amnistia – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Fri, 20 May 2016 11:27:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Non è che l’inizio. Marco Pannella, il rivoluzionario https://www.micciacorta.it/2016/05/non-linizio-marco-pannella-rivoluzionario/ https://www.micciacorta.it/2016/05/non-linizio-marco-pannella-rivoluzionario/#respond Fri, 20 May 2016 11:27:56 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21876 Sergio Segio ricorda per Fuoriluogo Marco Pannella, il leader radicale e di tante battaglie per i diritti scomparso ieri a Roma.

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Pannella

Di Marco mi rimarrà per sempre soprattutto un’immagine. Recente, ma non per questo motivo. Piuttosto perché dice di lui quello che era un suo carattere fondamentale, che me lo ha subito fatto stimare e costantemente sentire davvero vicino: Marco Pannella era soprattutto un combattente, instancabile e determinato come nessuno. Pochi mesi fa eravamo nel carcere di Opera, una settimana prima di Natale, per il congresso di “Nessuno Tocchi Caino”, con Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti, Rita Bernardini e tanti altri, radicali e non. Due giorni di riflessioni e interventi centrati sul tema dell’ergastolo ostativo, quella “pena sino alla morte” cui sono condannate, contro la Costituzione e ogni senso di umanità e civiltà giuridica, oltre 1100 persone. Uomini sepolti vivi per sempre in virtù di una legge iniqua, di interpretazioni capziose e di logiche vendicative. Nel salone del carcere assisteva (ma prendeva anche la parola) una platea di detenuti, perlopiù appunto ergastolani. Molti, naturalmente, gli agenti di custodia; per una volta, però, attenti alle parole, non solo a controllare i gesti. Presenti anche il capo delle carceri, Santi Consolo, e Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale e già ministro Guardasigilli. Nell’occasione, nei rispettivi interventi – entrambi – Flick anche con una onesta e coraggiosa autocritica rispetto a posizioni precedenti – si sono pronunciati per l’abolizione di quella disumana pena; una presa di posizione forte, dato il pulpito e il ruolo, che in altri tempi o in paesi diversi dal nostro avrebbe dato i titoli delle prime pagine e di cui, invece e naturalmente, nessuno dei giornalisti pure presenti si accorse o ritenne di dare adeguato conto. Esauriti il primo giorno gli interventi più istituzionali, nel giorno seguente il clima appariva meno formale ed era più facile accorgersi di come Marco nel carcere si trovasse davvero a casa sua e di quanto fosse circondato dall’affetto straripante dei reclusi, ma anche dalla stima dei poliziotti e del personale penitenziario. Mentre parlava un oratore, dal tavolo della presidenza dove era seduto anche Pannella, cominciò a sentirsi un tambureggiare ritmico, prima leggero, appena avvertibile, poi via via crescente sino a farsi sovrastante e infine accompagnato dalle parole: ce n’est que un début, continuons le combat. Marco andò avanti a ripetere a voce sempre più alta lo slogan degli studenti francesi del maggio ’68, sino a che quella platea eterogena composta da assassini, giovani universitari, docenti, guardie e ladri, preti e mangiapreti, privilegiati e deprivati di tutto, cominciò a seguirlo e a scandire quelle parole di rivolta e di speranza. Un momento magico e incredibile, tanto più considerando il luogo, nel quale il gigante ferito dagli anni e dalla malattia rivelava intatta la sua capacità ammaliatrice e trascinante. Scandendo inopinatamente (e profeticamente, dato che ora sembra attualizzato dal diffuso fermento che scuote la Francia in queste settimane) quello slogan famoso, Marco parlava forse di sé, della fine che sentiva vicina, con la promessa – a sé e a noi che lo ascoltavamo un po’ sorpresi -, di andare oltre, di non soccombere neppure di fronte alla morte. Allo stesso tempo, con quell’incitazione a non smettere di lottare, mi parve che parlasse di me, di noi, di chiunque sentisse o avesse mai sentito nella vita la spinta e il bisogno di rivoluzionare l’esistente. Che ci regalasse un ultimo invito a continuare “in ciò che era giusto”, come lasciò detto un’altra grande figura, Alex Langer; fosse pure a combattere contro i mulini a vento, come Marco ha spesso fatto. Questo è allora il messaggio che mi pare, davvero, ci abbia lasciato. Perché lui, il leone indomabile, sta continuando anche adesso, anche domani, la sua e le nostre battaglie. Non possiamo lasciarlo solo, come lui non ha mai lasciati soli noi, specie quando eravamo nel pozzo nero delle carceri speciali, senza poter immaginare alcun futuro, ma avendo una certezza, che non andò mai tradita, neppure una volta. Ovvero che lui, con i Radicali, era al nostro fianco nelle battaglie più difficili, solitarie e contrastate, come quelle contro le leggi dell’emergenza e contro la tortura del “carcere duro”. Che lui e i suoi più stretti non si limitavano a combattere battaglie ideali e politiche, ma offrivano vera vicinanza; che, senza fallo, per decenni lui e i suoi sarebbero venuti a trovarci in carcere ogni Natale e ogni Ferragosto, a praticare da laici precetti evangelici. Lì, in quel pozzo nero, ho conosciuto Marco e le persone migliori che ho avuto la ventura di incontrare nella vita e che mi hanno regalato un’amicizia per me imperitura, come anche Franco Corleone e pochi altri. E non c’è nessuna distanza politica su singoli aspetti, come ad esempio il liberismo in economia o certe posizioni in campo internazionale, che possa togliere un solo grammo dell’affetto, della stima e della riconoscenza che provo per Marco Pannella. Continuiamo a combattere, Marco. Anche grazie a te. Sergio Segio, 20 maggio 2016

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Il compagno che era liberale https://www.micciacorta.it/2016/05/21873/ https://www.micciacorta.it/2016/05/21873/#respond Fri, 20 May 2016 06:43:47 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21873 Marco Pannella 1930-2016. Dalla storica battaglia referendaria sul divorzio all’opposizione alle leggi d’emergenza degli anni ’70. Fino alle campagne antiproibizioniste. Una vita in prima linea sul fronte dei diritti civili

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Pannella

Marco, che se ne è andato ieri stroncato non da uno ma da due cancri, perché l’uomo era così, eccessivo in tutto, suppliva da solo a un vuoto che ha segnato, sempre e solo nel male, la storia italiana: la mancanza di una destra liberale con la quale per la sinistra fosse possibile confrontarsi con reciproco vantaggio. Si parla di destra politica, perché l’albero genealogico della cultura nazionale invece qualche frutto d’oro su quel versante può vantarlo, e quei nomi che tornavano continuamente in ballo nei monologhi fluviali che Pannella aveva l’ardire di spacciare per interviste: da Benedetto Croce al tanto citato quanto disatteso Mario Pannunzio. A lui, forse, la definizione sarebbe andata stretta, come qualsiasi etichetta avesse preteso di definire la sua personalità straripante. Pannella non si sentiva un uomo di destra e certo con la destra italiana aveva ben poco a che spartire. I radicali non hanno smesso di chiamarsi, tra loro, «compagni». E il «suo» Partito radicale discendeva direttamente dall’ala sinistra del partito originario, quello nato nel 1955 e che contava tra i suoi fondatori l’intera aristocrazia intellettuale del liberalesimo italiano. Pur diviso, quel gruppo di grandi intellettuali concordava nel vedere i «rossi» solo come un pericolo. Non la «Sinistra radicale» di Giacinto detto Marco, che al contrario spingeva per un’unione laica di tutte le forze di sinistra, comuniste, socialiste e liberali. Quando i fondatori abbandonarono il partito, a ereditarlo rimase solo la corrente di sinistra e il suo capo, dal 1963 segretario e padre padrone a vita dell’intero partito. Nelle sue campagne Pannella era ossessivo e martellante, da giovane così come in tarda età. Ma c’era del metodo, e dell’intelligenza politica raffinata, nella sua ossessione. Per tutti gli anni ’60 caricò a testa bassa sul divorzio senza concedere un attimo di tregua, inventandosi espedienti comunicativi uno via l’altro, adoperando a man bassa l’alleanza con un giornale, Abc, dal quale ogni politico comme il faut si sarebbe tenuto lontanissimo per la tendenza a sciorinare tette abbondanti e mutandine succinte, ma che era in compenso popolarissimo. Non si trattava però di un caso maniacale. Nell’Italia codina e baciapile di quegli anni, quando persino un galantuomo come il futuro presidente Scalfaro sbottava in pubblico a fronte di una scollatura esagerata e le Kessler rappresentavano la frontiera del proibito, Pannella aveva individuato nel divorzio la leva capace di forzare i limiti culturali di un Paese che di laico non aveva ancora nulla. Il seguito provò che aveva ragione. Pannella era laico e a tratti, soprattutto a cavallo tra i ’60 e i ’70, anche «laicista», se non proprio mangiapreti. Quel lusso la cultura comunista, che le «masse cattoliche» le aveva ben presenti da molto prima che Berlinguer scrivesse su Rinascita di «compromesso storico», non poteva permetterselo. Il compito spettava a una destra liberale, democratica, laica, e in Italia a rappresentarla c’era quasi esclusivamente la torreggiante figura di Pannella. Ma senza quella spinta, la sua e spesso solo la sua, sarebbe stato impossibile arginare la tendenza del Pci a svendere il divorzio pur di non entrare in rotta di collisione con le masse cattoliche e con il partitone che le rappresentava. Anche nella battaglia strenua, a volte epica, ingaggiata tra la seconda metà dei ’70 e l’intero decennio successivo, quella per i diritti e le garanzie contro le emergenze e le ingiustizie che venivano quotidianamente perpetrate in nome della giustizia, è tangibile, inconfondibile, un’impronta che risale più alla grande destra liberale che non alla sinistra. Non c’erano solo interessi di bottega dietro lo schieramento del Pci a favore dell’emergenza, allora. C’era anche un intero pensiero che, al fondo, considerava l’interesse di Stato infinitamente superiore alla difesa dei diritti, e che in nome di quell’interesse era pronto a violentare il diritto come avvenne il 7 aprile, o a far passare per matto un leader sequestrato pur sapendo di condannarlo così a morte. Non è un caso che Pannella sia stato tra i pochissimi a opporsi a quella cultura guidata solo dalla miopia della ragion di Stato, di fronte alla quale capitolarono con scomposto entusiasmo anche tanti sedicenti liberali, Repubblica in testa. Per chi veniva dalla cultura crociana, inutile negarlo, stare dalla parte di Antigone era più facile che per chi arrivava da quella marxista, che si trattasse del terrorismo e Toni Negri o della camorra e di Enzo Tortora, vittima di un «effetto collaterale» della campagna contro le mafie fondata sui pentiti. Per indole e carattere, per il suo istrionismo innato, Marco Pannella spettacolarizzava al massimo ogni campagna, e nell’uso della comunicazione era anche più astuto ed esperto di quanto apparisse. Così, le sue battaglie potevano sembrare, in superficie, venate da infatuazioni un po’ donchisciottesche per questa o quella causa. Invece erano sorrette da un impianto coerente e rigoroso. Quando muoveva contro la magistratura, il suo non era semplice garantismo: era la consapevolezza che negli ’80 un potere dello Stato aveva preso a invadere aree di altrui competenza, e che i risultati sarebbero stati comunque esiziali. Quando offriva spinelli in giro per le strade, non si trattava solo di una trovata libertaria, ma della coscienza di quanto l’intero impianto costituzionale fosse minato dal disattenderne i princìpi in materia di libertà individuali. Nell’ultimo scorcio della prima Repubblica nessuno aveva denunciato l’occupazione dello Stato da parte dei partiti più del Partito radicale. Però, quando quel castello venne giù in pochi mesi come una torre di fiammiferi, Pannella non fu tra quelli che brindarono ebbri, a differenza di tanti che quel sistema lo avevano sin lì coperto e supportato senza vergogna. Marco credeva nella Costituzione come pochi. In nome della Costituzione aveva ingaggiato un duello durato 15 anni con l’amico Cossiga. Per difendere la Costituzione era stato il vero regista dell’elezione di Oscar Scalfaro. In quel tripudio che tintinnava di manette, nei giorni di tangentopoli, avvertiva un lezzo che con la Costituzione repubblicana aveva poco a che spartire. Per noi di sinistra Marco Pannella è un caso unico. Siamo stati al suo fianco e lo abbiamo applaudito tante volte. Ce lo siamo trovati di fronte e ci ha fatto digrignare i denti in altrettante occasioni. E’ quello che capita con la miglior destra, anzi che capiterebbe se ci fosse: ringrazi il cielo perché esistono quando si tratta di diritti e libertà, ti tirano pazzo quando difendono il liberismo. Però sai che se in Italia ci fossero stati più uomini come Marco Pannella, oggi sarebbe un Paese migliore.

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Chiacchiere bipartisan https://www.micciacorta.it/2010/09/chiacchiere-bipartisan/ https://www.micciacorta.it/2010/09/chiacchiere-bipartisan/#respond Thu, 02 Sep 2010 09:52:04 +0000 http://localhost:8888/?p=1330 Un bilancio critico della campagna sull’amnistia

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Fuoriluogo, – il manifesto 27 gennaio 2006

 

di Sergio Segio

L’ennesima puntata sull’amnistia-indulto è finita, affondata da un voto congiunto Lega, An, Ds e Margherita di cui in altri tempi ci si sarebbe vergognati. «Forcaioli di tutt’Italia unitevi», ha crudamente titolato “il manifesto”, che pure sui temi del carcere si spende con parsimonia. In maniera bipartisan i partiti si sono cimentati un mese intero in divisioni, temporeggiamenti, scambio di accuse e di comunicati, gare di visibilità. E chiacchiere, tante chiacchiere. Una pessima, cinica e già veduta telenovela.

Ora l’amnistia è sepolta. Sarebbe potuta andare diversamente? Probabilmente sì.

Certo era necessaria la precondizione di vedere, volere e dichiarare amnistia e indulto come primo atto di un “nuovo corso” della giustizia. Un segnale, concreto e propedeutico, di discontinuità rispetto alle politiche sin qui seguite, caratterizzate dalla massima tolleranza verso i reati dei “potenti” e dall’intransigente rigore verso quelli della marginalità sociale, verso tossicodipendenti e immigrati. In molti hanno invece pensato possibile e lineare varare in dicembre la legge ex Cirielli (o rivendicare i CPT) e caldeggiare (a parole e per finta, ovviamente) l’amnistia per fine anno; alcuni, anzi, non hanno avuto pudori nel partecipare in prima fila alla Marcia di Natale per l’amnistia, che ha visto più politici presenti di quanti non ve ne siano poi stati a chiusura della seduta del 27 dicembre, appositamente e straordinariamente convocata alla Camera per verificare le reali disponibilità. Sarà dipeso dal fatto che era maggiore il numero di telecamere e giornalisti alla Marcia di Pannella di quello previsto a Montecitorio.

Fatto sta che Ds e Margherita si sono infine compattati sulla proposta del solo indulto o, meglio, di un indulticchio, parziale e “a scalare”. Come non vi fosse stato già l’indultino dell’agosto 2003: vera e propria truffa, sin dal nome. Sbagliare è umano (anche i radicali lo appoggiarono), specie per una politica miope e sorda alle voci del sociale, ma stupisce che quel provvedimento venga ancora rivendicato da chi lo promosse e ora ne enfatizza le cifre: sarebbero 8.000 i “beneficiati”. Si dimentica però di dire che la gran parte avrebbe comunque avuto accesso all’affidamento al servizio sociale e, soprattutto, che circa uno su tre è già rientrato in carcere, in buona misura a causa delle prescrizioni vessatorie, non previste nell’esecuzione delle normali misure alternative. Dunque l’indultino non solo non ha consentito maggiori uscite, ma semmai ha prodotto reincarcerazioni che non ci sarebbero state con le normali misure.

Un saldo insomma del tutto negativo. E perseverare certo è diabolico.

Una diversa conduzione di questa campagna per l’amnistia sarebbe stata altrettanto indispensabile. Occorreva dall’inizio ragionare e agire in logica di “rete” e non di partito. Per costruire iniziative “dal basso”, per realizzare le necessarie alleanze, per coinvolgere associazioni, volontariato, realtà cattoliche, operatori. Si è preferito “usarli”, immaginando bastasse che Prodi e Berlusconi si accordassero, con consuete logiche della peggior politica.

La battaglia per amnistia e indulto, però, è così difficile che non può essere pensata e gestita come occasione per piantare bandierine di partito, per essere giocata elettoralmente o per acquisire contrattualità nei rapporti e negli accordi tra forze dell’Unione.

Ma così sono andate le cose, e così stanno adesso. Con i detenuti beffati e pure mazziati. Stante che neppure la legge istitutiva del Garante nazionale dei detenuti è uscita dalle paludi parlamentari. A novembre, dopo molte iniziative e digiuni, impegni al riguardo erano stati presi dal presidente della Camera Casini e da quello della Commissione giustizia Pecorella. Evidentemente, impegni di carta straccia. Come ogni altro impegno del centrodestra per riformare davvero le carceri.

Non è affatto sicuro che l’amnistia si faccia nella prossima legislatura a opera del centrosinistra, se dovesse vincere le elezioni. Ma rimane certo che detenuti, operatori e volontari non rimpiangeranno l’attuale governo.

 

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Caro Adriano, ti aspettiamo libero e guarito https://www.micciacorta.it/2010/08/caro-adriano-ti-aspettiamo-libero-e-guarito/ https://www.micciacorta.it/2010/08/caro-adriano-ti-aspettiamo-libero-e-guarito/#respond Tue, 31 Aug 2010 15:56:29 +0000 http://localhost:8888/?p=1281 Sergio Segio invia ''un fraterno abbraccio'' ad Adriano Sofri nella convinzione di ''interpretare il sentimento comune dei tanti che hanno conosciuto il carcere

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SOFRI: SERGIO SEGIO, TI ASPETTIAMO GUARITO PER CONTINUARE
(ANSA) – MILANO, 26 NOV – ”Nell’ inviare a Adriano Sofri gli auguri piu’ affettuosi di pronto ristabilimento, oltre a comunicare il mio fraterno abbraccio, credo di interpretare il sentimento comune dei tanti che hanno conosciuto il carcere, che ci vivono, ma anche che ci lavorano”: lo scrive Sergio Segio, in una lettera aperta ad Adriano Sofri .
”Adriano Sofri -scrive Segio – e’ da anni tra le voci e intelligenze piu’ autorevoli che si spendono per ricordare e denunciare lo scempio di umanita’ e di dignita’ che si svolge dietro le mura. E anche per testimoniarlo con la sua dignita’ e con la sua stessa vita. Un vita, come abbiamo visto con spavento, sempre a rischio. Una condizione comune a decine di migliaia di persone rinchiuse, spesso per reati di poco conto e di nessun pericolo sociale. Oltre cento ogni anno sono le persone che muoiono in carcere per motivi di salute (104 nel 2004), ma sarebbe piu’ giusto dire a causa di condizioni inaccettabili, per effetto neppure tanto indiretto del carcere stesso. Tanti altri si uccidono o feriscono, altri ancora muoiono per soccorsi nulli o tardivi, per ‘malasanita” o per carenza di organici del personale sanitario, un settore falcidiato dai tagli delle ultime finanziarie. E proprio sapendo questo occorre ringraziare il personale di Pisa per il pronto intervento”.
”Il carcere e’ spreco di vite – prosegue la lettera – e’ assurdo contenitore di ‘vite a perdere’. Anche per questo, per riguadagnarle alla societa’ civile, a un sistema della giustizia che non sia a ‘doppio binario’, forte coi deboli e debole con i forti, da anni ci battiamo in tanti – e di nuovo in questi giorni – per l’ amnistia e per una profonda riforma del sistema penitenziario, per una manifestazione per le carceri e la giustizia da fare per Natale. Senza la voce di Sofri questa faticosa battaglia sarebbe piu’ debole”.
”Caro Adriano ti aspettiamo quindi al piu’ presto – conclude Segio – guarito e in forze. Non solo per affetto, ma anche perche’ ne abbiamo bisogno”.
(ANSA).

 

Scarica l’articolo integrale del Quotidiano nazionale, 28 novembre 2005

sofri operato – il giorno 11 05

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“E il piano di Cusani e Segio arriva a Mancino e Violante” https://www.micciacorta.it/2010/07/qe-il-piano-di-cusani-e-segio-arriva-a-mancino-e-violanteq/ https://www.micciacorta.it/2010/07/qe-il-piano-di-cusani-e-segio-arriva-a-mancino-e-violanteq/#respond Thu, 22 Jul 2010 08:54:51 +0000 http://localhost:8888/?p=855 La proposta Cusani-Segio è un primo passo importante. Forse, quello che potrebbe spianare la strada per un atto di clemenza il prossimo 9 luglio

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ROMA – Dopo la brutta pagina di Sassari, il governo è corso ai ripari, ha trovato in due giorni 140 miliardi per l’ edilizia carceraria, ha placato gli animi disperati degli agenti penitenziari, ha deciso di rafforzare gli organici. Atti dovuti, necessari. Ma in fondo piccoli tamponi. L’ intervento del cardinale Camillo Ruini ha prodotto molto di più. Siamo in pieno Giubileo e c’ è una data, all’ orizzonte, che potrebbe segnare una svolta. Il 9 luglio sarà il giorno dedicato ai detenuti. Il programma prevede una visita di Giovanni Paolo II a Regina Coeli. E questo contribuisce ad accendere un dibattito che si dilunga da anni. Sergio Cusani e Sergio Segio, impegnati con il Gruppo Abele di Torino, stanno lavorando ad un progetto che riscuote un consenso inaspettato. Non tanto dalle forze del centrosinistra, ma da quelle di opposizione. Si sono rivolti a due giuristi per mettere a punto una proposta di indulto-amnistia che non si traduce in una semplice scarcerazione dei detenuti con una pena residua di tre anni e uno sconto per quelli condannati per reati lievi. “Siamo d’ accordo con il procuratore D’ Ambrosio”, premette Sergio Segio, “quando dice che un provvedimento di aministia sarebbe solo un palliativo. Dopo un anno ci troveremmo nelle stesse condizioni. Chi esce tornerebbe a commettere gli stesi reati e finirebbe di nuovo dentro”. Segio e Cusani hanno scritto a leader di partito e delle istituzioni. La risposta più importante è arrivata in questi giorni. Tra le varie lettere erano partite quelle a Mancino e a Violante, in cui era allegato un ricco dossier con dati, cifre e la proposta nel suo dettaglio. Il 10 e 17 maggio scorsi sono arrivate le risposte di presidenti del Senato e della Camera. “Ho letto con attenzione la lettera e il testo dell’ appello”, ha scritto il presidente della Camera. “Ho ritenuto opportuno trasmetterne copia all’ onorevole Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Giustizia, perché possa portarli a conoscenza degli altri colleghi della Commissione”. Mancino ha messo in evidenza le difficoltà che presenta l’ approvazione di un’ aministia ed ha aggiunto che su “una questione così aperta il mio ruolo istituzionale non mi consente di prendere una posizione pubblica”. La proposta Segio-Cusani avrebbe secondo i suoi ideatori una funzione anche preventiva e di garanzia nei confronti della società che chiede a gran voce sicurezza. “Per la prima volta”, spiega Segio, “contestualmente al provvedimento di amnistia, ci sarebbe una sorta di collegato, come si usa nella Finanziaria. Si predispone un piano straordinario di intervento sociale sul territorio di assistenza post-penitenziaria. Sia gli Enti locali, già coinvolti per legge, sia le organizzazioni di volontariato verrebbero incaricate di accogliere, seguire e piano piano reinserire i detenuti scarcerati. Ovviamente, non all’ infinito. Non si tratta di puro assistenzialismo. Ma di creare le condizioni affinchè il tossico non si trovi a dormire sotto un ponte e non sappia dove consumare almeno un pasto. Penso ai sieropositivi, agli ammalati di Aids, che sono la grande maggioranza dei detenuti, per i quali c’ è bisogno di una rete di sostegno”. La spesa sarebbe poca cosa: un detenuto in carcere costa 400 mila lire al giorno, in una comunità 80 mila. Se il proggetto passasse, quasi 14 mila condannati lascerebbero il carcere. “Esattamente la cifra”, ricorda Segio, “che eccede, rispetto alla capienza massima dei nostri penitenziari”. Tra le risposte ricevute, quella più sorprendente è sembrata a Cusani e Segio quella di Allenza nazionale. “Fini”, ci ha detto Sergio Segio, “si è mostrato favorevolmente colpito dalla proposta”. Alfredo Mantovano, responsabile giustizia del partito, conferma il giudizio. “La proposta è interessante: ha il pregio di offrire una prospettiva diversa. Il problema delle carceri è naturalmente più ampio: agenti, edilizia penitenziaria, circuiti differenziati. Se non si affronta il discorso in questi termini, cioè termini globali, restiamo contrari ad un’ ipotesi di semplice amnistia”. “Lo sa”, ci informa Ovidio Bompressi, “che in carcere ci sono 40 mila persone ammalate? Sì, 40 mila persone affette da patologie gravi. Infezioni, epatiti, sieropostivi. Oltre ai tossicodipendenti. Sono dati ufficiali. Quando si dice che il mondo penitenziario è una polveriera, si dice bene. Ma il rischio è che tutto esploda all’ improvviso”. La proposta Cusani-Segio è un primo passo importante. Forse, quello che potrebbe spianare la strada per un atto di clemenza il prossimo 9 luglio.

di DANIELE MASTROGIACOMO,  “la Repubblica” del 24 maggio 2000 in allegato

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