Aldo Garzia – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Fri, 04 Oct 2019 08:30:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Le radici bergamasche della storia de “il manifesto” https://www.micciacorta.it/2019/10/le-radici-bergamasche-della-storia-de-il-manifesto/ https://www.micciacorta.it/2019/10/le-radici-bergamasche-della-storia-de-il-manifesto/#respond Fri, 04 Oct 2019 08:30:01 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25684 il manifesto 1969-2019. Un convegno a Bergamo sulla nascita del gruppo che ha dato vita alla rivista prima e al giornale poi, indagando i legami con gli operai e la stagione dei consigli

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Domenica scorsa centocinquanta persone hanno riempito la sotterranea sala concerti del pub Elav Circus di Bergamo per ascoltare riflessioni e testimonianze dei protagonisti del gruppo del manifesto a cinquant’anni dalla sua nascita. L’evento, organizzato e promosso dall’associazione “Bergamoracconta” e dalla Biblioteca Di Vittorio (centro di documentazione sindacale della Cgil di Bergamo), aveva l’intento di portare alla luce lo stretto rapporto tra la nascita del gruppo politico e la città di Bergamo. Tanto più che esattamente 49 anni fa, 30 settembre 1970, metà federazione del Pci bergamasco uscì dal partito per aggregarsi al manifesto. Ha aperto la discussione Aldo Garzia, ex manifesto giornale, ricordando la centralità culturale della figura di Lucio Magri e il suo tentativo di allargare la prospettiva comunista alle altre forme di critica sociale e politica che animavano i movimenti sociali dell’epoca. Bergamo era in quegli anni un laboratorio politico: papa Giovanni XIII era bergamasco, il dialogo tra comunisti e cattolici nacque a Bergamo dove Togliatti tenne nel 1963 un importante discorso sul tema introdotto da Eliseo Milani (tra i fondatori del Manifesto gruppo e rivista), le lotte operaie erano radicali. Lidia Campagnano, anche lei ex manifesto giornale, ha invece posto l’attenzione sulla capacità delle donne del manifesto di porre in questione i rapporti di potere tra i generi all’interno dell’organizzazione. Ha raccontato la dirompenza dell’istanza femminista, nonché la sua sconfitta e conseguente dispersione negli anni successivi. Massimo Serafini, manifestino fin dall’inizio, ha raccontato le esperienze del Collettivo operai-studenti di Bologna che lo portarono ad aderire al gruppo politico. A seguire hanno preso parola esponenti del gruppo bergamasco (Luciano Ongaro, Evaristo Agnelli, Bruno Ravasio, Vittorio Armanni), che hanno svelato la specificità della vicenda del manifesto a Bergamo, vale a dire la forte connotazione operaia e il forte radicamento nell’industria, in una stagione che ha segnato, oltre agli aumenti salariali, un inedito avanzamento del controllo operaio all’interno delle fabbriche bergamasche nei primi anni Settanta. «Noi operai volevamo il potere, volevamo decidere come produrre – ha raccontato Evaristo Agnelli – e riuscivamo a ottenerlo. Lo strumento dei consigli di fabbrica fece la differenza». Fu proprio il legame con l’esperienza consiliare a favorire l’ingresso del manifesto delle fabbriche, con un grado di penetrazione in molti casi superiore a quello del Pci. Tutti i relatori hanno ricordato come le basi per l’incontro del manifesto con il mondo operaio furono gettate negli anni precedenti la nascita del gruppo, grazie anche al lavoro di alcune importanti figure della storia comunista bergamasca, in particolare Eliseo Milani, sul quale si è concentrato l’intervento di Ravasio. Luciana Castellina ha raccolto e sintetizzato la discussione, riportando il tutto alla attuale disarticolazione della sinistra e alla sua sconnessione con la sua base di classe, che si intreccia con altri processi di ristrutturazione – geografica, organizzativa e proprietaria – dei processi produttivi, da un lato, e con l’indebolimento della democrazia parlamentare e rappresentativa dall’altro. Il problema di trovare nuove forme di ricomposizione, per quanto urgente, chiede una riflessione sul medio periodo, che vada oltre l’inseguimento delle dinamiche del consenso elettorale. È apparso chiaro, nell’intervento di Castellina, che il problema non è aver perso le elezioni, ma aver perso la società. La drammaticità della situazione attuale, unitamente alla concretezza delle esperienze operaie raccontate, ha impedito ogni deriva nostalgica. Nulla a che vedere con le commemorazioni cerimoniali che lungo il 2018 hanno celebrato l’anniversario del Sessantotto. Il Sessantanove operaio, per la sua connessione con le contraddizioni passate e presenti del modo di produzione capitalistico, non lascia spazio ad alcun reducismo o compiacimento. Nessun lieto fine né pacificazione al termine, se non nella bella voce di Giusi Pesenti, cantante country-jazz bergamasca, che, in chiusura, ha offerto ai presenti una rilettura originale di alcune canzoni implicitamente operaie del secolo breve americano. * Fonte: Michele Dal Lago, il manifesto

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Effetto Corbyn, Sanders e Sánchez: le due sinistre in competizione https://www.micciacorta.it/2017/06/effetto-corbyn-le-due-sinistre-competizione/ https://www.micciacorta.it/2017/06/effetto-corbyn-le-due-sinistre-competizione/#respond Fri, 30 Jun 2017 07:12:40 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23471 L’indubbio stato comatoso del socialismo europeo merita attenzione, non fosse altro perché fa problema per tutte le componenti della sinistra

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Vanno di moda i riferimenti entusiastici a Jeremy Corbyn, Bernie Sanders e Pedro Sánchez. Del primo si apprezzano il risultato elettorale e le correzioni sostanziose al blairismo del Labour Party. Il secondo avrebbe potuto fermare Donald Trump grazie al voto dei giovani e all’estraneità alle potenti lobbies che erano l’ombra di Hillary Clinton. Il terzo ha resuscitato socialisti spagnoli, vincendo il congresso del Psoe dopo il drammatico voto in Parlamento che aveva dato via libera al governo di destra di Mariano Rajoy. Sono tre casi esemplari di tre leader che hanno riaperto una dialettica a sinistra. Ma non bisogna fermarsi alla superficie. Quali sono i rapporti possibili tra le nuove sinistre europee – Podemos, Linke, Tsipras, ecc. – e le sinistre dei partiti storici? L’indubbio stato comatoso del socialismo europeo merita attenzione, non fosse altro perché fa problema per tutte le componenti della sinistra. Sarebbe però un errore puntare solo sulle virtù delle nuove sinistre dando per spacciate e inutilizzabili le vecchie. Nel Labour, ad esempio, c’è sempre stata la sinistra di Tony Benn che oggi è quella di Corbyn. Negli altri partiti il confronto è aperto, con spostamenti a sinistra. Il socialismo europeo inoltre resiste al governo a Stoccolma e Lisbona, è in ripresa a Londra, è sotto la tenda a ossigeno in Germania ingabbiato nel governo di unità nazionale che si può riprodurre anche dopo le elezioni di novembre, si è dissolto in Francia con l’avvento del ciclone Macron, in Spagna si dibatte tra le convulsioni del Psoe. Se non si vuole rispolverare la teoria del «socialfascismo» di staliniana memoria, occorre indagare sulle ragioni di queste difficoltà. La prolungata crisi economica ha reso impotenti le tradizionali bandiere socialdemocratiche di piena occupazione e redistribuzione dei redditi. Il crollo del «socialismo reale» non è valso come antidoto, i riferimenti ai lavoratori salariati sono andati in frantumi lasciando posto a precarietà e mutabilità della condizione di lavoro, si è paralizzato il progetto di unità europea. Non c’è stato infine un ripensamento sulle identità e i valori possibili di un moderno socialismo nell’era del digitale. Il blairismo neoliberista come risposta si è rivelato un bluff. Il liberismo dominante dagli anni Ottanta (Reagan, Thatcher) ha piegato il proprio antagonista, facendogli introiettare molte delle sue ragioni (Blair, Schroeder). In Italia ad aggravare il quadro ci pensa poi l’anomalo Pd a gestione di Matteo Renzi. Mancano leader della statura di Willy Brandt, Olof Palme, Bruno Kreisky, François Mitterrand. Eppure – come per i casi di Corbyn, Sanders, Sánchez e potremmo aggiungere Martin Schulz – non ci sono solo macerie (ed è forse un errore semplificatorio perfino pensare, come ha fatto Tomaso Montanari introducendo l’assemblea del Brancaccio, che tutto «il Pd è ormai un pezzo di destra, una destra non sempre moderata»). Resta inoltre convincente la distinzione della tradizione socialdemocratica tra mercato e capitalismo: il primo esiste da tempo immemore, il secondo ha assunto forme specifiche – modi di produzione e distribuzione – nel corso di vari periodi storici. Dalle esperienze più avanzate della socialdemocrazia (Svezia, Danimarca, Germania) ci viene consegnato il tema della mediazione tra Stato e mercato, oltre quello – sempre da aggiornare – di come si possano perseguire politiche keynesiane di ridistribuzione del reddito e di tendenziale nuova occupazione. Il welfare è dunque la conquista sociale più avanzata del secolo scorso, mentre del «socialismo reale» sono rimaste ceneri. Fa discutere ancora l’ammonimento di Olof Palme in polemica con Mosca: «La pecora del capitalismo va continuamente tosata. Bisogna fare però attenzione a non ammazzarla». Nuove e vecchie sinistre sono destinate a gareggiare e a convivere in un rapporto di distinzione organizzativa e di competizione politica. Senza le une e senza le altre (o peggio, con le une contro le altre) il tema del «governo» resterà una chimera. In Germania – Spd, Linke, Verdi – e in Spagna – Podemos, Psoe – ci sono già maggioranze potenziali. Non nell’immediato, ma le uniche di sinistra di un domani possibile. FONTE: Aldo Garzia, IL MANIFESTO

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