una Di Meno vi è stata la congiuntura cercata e trovata in questi mesi. «Sorella, io ti credo», così recitavano molti dei cartelli che portavano dal #metoo al #wetoogether – nella forma di una collettiva azione di lotta. Dire alla propria sorella che le si crede non indica tuttavia una immersione in una comune e immedicabile oppressione, al contrario sta a significare che quei «liberi corpi in libera terra» hanno il desiderio di vivere felici, non più di contarsi da sfruttati o – che è peggio – da morti, anzi vogliono essere in prossimità con le proprie simili e in ascolto di quella straordinaria forza che è la presa di parola pubblica. «Avete fatto gossip sui nostri stupri, vergognatevi» ha detto seccamente Asia Argento, affiancata dalla collega Rose McGowan, ad alcuni reporter presenti invitandoli ad andare via. Altro punto cruciale, come l’anno scorso ma quest’anno dotato di una drammatica evidenza elettorale, è la parola antifascismo. In certi ambienti sarà pure gratuito ricordare di essere contro i fascismi e che Non Una Di Meno si dispiega come insorgenza antifascista e antirazzista, ma di questi tempi è invece efficace tornare all’essenziale di poche e necessarie parole. Perché situano in una storia che va interrogata, ancora e ancora. FONTE: Alessandra Pigliaru, IL MANIFESTO

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«Siamo marea, diventiamo tempesta», 8 marzo in sciopero globale https://www.micciacorta.it/2018/03/marea-diventiamo-tempesta-8-marzo-sciopero-globale/ https://www.micciacorta.it/2018/03/marea-diventiamo-tempesta-8-marzo-sciopero-globale/#respond Thu, 08 Mar 2018 09:15:17 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24239 8 marzo è sciopero. Da Roma a Milano, da Sud a Nord, il movimento femminista Non Una di Meno rivendica il «reddito di autodeterminazione»

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Potenza dello sciopero nel XXI secolo: contro la violenza maschile, le molestie sessuali, la precarietà. Oggi sciopero generale nazionale indetto da Usb a Usi per 24 ore dalla scuola ai trasporti locali. "Siamo marea, diventiamo tempesta" Il movimento femminista «Non una di meno», una delle più significative novità della politica italiana, torna oggi a sfilare in 40 città in occasione dello sciopero globale delle donne dell’otto marzo. Da Roma (ore 17 da Piazza Vittorio) a Milano (due cortei: 9,30 Largo Cairoli; 18 piazza Duca d’Aosta), e poi Torino e Bologna, Bari, Salerno, Reggio Calabria, tutta la penisola sarà invasa da quella che si è definita una «marea». «MAREA» è un concetto molto preciso che indica l’espansione, e l’imprendibilità di un movimento con le forme tradizionali del «politico» e della «rappresentanza». «Marea» è, in sé, la forma della potenza, elemento primario della politica. «SCIOPERARE È una grande sfida perché ci scontriamo con il ricatto del lavoro precario o del permesso di soggiorno – affermano le attiviste – Scioperare può sembrare impossibile quando siamo isolate e divise e sappiamo che il diritto di sciopero subisce quotidiane restrizioni». Come quella che oggi impedirà a diverse categorie di lavoratori di aderire allo sciopero a causa delle limitazioni imposte dalle franchigie elettorali che impediscono di incrociare le braccia nei cinque giorni che hanno seguito il voto di domenica scorsa. CONTRO QUESTE DIFFICOLTÀ la spinta di questo movimento non si è fermata. Alla giornata globale, e italiana, di sciopero hanno aderito tra gli altri Greenpeace e l’Arci, e poi Usb, Slai Cobas, Usi e Usi-Ait. I sindacati di base hanno indetto un’astensione generale nazionale di 24 ore nel lavoro pubblico e in quello privato. Parliamo di trasporto pubblico locale, treni, aerei, scuole e uffici. La saldatura con il sindacalismo è decisiva, e non è stata priva di difficoltà. In occasione dell’8 marzo dell’anno scorso ci sono state polemiche sia con la Cgil che altri sindacati di base. Ma il movimento va avanti: «Di fronte alla più grande insorgenza globale delle donne i sindacati dovrebbero cogliere questa occasione prendendo parte al processo che combatte la violenza maschile e di genere. Sono queste le condizioni della precarizzazione del lavoro».

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OGGI MOLTI AMBIENTI di lavoro saranno coinvolti dalle tematiche femministe: il piano contro la violenza maschile, un documento di 57 pagine, un’elaborazione collettiva durata mesi, un testo di spessore teorico e pratico notevole. Lo sciopero femminista è dunque più ampio dello specifico, certamente necessario, «sindacale». La lotta si svolge dentro e fuori il luogo di lavoro, dentro e fuori i rapporti di lavoro precari e intermittenti. Investe l’intera soggettività femminile, e maschile, sia quella impegnata nella produzione che quella della riproduzione. «Sovvertiamo le gerarchie sessuali. le norme di genere, i ruoli sociali imposti, i rapporti di potere che generano molestie e violenze». Qui la critica ai rapporti di produzione e immanente a quella delle forme di vita incastrate nelle culture patriarcali, autoritarie, razziste. securitarie. LA RIVENDICAZIONE centrale del movimento è «il reddito di autodeterminazione», indipendente dal lavoro e dal permesso di soggiorno. Questo reddito è accompagnato dalla rivendicazione di un salario minimo europeo e un welfare «universale, garantito, accessibile». L’obiettivo: garantire autonomia e libertà «sui nostri corpi e sulle nostre vite. Vogliamo essere libere di muoverci». GLI SNODI LOCALI di «Non una di meno», numerosissimi come i video e i documenti che girano in rete, hanno elaborato nei loro comunicati piccole inchieste sulla realtà del lavoro, e del non lavoro, oggi. Si denunciano le molestie sessuali sul lavoro, l’enorme disparità retributiva che penalizza le donne, in particolare al Sud. Secondo lo Svimez nel Mezzogiorno una donna (laureata) guadagna 300 euro medi in meno rispetto a un uomo. È una realtà comune, frutto di un sistema. Per questo è necessario una generalizzazione del movimento. Una convinzione che lo ha spinto a «passare dalla denuncia individuale del #metoo alla forza collettiva del #wetoogether bloccando lavoro produttivo e riproduttivo, retribuito o gratuito». FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO

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Napoli. Lotto marzo: precarie con le migranti e contro Matteo Salvini https://www.micciacorta.it/2017/03/precarie-le-migranti-matteo-salvini/ https://www.micciacorta.it/2017/03/precarie-le-migranti-matteo-salvini/#respond Thu, 09 Mar 2017 08:56:53 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23070 Napoli. La polizia carica le manifestanti che protestavano per la visita del leader leghista

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NAPOLI. «Interruzioni informative», lezioni a tema e scioperi delle docenti hanno scandito ieri mattina i corsi alle università Federico II e l’Orientale di Napoli, fino all’assemblea a Porta di Massa della rete locale «Non una di meno». Nel pomeriggio il corteo ha attraversato il centro storico mentre in piazza Dante, aspettando la partenza, c’erano i banchetti informativi degli sportelli antiviolenza, le bande musicali di Materdei e Bagnoli, la rivisitazione in chiave queer delle figure femminili della letteratura come Beatrice, Laura e Lucia. La giornata però è stata segnata dalla protesta contro la visita in città di Matteo Salvini. Il leader del Carroccio ieri era in tour nelle redazioni di tv e giornali locali per fare pubblicità alla sua manifestazione di sabato prossimo alla Mostra d’Oltremare. In mattinata Salvini è stato ospite de Il Mattino, i suoi sostenitori con il Polo Sovranista avevano organizzato in città il convegno «Madri per natura». Le aderenti a «Non una di meno», con tutte le realtà di movimento partenopee, si sono fatte trovare all’ingresso della redazione del quotidiano per contestare il leader leghista e i suoi temi politici. La polizia ha caricato i manifestanti, il reporter de L’Espresso Duccio Giordano è stato manganellato mentre effettuava riprese e portato in questura, nonostante esibisse il tesserino dell’Ordine dei giornalisti. Salvini ha definito i manifestanti «le solite zecche dei centri a-sociali», auspicando: «Per chi fa casino ci vuole la galera». Tra una mozzarella, una sfogliatella e un babà, Salvini ha trovato il tempo per spiegare ai giornalisti che «lo sciopero dell’8 marzo è una burla. Invece di fermare i trasporti e le scuole, si parli di temi concreti, di tempo casa-lavoro, di asili nido, di sicurezza personale, di blocco della presenza di un certo tipo di immigrazione. La festa della donna non si festeggia regalando la mimosa magari comprata di contrabbando da immigrati irregolari». La replica è arrivata dal corteo: oltre 5mila hanno sfilato nel pomeriggio fino a Piazza del Gesù dietro lo striscione «Contro ogni forma di oppressione praticare femminismo e rivoluzione». C’erano le ragazze migranti arrivate dagli Sprar dell’hinterland, con loro la rete ha protestato davanti alla questura. L’altro tema del corteo napoletano era la precarietà, visto anche l’alto tasso di disoccupazione femminile al Sud: per combatterla, reddito di cittadinanza ma anche sostegno a consultori e centri antiviolenza, a tutti quei servizi sul territorio che lo Stato sta progressivamente dismettendo. La rete proseguirà le iniziative oltre l’8 marzo. Il prossimo appuntamento è fissato per lunedì alle 17 a Santa Fede Liberata ma, prima, ci sarà la manifestazione di sabato alle 14 a piazza Sannazaro per cercare di arrivare in corteo alla Mostra d’Oltremare dove, alle 17, è atteso Salvini: «Vogliamo consegnargli un simbolico foglio di via – hanno spiegato ieri – contro la sua propaganda a favore dei respingimenti, le sue posizioni sessiste, le offese contro i meridionali. Ci porteremo le valigie di cartone, come i nostri nonni e le nostre nonne quando emigravano». SEGUI SUL MANIFESTO

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Lotto marzo. Un nuovo popolo internazionale guidato dalle donne https://www.micciacorta.it/2017/03/23066/ https://www.micciacorta.it/2017/03/23066/#respond Wed, 08 Mar 2017 08:17:59 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23066 Lotto marzo. Le donne chiedono il reddito di autodeterminazione. Un welfare per tutte e tutti. Lo sciopero proclamato dalle donne rende visibile il taglio verticale del potere neo-capitalistico. Che si fa forte del patriarcato per dominare la vita

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Lotto marzo. Le donne chiedono il reddito di autodeterminazione. Un welfare per tutte e tutti. Lo sciopero proclamato dalle donne rende visibile il taglio verticale del potere neo-capitalistico. Che si fa forte del patriarcato per dominare la vita Oggi, 8 marzo 2017, le donne scioperano, non sono in festa. “Se la mia vita non vale, io non produco” è lo slogan chiave della giornata che invita allo sciopero. Perché non c’è nulla da festeggiare, c’è molto contro cui lottare, molto da cambiare. Lotto marzo, appunto, come dice l’invenzione felice di NonUnaDiMeno, l’insieme di gruppi, associazioni, femminismi diversi (le sigle originarie sono D.I.R.E, Udi, e coordinamento dei collettivi romani) che dal settembre scorso hanno dato vita al nuovo movimento. E alla entusiasmante manifestazione del 26 novembre 2016. 200.000 in strada a Roma, un corteo che accoglieva anche tantissimi ragazzi e uomini, la più grande manifestazione di movimento vista in Italia negli ultimi anni. Una scelta vitale, di notevole forza politica, che va oltre differenze e contrapposizioni troppo presenti anche nei femminismi. È stata la violenza maschile contro le donne, il ripetersi di femminicidi feroci a spingere a unirsi, a lottare insieme. A cercare la strada e la forza per ribaltare un potere che agisce sulle vite singole, fino ad armare la mano di un uomo che non sopporta di essere abbandonato. È un nuovo rischio, che minaccia le donne proprio perché sono libere. Perché possono e vogliono decidere di sé. Per questo lo sciopero è globale, un movimento internazionale che attacca alla radice il potere. Il potere del neocapitalismo che, lungi dal modernizzarsi, ha assunto il patriarcato come una propria articolazione. La prima volta era successo in Polonia, il Black Monday del 3 ottobre 2016. Vestite di nero le polacche si sono fermate, per lottare contro la completa abolizione della possibilità di aborto. Se le donne si fermano, si ferma tutto. E con loro gli uomini, che le hanno aiutate, e in parte sostituite. In Argentina, da dove viene NiUnaDeMenos, è stato un mercoledì nero il 17 ottobre, dopo che Lucia Pèrez, 16 anni, è stata violentata, torturata e uccisa a Mar de Plata. Infine il 21 gennaio 2017, già dopo la proclamazione dello sciopero globale delle donne per l’8 marzo, la Women’s March on Washington. Una mobilitazione imponente, un milione solo negli Usa, due milioni nel mondo. Contro Trump, cioè contro il potere machista, razzista, sessista, classista. Come ha detto Angela Davis: «Questa è una marcia di donne e questa marcia delle donne rappresenta la promessa del femminismo contro i funesti poteri della violenza di stato. Ed è il femminismo inclusivo e intersezionale che invita tutte noi a unirci alla lotta di resistenza al razzismo e allo sfruttamento capitalistico». Qui si radica lo sciopero. Globale. Dall’Argentina, che lo ha proclamato per prima, agli Stati Uniti, dalla Svezia al Togo, dalla Turchia all’Italia. Da cosa si sciopera? Si sciopera dal lavoro. Da tutte le forme di lavoro. Questo è punto cruciale, che riguarda tutte. E tutti. Si sciopera nei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, nei supermercati, negli asili, nelle case, nelle scuole, nelle cucine, nelle strade. Nessuno più delle donne può dire cosa è il lavoro oggi. Il lavoro spezzato, frammentato, svalorizzato. In mille operazioni che dequalificano, immiseriscono anche il lavoro per il quale è richiesta la massima competenza. Quella per la quale si sono accumulati saperi. La cura, il lavoro che avviene prima di tutto dentro la casa, richiede competenze plurali e delicati, capaci di attenzione gestione, relazione. Da sempre svalorizzato tanto da essere gratuito, quando viene esternalizzato, venduto sul mercato, lì dove avrebbe innalzato il Pil, viene sminuito, reso servizio a bassa densità. Umiliato. Precarizzato. Pagato coi voucher. Come i mille lavori disprezzati, inseguiti e faticosamente messi insieme, ora su ora, giorno su giorno. In un puzzle senza forma, angoscioso e debordante. Per questo le donne chiedono il reddito di autodeterminazione. Perché la precarietà è insopportabile. E una redistribuzione del reddito necessaria. Un welfare per tutte e tutti, chiedono. Lo sciopero proclamato dalle donne rende visibile il taglio verticale del potere neo-capitalistico. Che si fa forte del patriarcato per dominare la vita. Fin nelle pieghe prima nascoste e ora visibili, in piena luce. Proprio perché la libertà delle donne ha rotto la divisione tra privato e pubblico, la famiglia non è più quello spazio di potere riservato anche all’ultimo degli uomini, in cui nell’ombra si riproduceva l’esistenza. Lo sciopero, dice il manifesto «per uscire dalle relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà… per avere un salario minimo europeo, perché non siamo disposte ad accettare salari da fame, né che un’altra donne, spesso migrante…sia messa al lavoro in cambio di sotto-salari e assenza di tutele». E ancora si sciopera «perché vogliamo essere libere di muoverci e restare». Contro le frontiere per le/i migranti, contro il razzismo. E si sciopera per la formazione, per cambiare la cultura che sostiene la violenza. E soprattutto si sciopera «perché la risposta alla violenza è l’autonomia delle donne». Non sono vittime, le donne che scioperano. Sono donne libere. Con l’invito ad astenersi dal lavoro, obbligano tutti a pensare cosa sia il lavoro. Anche chi ha ritenuto che uno sciopero non può essere politico. E chi lavora si muove solo per difendere i propri diritti. E il diritto a vivere? La posta in gioco è molto alta. Judith Butler la chiama «alleanza dei corpi». Lo abbiamo visto nelle strade, in diversi continenti, in questi mesi. In quelle foto dall’alto, straripanti. Questo è in campo oggi, otto marzo 2017. La potenza di corpi alleati tra loro, che non si nascondono, che si mostrano, non irreggimentati in discipline e totalizzazioni. Che partono da sé, perché solo questo sé corpo-mente hanno a disposizione. E non vogliono cederlo. Sono tempi in cui si ragiona e si discute di popolo, e di populismi. Si costruisce un nuovo popolo. Ricco di differenze, pieno di speranze di trasformazione. Guidato dalle donne. SEGUI SUL MANIFESTO

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8 marzo. Non una di meno rinnova la nostra rivoluzione https://www.micciacorta.it/2017/03/non-meno-rinnova-la-nostra-rivoluzione/ https://www.micciacorta.it/2017/03/non-meno-rinnova-la-nostra-rivoluzione/#respond Tue, 07 Mar 2017 08:07:13 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23061 8 marzo. Data la giovane età, della storia del femminismo le nuove generazioni conoscono poco, ma sanno che da quella radice vengono le loro consapevolezze, la libertà e la forza collettiva che le ha fatte incontrare in tante e così inaspettatamente

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Nel corso del mio lungo impegno nel movimento delle donne ho visto molte manifestazioni di piazza, le ho attese a lungo, vi ho preso parte con entusiasmo e ho sperato ogni volta che potessero avere continuità. Di quella che sta per invadere le città, da noi come in altri paesi del mondo – Non Una di Meno – dirò che cosa ha di particolare rispetto alle precedenti, e perché la considero una ripresa della rivoluzione culturale, o di quel salto della coscienza storica, che è stato il femminismo degli anni Settanta. Allora come oggi si è trattato di un movimento internazionale: una generazione giovane che compariva, “soggetto imprevisto” sulla scena pubblica, abbandonando la “questione femminile” – lo svantaggio delle donne, la loro cittadinanza incompiuta, ecc. – per un’analisi del rapporto di potere tra i sessi, le problematiche del corpo, sessualità,maternità, aborto, considerate “non politiche”, per interrogare l’ordine esistente nella sua complessità. Negli slogan “il personale è politico”, “modificazione di sé e del mondo”, c’era la sfida, la protesta estrema di una inedita cultura femminista che – come scrisse Rossana Rossanda – si poneva «come antagonista, negatrice della cultura altra»: «Non la completa, la mette in causa». Le esigenze radicali, che allora si rivelarono impossibili per ostacoli esterni ed interni al femminismo stesso, ricompaiono oggi, come spesso accade, in una situazione mutata e nel protagonismo di una generazione che, a differenza della nostra, non è “contro” le donne che l’hanno preceduta e in qualche modo fatta crescere. Nei report usciti dalle affollatissime assemblee bolognesi del 4/5 febbraio, il richiamo al femminismo, alle sue pratiche e all’autonomia con cui ha dato vita ad associazioni, consultori, centri antiviolenza, interventi formativi nelle scuole, è ricorrente. Sia per quanto riguarda i media e la necessità di un «osservatorio indipendente», sia in riferimento ai consultori autogestiti nati nella prima metà degli anni Settanta per iniziativa dei gruppi di Medicina della donne e poi istituzionalizzati nel 1975. Con il timore che la stessa sorte possa toccare ai centri antiviolenza: «…i consultori devono tornare a essere aperti e accoglienti, liberi e gratuiti, diffusi nel territorio….Vogliamo vivere i consultori come luoghi di aggregazione e centri culturali (…) capaci di accogliere e riconoscere le molteplici identità di genere che un individuo può sperimentare …». Data la giovane età, della storia del femminismo le nuove generazioni conoscono poco, ma sanno che da quella radice vengono le loro consapevolezze, la libertà e la forza collettiva che le ha fatte incontrare in tante e così inaspettatamente. Benché partito sull’onda di una rivoluzione che avrebbe dovuto investire il patriarcato e il capitalismo, liberare dai modelli interiorizzati del maschile e del femminile, sovvertire la divisione sessuale del lavoro, la politica separata, nel momento della sua diffusione il femminismo si è fatto quasi fatalmente, data l’ampiezza dei suoi temi, frammentario. Le manifestazioni che si sono succedute nel tempo hanno sempre avuto un tema specifico -la legge 194, la violenza domestica, ecc. Lo Sciopero internazionale delle donne dell’8 marzo 2017 in Italia sembra averne ricomposto tutte le anime, in una visione di insieme che va dall’autodeterminazione sessuale e riproduttiva alla precarietà del lavoro, dal partire da sé come pratica di presa di coscienza ai problemi riguardanti le migrazioni, dal femminicidio alla violenza maschile vista come “fenomeno culturale”, dal sessismo al razzismo, all’omofobia. La ricerca dei nessi tra sessualità e politica, tra patriarcato e capitalismo, che già compariva nei volantini degli anni Settanta, ma che era sembrata a lungo come l’Araba fenice, negli “8 punti” con cui da Bologna è partita la decisione di riscrivere il “Patto straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, ha trovato per la prima volta concretezza e radicalità nel tenere insieme obiettivi e lavoro sulle vite singole. La violenza maschile nelle sue forme più selvagge e criminali si può dire che ha fatto da catalizzatore nel collegare i molteplici aspetti di un dominio che attraversa le vicende più intime così come i poteri e i linguaggi delle istituzioni pubbliche, e che paradossalmente proprio negli interni delle case, dove si intrecciano perversamente amore e violenza, rivela la sua «normalità». Se le donne sono state per secoli un corpo a disposizione di altri, l’8 marzo – come si legge nel documento Ni Una Menos delle donne argentine, da cui è partito il Paro Internacional De Mujeres, sarà il primo giorno della loro «nuova vita» e il 2017 «il tempo della nostra rivoluzione». SEGUI SUL MANIFESTO

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Sciopero globale delle donne l’8 marzo https://www.micciacorta.it/2017/03/23040/ https://www.micciacorta.it/2017/03/23040/#respond Thu, 02 Mar 2017 08:21:55 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23040 Non una di meno. Tre video di invito per lo sciopero globale dell'8 marzo

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L’appuntamento per lo sciopero dell’8 marzo 2017 organizzato dalla rete #nonunadimeno ha previsto in questi mesi una serie di tappe intermedie. Riflessioni, discussioni, scambi su web ma soprattutto in presenza nelle tante asemblee cittadine, regionali fino a quelle nazionali in cui sono stati organizzati anche i tavoli tematici. Come è accaduto per il 26 novembre scorso, la comunicazione dell’evento si è potuta realizzare grazie al lavoro di tante e tanti che hanno messo a disposizione la propria professionalità ma anche creatività. Anche attraverso i video, le immagini e i molti messaggi che sono stati lanciati dai singoli soggetti partecipanti alla rete #nonunadimeno, si ricorderà questo passaggio politico come teso alla pluralità che gli è propria. Allora che cosa succede se le donne si fermano l’8 marzo? Se si fermano anche al di là dell’8 marzo, se decidono cioè di lasciare il lavoro di cura e di sospendere quello produttivo? Ne danno una rappresentazione i tre video (teaser 1, 2, 3) di 45 secondi realizzati dalla creative producer Chloé Barreau e prodotti da D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza) che invitano allo sciopero globale. Le immagini, montate prendendo spunto da più di 80 film del panorama nazionale e internazionale, offrono uno spaccato (della vita quotidiana e non) che bene si attagliano alle aspettative della iniziativa.

TEASER 1

TEASER 2

TEASER 3

“Ogni video” – si legge nel comunicato stampa diffuso ieri dalla rete Di.Re – “usa come colonna sonora una versione diversa del celebre brano You don’t own me che fu interpetato per la prima volta nel 1963 da Leslie Gore a soli 17 anni (…) Nel corso dei decenni questo pezzo è stato cantato da moltissime artiste per rilanciare il messaggio di libertà e autodeterminazione generazione dopo generazione, proprio come nel femminismo”. Per la realizzazione dei video, si ringraziano Keasound, Cristiano Lellini e Duccio Servi che hanno curato gratuitamente il mix e Sara De Simone per il suo contributo alla direzione artistica. Oggi alle 11.30 presso la Casa Internazionale delle donne di Roma in via della Lungara 19 è indetta la conferenza stampa unitaria di #nonunadimeno nel corso della quale verranno illustrate la piattaforma unitaria dello sciopero globale delle donne e i dettagli di tutte le iniziative italiane e mondiali. SEGUI SUL MANIFESTO

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8 marzo 2017. Donne in sciopero, in casa e fuori https://www.micciacorta.it/2017/02/22959/ https://www.micciacorta.it/2017/02/22959/#respond Tue, 07 Feb 2017 07:54:51 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22959 Tutto parte dall’Argentina, ultimi ad aderire gli Stati Uniti, sulla spinta della “Women’s March on Washington” del 26 gennaio scorso

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Sarà un gran giorno, l’8 marzo 2017. Sulla base dello slogan “Se la mia vita non vale, io sciopero” in ben 23 paesi, compreso il nostro, è indetto un “sciopero delle donne”. Uno sciopero che non è solo simbolico, ma reale. L’obiettivo è fermare tutto, bloccare il Paese. In Italia e non solo. Di questo hanno parlato le duemila donne riunite in assemblea a Bologna, lo scorso weekend, convocate da non UnaDiMeno, il coordinamento di collettivi e organizzazioni che già il 26 novembre ha portato almeno 400.000 donne a manifestare a Roma contro la violenza maschile. Ma ci saranno ben 22 paesi in sciopero, l’8 marzo. Tutto parte dall’Argentina, ultimi ad aderire gli Stati Uniti, sulla spinta della “Women’s March on Washington” del 26 gennaio scorso. Un appassionato confronto, a Bologna, sui temi della violenza contro le donne, si è preparato il piano-antiviolenza, e sui temi dello sciopero. Cosa vuol dire scioperare? Chi partecipa, come si indice? E se va notato, ancora una volta, che l’informazione mainstream ha mancato un evento politico di prima grandezza – del resto anche la marcia statunitense è stata attivata dai social, non da tv e da carta stampata – sarebbe un peccato che la sottovalutazione mediatica trascinasse con sé anche una sottovalutazione politica. Cosa è questo sciopero? Come si mette in pratica? Bisognerà ricordare che in Polonia, nel “black monday” del 3 ottobre 2016, nella loro azione contro la minaccia di una legge che vietasse del tutto l’aborto, le donne polacche dissero: se ci fermiamo noi si ferma tutto. Come è effettivamente è successo. Questo vuol dire sciopero delle donne, in un mondo in cui il lavoro si è completamente trasformato. Mettere tutti in condizione di guardare cosa è il lavoro, oggi. Chi più di una donna sa che il lavoro è precario, sfaccettato e spezzettato, e investe direttamente la vita? Chi può saperlo meglio di chi è stata obbligata da sempre al lavoro di cura, per di più gratuito? C’erano molti uomini, perlopiù ragazzi ovviamente, all’assemblea. Alcuni provenienti dal mondo queer, perché lo sciopero è anche uno sciopero dai generi, dagli stereotipi e dai ruoli obbligati. Uno dei modi per metterlo in pratica sarà il kindergarten gestito dai compagni, un accudimento dei bambini già messo in pratica durante l’assemblea. Ma lo sciopero, è stato ripetuto in tanti interventi, è sospensione, astensione. Blocco delle attività. Di tutti i tipi. Per esempio dall’insegnamento ma anche dal portare i bambini a scuola. Con l’attivazione di fondi di solidarietà, per permettere a tutte di scioperare. E qui sta il nodo centrale. Per astenersi dal lavoro, per chi lavora a contratto, occorre che lo sciopero sia indetto. Erano presenti molte sindacaliste, soprattutto Usb e Cobas, anche se non mancavano iscritte alle confederazioni, soprattutto Fiom. C’è una forte pretesa di attenzione, da parte dell’assemblea, rivolta a tutte le sigle sindacali. Come è giusto, si tratta della più importante manifestazione politica sul lavoro prevista nei prossimi mesi. La scelta è stata di non mobilitarsi per una manifestazione nazionale. Si sciopererà insieme nelle città. Per bloccarle. Contro la violenza maschile, contro il neocapitalismo che di questa violenza è permeato, contro il dominio che entra nelle pieghe della vita quotidiana. In Italia contro il jobs act, contro la cancellazione dei diritti. Fondamentale è riconoscere che sono le donne a guidare la lotta per un lavoro diverso, oggi. L’esperienza diretta, nella propria vita, della violenza e dell’ingiustizia è forza viva, trascinante. Il coraggio è ascoltarla. SEGUI SUL MANIFESTO

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Un nuovo modello di rivolta https://www.micciacorta.it/2015/03/un-nuovo-modello-di-rivolta/ https://www.micciacorta.it/2015/03/un-nuovo-modello-di-rivolta/#respond Sun, 08 Mar 2015 17:41:07 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=18849 Biso­gna dirlo. In tutte que­ste mani­fe­sta­zioni si avverte un ine­dito spi­rito di rivolta. E non solo tra le più gio­vani e radi­cali.
Con­tro il solito otto­marzo, ridotto a un San Valen­tino con le mimose

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Vediamo solo le trecce nere, della donna cer­ta­mente gio­vane che ha un fucile mitra­glia­tore in spalla, il viso è tutto girato dall’altra parte. Una com­bat­tente, imma­gine forte per una delle tante mani­fe­sta­zioni in Ita­lia che oggi hanno accolto l’invito delle donne curde di dedi­care la gior­nata inter­na­zio­nale delle donne 2015 alla loro lotta. Non è mai suc­cesso, che io mi ricordi, che donne armate siano state scelte a rap­pre­sen­tare l’8 marzo. Nep­pure nel 1977, anno piut­to­sto tur­bo­lento. Allora l’arma fu il gesto fem­mi­ni­sta, in piazza, le mani unite in alto, nel trian­golo che indica il vuoto e la potenza del sesso fem­mi­nile. («Il gesto fem­mi­ni­sta», a cura di Ila­ria Bus­soni e Raf­faella Perna, Derive&Approdi). Atto forte, sov­ver­sivo. Mi è venuto in mente nel guar­dare la foto della ragazza che qual­che giorno fa è andata in giro da sola per Kabul, coperta da una spe­cie di arma­tura, indos­sata sopra gli abiti e comun­que con il velo in testa, che dise­gnava il corpo nudo di una donna. Lei però era sola, in mezzo agli uomini esa­gi­tati che l’hanno cir­con­data e semi-aggredita. La donna armata dice qual­cosa di nuovo, segnala un cam­bia­mento. La foto è stata scelta con cura, la ragazza non punta l’arma e non ali­menta lo ste­reo­tipo della bella guer­ri­gliera. L’invito delle donne curde dice: «Orga­niz­ziamo la resi­stenza ovun­que nel mondo le donne subi­scano vio­lenza. Dif­fon­diamo insieme lo spi­rito di resi­stenza che ci uni­sce e ci raf­forza con­tro ogni mani­fe­sta­zione del sistema di domi­nio patriarcale». Un invito poli­tico, che non tra­sporta in Occi­dente la guerra che viene com­bat­tuta dalle donne pesh­merga in prima per­sona, sui campi di bat­ta­glia. Una lotta che è entrata con forza nel nostro imma­gi­na­rio da set­tem­bre, prima con i com­bat­ti­menti e poi la suc­ces­siva libe­ra­zione di Kobane. E così sono venuti i repor­tage, le inter­vi­ste in tutti i media main­stream, soprat­tutto i fem­mi­nili. Senza dub­bio le com­bat­tenti hanno acceso l’immaginazione, hanno atti­vato un fuoco latente. Susci­tano un’enorme ammi­ra­zione, com­bat­tono per la libertà loro e delle loro figlie, con­tro un eser­cito, quello dell’Isis, per il quale essere donne è una colpa, e fonte di con­ta­mi­na­zione, all’interno di un’organizzazione, il Pkk, che ha fatto dell’uguaglianza tra donne e uomini un pro­prio valore. Eppure. Come la met­tiamo con la non vio­lenza? Con la con­vin­zione fem­mi­ni­sta che la guerra è una vicenda maschile? L’Isis è un nemico che mette a tacere qua­lun­que dub­bio, a pro­po­sito di guerra? Sono domande aperte, tutte da affron­tare. E inquieta che non ci sia nes­suna (e nes­suno) che le rac­colga. Ma non è il caso di con­fon­dere i piani. Non tutte le mani­fe­sta­zioni in Ita­lia dedi­cate alla lotta delle donne curde met­tono diret­ta­mente in scena una donna armata. In ogni caso un conto è un popolo in guerra, che difende la pro­pria vita, altra è la situa­zione qui, in Italia. Ma biso­gna dirlo. In tutte que­ste mani­fe­sta­zioni si avverte un ine­dito spi­rito di rivolta. E non solo tra le più gio­vani e radi­cali. Con­tro il solito otto­marzo, ridotto a un San Valen­tino con le mimose. Anche con­tro il cata­logo dei risul­tati rag­giunti, o dei suc­cessi man­cati. Che sono sem­pre gli stessi. Il gap retri­bu­tivo, tra donne e uomini, indi­cato a gran voce anche nelle élite, da donne come Chri­stine Lagarde, la pre­si­dente del Fmi, uno degli orga­ni­smi che con­trol­lano l’economia mon­diale. O da attrici famose come Patri­cia Arquette, che nel suo discorso alla con­se­gna dell’ Oscar come attrice non pro­ta­go­ni­sta per Boy­hood, ha dedi­cato il pre­mio a: «tutte le donne che hanno par­to­rito, tutte le cit­ta­dine e le con­tri­buenti di que­sta nazione: abbiamo com­bat­tuto per i diritti di tutti gli altri, adesso è ora di otte­nere la parità di retri­bu­zione una volta per tutte, e la parità di diritti per tutte le donne negli Stati Uniti». Ci si ribella anche con­tro l’eterna ripe­ti­zione della donna vit­tima. Non che il fem­mi­ni­ci­dio, o i mal­trat­ta­menti, siano un’invenzione. Eppure il mar­tel­la­mento impla­ca­bile dei dati, la ripe­ti­zione com­pia­ciuta di sto­rie di cru­deltà e sopraf­fa­zione senza indi­care vie d’uscita, è ormai inso­ste­ni­bile. Una gene­ra­zione che ha sco­perto di essere donna – dif­fe­rente dai pro­pri coe­ta­nei – nel rifiuto della vio­lenza con­tro il pro­prio genere, e ha dato vita alle prime mani­fe­sta­zioni del 25 novem­bre dieci anni fa, spe­ri­menta ora la neces­sità di par­tire da sé, di non aspet­tare solu­zioni da fuori, da altri. E anche la grande fiam­mata, ormai spenta, di Se non ora quando, la grande mani­fe­sta­zione del 13 feb­braio 2011 che ha dato voce a un’enorme rab­bia fem­mi­nile, si è sedi­men­tata. Siamo oltre, anche oltre la delusione. Le donne sono dap­per­tutto, dice la Libre­ria delle donne di Milano. È cer­ta­mente vero Non siamo più in regime di scar­sità, e sia pure con tutte le ben note man­canze, non c’è set­tore della vita pub­blica, poli­tica e pro­fes­sio­nale, in cui non ci siano donne. Che par­lano, anche in Ita­lia. La pre­si­dente della camera Laura Bol­drini ha di nuovo ricor­dato la neces­sità di usare bene le parole, di decli­narle sem­pre anche al fem­mi­nile. Ottima bat­ta­glia, le rea­zioni sgan­ghe­rate dicono quanto sia neces­sa­ria. Ma que­sto signi­fica che il fem­mi­ni­smo gode di buona salute? Che è dispo­ni­bile all’elaborazione comune una visione poli­tica che per­metta di agire in que­sti tempi di crisi? Ecco, la crisi. È la crisi che ha rime­sco­lato le carte, che ha obbli­gato a guar­dare con occhi diversi le sto­rie di cia­scuna e cia­scuno. Se la parità di retri­bu­zione tra donne e uomini è un pro­blema aperto, e giu­sta­mente riven­di­cato, che deve dire chi si trova inca­te­nata al mec­ca­ni­smo dei pic­coli lavori pre­cari equa­mente mal retri­buiti? Per non dire sot­to­pa­gati? Lo spi­rito di rivolta nasce qui, in con­di­zioni mate­riali di esi­stenza in cui si è impa­rato a vedere che dif­fe­renze ci sono, tra donne e uomini, anche nella pre­ca­rietà. Che non è una cate­go­ria indif­fe­ren­ziata, come in tante ave­vano riven­di­cato, sca­glian­dosi con­tro l’ostinazione di pen­sarsi dif­fe­renti delle fem­mi­ni­ste d’antan. Che il post-patriarcato non pre­scinde dai corpi e dalle loro dif­fe­renze. Anzi li mette al lavoro in nuove forme pecu­liari, per esem­pio nella mater­nità sur­ro­gata, in un bio­la­voro schia­viz­zante che ha molte affi­nità con lo sfrut­ta­mento della natura, della terra. È su que­sto ter­reno che vanno ride­fi­nite le rela­zioni, tra donne e uomini. E le pro­te­zioni sociali, quelle che l’austerità euro­pea ha fatto spa­rire, vanno ripen­sate sulla base di nuovi modelli, di una nuova pra­tica della cura, che certo non potranno basarsi sul capo­fa­mi­glia di un tempo. In un intrec­cio tra eco­no­mia, biso­gni, rela­zioni, sen­ti­menti e affetti tutto da ripen­sare. Insomma, è una spe­ranza la ribel­lione alle trap­pole fab­bri­cate dalla crisi. Fa piazza pulita delle zone fin troppo comode, fin troppo sepa­rate, che nel tempo si sono costruite. La crisi non ha pietà. Richiede tutta la nostra capa­cità di sognare grandi imprese.

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