ANPI – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Thu, 02 Feb 2023 08:57:15 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Anni Settanta. La violenza politica e la storia su commissione https://www.micciacorta.it/2023/02/anni-settanta-la-violenza-politica-e-la-storia-su-commissione/ https://www.micciacorta.it/2023/02/anni-settanta-la-violenza-politica-e-la-storia-su-commissione/#respond Thu, 02 Feb 2023 08:57:15 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26592 Ieri la conferenza stampa in Parlamento - insieme all'Anpi - delle Associazioni dei familiari delle vittime delle stragi di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia e di Bologna

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Ieri la conferenza stampa in Parlamento - insieme all'Anpi - delle Associazioni dei familiari delle vittime delle stragi di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia e di Bologna   La proposta di Fratelli d’Italia di istituire una «commissione parlamentare d’inchiesta sulla violenza politica negli anni 1970-1989» rappresenta l’ennesimo tentativo di ricerca di catarsi repubblicana dei post-fascisti al governo. Un irricevibile e maldestro tentativo di riscrittura della storia del Paese finalizzato a riabilitare una destra impresentabile che porta con sé tutto il peso dei fatti di cui fu protagonista in negativo in quei decenni. Se da un lato, con la conferenza stampa tenuta ieri in Parlamento congiuntamente all’Anpi, le Associazioni dei familiari delle vittime delle stragi si sono già mobilitate per contestare tale commissione (nel fondato timore che intralci lavoro e risultati raggiunti dalle ultime inchieste per gli eccidi di Piazza della Loggia e della stazione di Bologna) dall’altro non si può non sottolineare come decenni di rimozione, vuota retorica celebrativa e narrazioni qualunquistiche bipartisan abbiano dissodato il terreno in favore della malapianta revisionista. L’USO CONTINUATO di una grammatica storica sbilenca ha consentito di eliminare significato e ragione dei fatti. Su questo la formula della «violenza politica» riveste una funzione distorsiva e fuorviante e per questo da scomporre. La violenza operaia emerse nel 1969 dentro il processo produttivo, ovvero come forza di massa in opposizione al regime tayloristico di fabbrica ed al modello di sviluppo su questo centrato. La violenza studentesca, successiva e non contestuale alla nascita di un movimento nato come urto all’autoritarismo del processo formativo, si manifestò come difesa sia dalla gestione aggressiva dell’ordine pubblico sia dallo squadrismo fascista. La violenza dei gruppi extraparlamentari di sinistra si espresse in origine come forma di rottura di fronte alla crisi dei partiti e della rappresentanza tradizionale, tentando di intercettare l’autonomia operaia e sociale dei soggetti conflittuali emergenti. Un’impostazione che, nel gennaio 1970, sarà criticata come «spontaneistica, restrittiva e superficiale» dal periodico del Collettivo Politico Metropolitano da cui nacquero le Brigate Rosse. LA VIOLENZA NEOFASCISTA si sviluppò come reazione contro i movimenti sociali, in un processo che per gruppi come Ordine Nuovo sarebbe deflagrato nello stragismo ovvero nella contrapposizione paramilitare allo spostamento a sinistra degli assetti del Paese. Dall’uso strumentale della «violenza politica» emerse -come disse nel 1974 il ministro della Difesa Luigi Gui- il «grande equivoco» della «aberrante» formula degli «opposti estremismi» che, per la sua intrinseca ambiguità, fu contestata dalle sinistre e da Aldo Moro ed in ultimo disconosciuta dai suoi stessi teorici. Paolo Emilio Taviani ricorda nelle sue memorie: «la strategia degli opposti estremismi sbagliava, perché poneva sullo stesso piano da un lato le efferate azioni delle Br incapaci di generare una svolta dittatoriale di sinistra e dall’altra la galassia dell’estrema destra che -al contrario- rischiava di portare realmente a una svolta autoritaria. La strategia degli opposti estremismi prolungò gli anni di piombo». Acceso fautore dell’uso della «violenza politica» come declinazione degli «opposti estremismi» fu il capo dell’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno, Federico Umberto D’Amato. L’ultima inchiesta lo indica, in compagnia dei neofascisti, come responsabile della strage di Bologna del 2 agosto 1980. I POST-FASCISTI invitano a studiare chi critica la loro proposta e allora riportiamo alcuni dati. Uno studio dell’Istituto Cattaneo (Della Porta-Rossi) sugli anni 1969-1975 indica 2.528 episodi di violenza di cui 196 con matrice di sinistra e 1.671 di destra, mentre di 1.708 attentati non rivendicati 175 sono riconducibili alla sinistra e 1.339 alla destra. Il «Rapporto sull’eversione e sul terrorismo di estrema destra» redatto nel 1982 dal SISDE riferisce di 176 morti e 577 feriti causati dai neofascisti e si aggiunge alle relazioni pubblicate dalle Giunte regionali di Lazio, Lombardia e Piemonte che censirono le migliaia di violenze perpetrate dai gruppi dell’estrema destra negli anni 1969-1975. CON TALI DATI SI POTREBBE affrontare la questione della correlazione tra violenza e consenso elettorale al Msi. Infatti «fra il 1969 ed il 1972 -ha scritto il politologo Marco Tarchi- l’aumento della violenza di piazza e la crescita della predisposizione al voto missino è strettissima». Tutto questo al netto delle stragi neofasciste degli anni 1969-1980 realizzate con il decisivo apporto di apparati militari, ceti proprietari e parti affatto marginali della classe politica. L’INIZIATIVA degli eredi missini rappresenta un fine esplicito di uso pubblico della storia finalizzato al governo di un presente che si vuole proteso al superamento delle radici resistenziali della Repubblica cui i post-fascisti sono estranei. «La teoria degli opposti estremismi -insegna lo storico Enzo Santarelli- costituisce una precisa deformazione dello spirito e della lettera della Costituzione mirando ad un continuo riaggiustamento dell’equilibrio di un potere di classe e di rapporti sociali disuguali che nulla hanno a che vedere con l’antifascismo». * Fonte/autore: Davide Conti, il manifesto

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Campo di concentramento di Rab: mai dimenticare i crimini fascisti https://www.micciacorta.it/2022/09/campo-di-concentramento-di-rab-mai-dimenticare-i-crimini-fascisti/ https://www.micciacorta.it/2022/09/campo-di-concentramento-di-rab-mai-dimenticare-i-crimini-fascisti/#respond Sun, 11 Sep 2022 06:34:04 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26563 Ieri al Memoriale delle vittime del fascismo dell’isola di Rab (Arbe), in Croazia, si è svolta la commemorazione del 79esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento

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Nel 79esimo anniversario della liberazione dai nazifascisti la commemorazione italiana, slovena e crota Ieri al Memoriale delle vittime del fascismo dell’isola di Rab (Arbe), in Croazia, si è svolta la commemorazione del 79esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento. Alla presenza del ministro della Difesa sloveno Marjan Šarec e del presidente dell’associazione partigiana croata Franjo Habulin, il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo ha ricordato «le vittime del campo di Rab, giustamente definito da tanti campo di sterminio, dove morirono di stenti e fame 1.500 persone. Nel mio paese ancora oggi i crimini del fascismo in ex Jugoslavia sono sconosciuti ai più: una vera rimozione. La mia presenza rappresenta perciò un doveroso gesto di riparazione. A maggior ragione oggi quando in Italia si minimizzano le responsabilità dei fascisti, si mettono sullo stesso piano aggrediti e aggressori». Nei giorni scorsi una delegazione di storici guidati da Eric Gobetti ha visitato il campo. * Fonte/autore: il manifesto   ph by Derbrauni, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Foibe, Giorno del Ricordo. L’ANPI: «Una memoria non di parte» https://www.micciacorta.it/2022/02/foibe-giorno-del-ricordo-lanpi-una-memoria-non-di-parte/ https://www.micciacorta.it/2022/02/foibe-giorno-del-ricordo-lanpi-una-memoria-non-di-parte/#respond Sun, 06 Feb 2022 08:18:09 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26534 Presenti partigiani sloveni con storici di Lubjana e italiani come Eric Gobetti e Fulvio Salimbeni

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GORIZIA. Un convegno per rivendicare l’antifascismo, la ricerca storica, l’esigenza di non approfittare di una giornata che dovrebbe essere dedicata alla storia drammatica del confine orientale e che da subito, invece, è stata occasione per rinfocolare divisioni, propagandare il nazionalismo più odioso ammiccando a nostalgie irredentistiche e addirittura riabilitando il fascismo storico. La Giornata del Ricordo celebrata in Italia come memoria di una sola parte che si autoassolve nonostante sia stata origine e protagonista di quelle tragedie. «L’Italia è un Paese che ancora non è capace di confrontarsi seriamente con il proprio passato» ha detto Gianfranco Pagliarulo, presidente dell’Anpi e promotore di una grossa iniziativa ieri a Gorizia assieme al suo omologo sloveno Marijan Krizman, presidente della ZZB-NOB. «La storia insieme» il bel titolo del convegno tenutosi al Kinemax davanti a cento persone, basato sulla relazione della Commissione mista storico-culturale italo-slovena che per anni aveva visto lavorare assieme personalità autorevoli italiane e slovene per raggiungere una sintesi condivisa su quale fosse stato il rapporto storico fra i due popoli e quali drammi erano maturati nel trasformarsi di questa zona di confine da punto di incontro tra culture diverse – tedesche, slave, italiane – a punto di scontro sanguinoso con l’avanzare dei nazionalismi. Al Convegno hanno partecipato anche alcuni dei membri di quella Commissione: Nevenka Troha, Gorazd Bajc, Fulvio Salimbeni, concordi nel sottolineare la fatica e la puntigliosità della loro ricerca e del loro confrontarsi, sicuri di avere ottenuto un risultato importante, di avere stilato un documento inconfutabile che pensavano diventasse una pietra miliare per la conoscenza della Storia ma anche per l’amicizia tra i popoli. Un documento che, invece, è rimasto nascosto ai più mentre cresceva una narrazione distorta che esagerava, quando non inventava, soltanto episodi legati alle foibe e all’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia, decontestualizzando e strumentalizzando una storia complessa che andrebbe invece vista e compresa senza ignorare “l’altra parte”. «Non una storia delle guerre» ha ricordato il Prof. Salimbeni «ma una storia delle culture e delle civiltà che hanno fatto l’Europa». Il lavoro della Commissione era stato voluto dai Ministri degli Esteri di entrambi i Paesi, la nostra Camera dei deputati aveva chiesto unanimemente la pubblicazione della relazione finale ma tutto è rimasto sottotraccia, quasi non si trattasse di un atto ufficiale condiviso da due Stati. «La politica che l’aveva voluta» ha detto Eric Gobetti, molto applaudito «l’ha subito dimenticata. Poi l’istituzione del Giorno del Ricordo, una legge che non pensava alla pacificazione, che di ignora, che incentra tutto su un proprio ruolo di vittima. Chi ha votato quella legge evidentemente aveva come obiettivo solo una pacificazione interna: quella tra ex fascisti ed ex comunisti». Resta che nei libri di testo scolastici, oggi, c’è mezza pagina per le stragi naziste in Italia, mezza per le foibe e l’esodo e nessuno studente sa che l’Italia ha invaso la Jugoslavia nel 1941. Forte, sentito, lungo, l’intervento finale di Gianfranco Pagliarulo che, nel ribadire la ferma determinazione dell’Anpi a continuare sulla strada dell’incontro e di una memoria integrata, ha annunciato una prossima iniziativa con le associazioni di ex partigiani croati, sull’isola di Rab dove, in un campo di concentramento per sloveni, croati e serbi, i fascisti italiani occupanti fecero morire di stenti centinaia di donne e bambini slavi, una «razza inferiore» per nazisti e fascisti.   * Fonte/autore: Marinella Salvi, il manifesto

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Protesta dell’ANPI: “Il monumento al boia Rodolfo Graziani è un’ ignominia!” https://www.micciacorta.it/2021/05/protesta-dellanpi-il-monumento-al-boia-rodolfo-graziani-e-un-ignominia/ https://www.micciacorta.it/2021/05/protesta-dellanpi-il-monumento-al-boia-rodolfo-graziani-e-un-ignominia/#respond Sat, 29 May 2021 07:39:23 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26412 Flash mob ad Affile. Nel monastero di Debra Libanos furono trucidati monaci, diaconi, pellegrini ortodossi, più di 2.000, per opera degli uomini del generale Pietro Maletti, dietro ordine di Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia. Ad Affile è situato un monumento dedicato proprio a Graziani

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Si è svolto oggi alle 18 ad Affile (Roma) un flash mob promosso dall’ANPI – con la presenza del Presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo e del Presidente dell’ANPI provinciale di Roma Fabrizio De Sanctis – in occasione dell’84esimo anniversario della strage di Debra Libanos (Etiopia). Dal 21 al 29 maggio 1937 nel monastero di Debra Libanos furono trucidati monaci, diaconi, pellegrini ortodossi, più di 2.000, per opera degli uomini del generale Pietro Maletti, dietro ordine di Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia. Ad Affile è situato un monumento dedicato proprio a Graziani. In un passaggio del suo intervento così si è espresso Pagliarulo: “Siamo qui per denunciare una grande ignominia: un monumento intitolato non al soldato affilano più rappresentativo, come incautamente affermato, ma all’uomo delle carneficine, delle impiccagioni, dei gas letali. Perché questo fu Rodolfo Graziani. E le due parole sulla pietra del monumento, Patria e Onore, suonano come il più grande oltraggio alla Patria e all’Onore. Onore è parola che significa dignità morale e sociale. Quale onore in un uomo che sottomette un altro popolo in un’orgia di sangue? Patria. La nostra patria è l’Italia. La parola Italia è nominata nella Costituzione due sole volte: L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, L’Italia ripudia la guerra. Tutto il contrario di un Paese fondato sul razzismo imperiale. Perché, vedete, le stragi di Graziani furono certo l’operato di un criminale di guerra, e non fu certo l’unico. Ma furono anche stragi dello Stato fascista, di una macchina di violenza e di costrizione verso l’altro “. Era presenta anche una delegazione dell’Associazione della Comunità etiopica di Roma.   * Fonte: il manifesto, Ufficio stampa Anpi

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Friuli-Venezia Giulia, piazza al fascista Dominutti, la protesta dell’Anpi https://www.micciacorta.it/2021/01/friuli-venezia-giulia-piazza-al-fascista-dominutti-la-protesta-dellanpi/ https://www.micciacorta.it/2021/01/friuli-venezia-giulia-piazza-al-fascista-dominutti-la-protesta-dellanpi/#respond Sat, 16 Jan 2021 08:53:44 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26306 A Monfalcone la giunta di destra onora «l'ingegnere» che eliminava i comunisti

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«Nell’isontino si sta formando una associazione avente lo scopo di eliminare tutti gli esponenti del Partito Comunista giuliano e dell’Unione antifascista italo-slovena. L’associazione ha la sua base al Cantiere di Monfalcone. I primi elementi che si intendono sopprimere sono: il Prof. Velioni, ex primario dell’ospedale civile, l’imprenditore Gombi e Paravan Paolo di Monfalcone. Altri elementi da eliminare verrebbero segnalati di volta in volta». Questo propone ad un nuovo contatto un ingegnere del Cantiere, l’8 ottobre 1946. Più assistenza e denaro, ovviamente. Così in una informativa ritrovata nell’archivio di Lubiana. Chi è l’ingegnere che arruola assassini? È Pietro Dominutti che nel secondo dopoguerra è anche protagonista di trasporto e occultamento di armi e partecipa alle squadre protagoniste di violenze e intimidazioni contro militanti di sinistra, sedi di partito e organizzazioni operaie. Bombe e pugnali. Determinante il suo contributo anche all’interno del Cantiere dove si perseguitano gli operai antifascisti e si sostituiscono con esuli fidati che arrivano dall’Istria. Dominutti viene ucciso la sera del 14 gennaio 1948 mentre rientra dal Moto Club, luogo di ritrovo di «ex» fascisti di cui è presidente quello che era stato il segretario politico del Fascio. Due colpi di pistola e qualcuno che si allontana in bicicletta nella nebbia. A Monfalcone si vocifera di una vendetta per questioni di donne, si parla di questioni di interesse, «Il Lavoratore» propende per una provocazione neofascista per incrinare la pacificazione in atto ed il consolidarsi della sinistra nel territorio. Una quindicina tra i quadri dirigenti comunisti vengono fermati dai carabinieri con la scusa di proteggerli mentre i fascisti, dopo aver provocato duri scontri in Cantiere ed aver costretto ad abbassare le serrande a parecchi negozi, lanciano diverse bombe dichiarando di voler vendicare la morte di Dominutti «ucciso dai titini». Le inchieste non hanno seguito, i possibili moventi si sommano, l’autore del delitto rimane sconosciuto. Nazionalista, spia, bombarolo e morto in circostanze oscure: Dominutti diventa subito, per la destra, un patriota e un martire. Già nell’estate del 1948 la Lega Nazionale fa erigere un cippo nella strada dove è stato ucciso e intorno a quella lapide di «italiano assertore dell’italianità della sua terra», da qualche anno, Monfalcone Pro Patria raduna uno scarno manipolo di figuri che all’atto della chiamata «Presente!» alzano il braccio nel saluto fascista. Quest’anno la novità: con sola delibera di Giunta, il Comune guidato dalla leghista Anna Cisint ha intitolato a Pietro Dominutti una piazza. «È stata piantata l’ennesima bandierina per riscrivere in stile destra nazionalista la storia ben diversa di questa città» commenta Monfalcone Meticcia. Altre proteste da sinistra, comunicati duri dell’Anpi e di Rifondazione ma il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Mauro Steffè gongola: la sua annosa battaglia è vinta. I voti dei neofascisti contano. Domenica una corona di fiori per questo nero esempio di patriota e ci sarà anche il nipote di Dominutti, quello che «non sono qui per politica ma per il dolore della famiglia» mentre in internet scrive «Noi tireremo dritto», esibisce tatuaggi ben connotati e profluvi di 88. «Con i nomi si possono creare un immaginario e perfino un’epica e una mitologia» scrive l’editore Kappavu a proposito di «Ronchi dei Partigiani», un convegno che è diventato libro sulla toponomastica a Ronchi dei Legionari e nel monfalconese, dove i nomi dei paesi e delle strade raccontano una storia che il più delle volte storia non è. * Fonte: Marinella Salvi, il manifesto   Fonte immagine: ANPI Monfalcone

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Multata presidente Anpi a Cosenza, aveva portato un fiore ai partigiani https://www.micciacorta.it/2020/06/multata-presidente-anpi-a-cosenza-aveva-portato-un-fiore-ai-partigiani/ https://www.micciacorta.it/2020/06/multata-presidente-anpi-a-cosenza-aveva-portato-un-fiore-ai-partigiani/#respond Sun, 07 Jun 2020 07:09:19 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26160 Quando gli è stata notificata dalla Questura, Maria Pina Iannuzzi pensava a uno scherzo e non ci credeva. Ma era tutto tremendamente vero

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Cosenza. Quando gli è stata notificata dalla Questura pensava ad uno scherzo e non ci credeva. Ma era tutto tremendamente vero. Il fiore del partigiano, deposto il 25 aprile come ogni anno nel giorno della Liberazione, costa alla presidente dell’Anpi di Cosenza, Maria Pina Iannuzzi, una multa salata di 400 euro. Mentre la destra neofascista, prima, durante e dopo la pandemia, fa impunemente quel che vuole, l’associazione dei Partigiani viene sanzionata per un nobile gesto, tradizionale, effettuato in piena sicurezza, seguendo tutti i crismi di legge. «Anche ai tempi del Covid abbiamo ritenuto opportuno – ci dice Iannuzzi – portare dei fiori in un luogo simbolico: il Largo dei Partigiani, nella città vecchia, di fronte a quel carcere giudiziario luogo di prigionia e di sofferenza per tanti antifascisti cosentini come Paolo Cappello, il muratore socialista ucciso dal piombo fascista nel 1924, cui è intitolata la nostra sezione. Dopo una visita nella sede della Associazione Terra di Piero – che insieme ad altre strutture cosentine ha portato ogni giorno pasti caldi, aiuto e assistenza ai bisognosi – nel pomeriggio mi sono recata nel piazzale per l’omaggio ai partigiani. Ogni anno portiamo il fiore alle 9 del mattino dando inizio alle celebrazioni. Quest’anno sarebbe stato l’unico gesto rituale della giornata». Insieme a lei si erano radunati gli altri rappresentanti delle realtà antifasciste cittadine. Una foto in particolare ritrae i partecipanti schierati e distanti l’uno dall’altro, con indosso mascherine, guanti e quanto previsto dalle misure di contenimento. E invece Iannuzzi si è vista recapitare la sanzione «perchè il 25 aprile 2020 violava le prescrizioni atte al contenimento del rischio epidemiologico Covid-19 lasciando la propria abitazione senza giustificato motivo, non ricorrendo i casi previsti dal D.L. 19/2020 e partecipando ad assembramento e manifestazione in luogo pubblico, composta da 18 persone alle ore 14.57 del 25.4.2020 in Largo dei Partigiani di Cosenza». Peraltro «il giustificato motivo» c’era, eccome. Era stata la presidenza del Consiglio dei ministri a metterlo nero su bianco il giorno prima: «Le associazioni partigiane e combattentistiche potranno partecipare alle celebrazioni per il 75esimo anniversario della Liberazione in forme compatibili con l’attuale emergenza». Ed è la stessa foto (tratta dai social e neanche scattata dai verbalizzanti) utilizzata dalla questura per il riconoscimento a fugare ogni dubbio. Iannuzzi indossava i dispositivi di protezione e si trovava distanziata dagli altri partecipanti. Il ricorso al prefetto, ovviamente, è pronto. Ma l’Anpi si appella al Viminale affinchè la sanzione sia ritirata d’ufficio. «Depositare dei fiori in memoria di uomini e donne caduti nell’atto di liberarci dal nazifascismo è per noi un irrinunciabile esercizio di memoria. Punirlo non è degno di un paese democratico». * Fonte: Silvio Messinetti, il manifesto

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Quale memoria? Le foibe al tempo del «populismo storico» https://www.micciacorta.it/2020/02/quale-memoria-le-foibe-al-tempo-del-populismo-storico/ https://www.micciacorta.it/2020/02/quale-memoria-le-foibe-al-tempo-del-populismo-storico/#respond Wed, 05 Feb 2020 15:30:35 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25952 Un seminario organizzato dall’Anpi è stato «contestato» dall’estrema destra italiana che lo ha definito «un oltraggio agli esuli istriani e dalmati infoibati vittime dell’odio comunista»

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Memoria e ricordo . La contestazione al seminario organizzato dall’Anpi esprime in modo visibile l’emersione di un fenomeno che le «politiche memoriali», organizzate attorno all’istituzione di leggi ad hoc finalizzate all’uso pubblico della storia, hanno finito progressivamente per alimentare fino alla sua tracimazione nel discorso pubblico Si è tenuto ieri un seminario, presso la Sala degli Atti Parlamentari della Biblioteca del Senato della Repubblica, con storici di rigore e professionalità, riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Come Giovanni De Luna, Franco Ceccotti e Anna Maria Vinci e Marta Verginella, e che, per il solo motivo di essersi svolto, è stato «contestato» da esponenti dell’estrema destra italiana che lo hanno definito «un oltraggio agli esuli istriani e dalmati infoibati vittime dell’odio comunista» ed un’iniziativa «dal chiaro obbiettivo negazionista». L’episodio esprime in modo visibile l’emersione di un fenomeno che le «politiche memoriali», organizzate attorno all’istituzione di leggi ad hoc finalizzate all’uso pubblico della storia, hanno finito progressivamente per alimentare fino alla sua tracimazione nel discorso pubblico: il populismo storico. Esso ha progressivamente preso corpo in tutte le società democratiche del continente, ne è esempio la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre scorso sui totalitarismi, e rappresenta il superamento del revisionismo e una sua manifestazione a base «di massa», cioè non più chiusa entro il solo perimetro del dibattito storiografico o pubblico-divulgativo. Sul piano della comunicazione nella società il populismo storico è organizzato su una reciprocità dialettica con ciò che si definisce «senso comune». Il suo impatto mediatico e la diffusione dei suoi rovesciamenti storiografici si alimentano della capacità di «ritorno» che questi ultimi producono sull’opinione pubblica, trasformata in fonte di forza e ispirazione per spinte, sempre più oltranziste, verso il ribaltamento del senso della storia. Presentato dai suoi animatori come espressione di novità e liberazione antidogmatica dalla cosiddetta «storia ufficiale» (vale a dire dall’esercizio metodologico della disciplina e dalla trasmissione del sapere scientifico) il populismo storico ricava le proprie istanze dall’uso del più vecchio e consunto degli armamentari ideologici quello della negazione, dell’autoassoluzione e della memoria selettiva. In questo quadro la «complessa vicenda del confine orientale» richiamata nell’articolo 1 della stessa legge istitutiva del giorno del ricordo viene sistematicamente elusa dal dibattito pubblico. Sono in questo modo cancellati dalla memoria nazionale «il fascismo di frontiera» (lo squadrismo delle camice nere contro le popolazioni jugoslave prima della marcia su Roma), la guerra di aggressione scatenata dal regime di Mussolini il 6 aprile 1941; i crimini di guerra contro civili e partigiani compiuti dalle truppe del regio esercito e dalle milizie fasciste in Jugoslavia; l’impunità garantita alle migliaia di «presunti» criminali di guerra inseriti nelle liste delle Nazioni Unite per essere processati in una «Norimberga italiana» mai celebrata in ragione degli equilibri geopolitici della «Guerra Fredda». Correlata a questo si porrebbe anche la questione della «continuità dello Stato» nel quadro della transizione dal nazifascismo alla democrazia in Italia, nonché la scabrosa vicenda dei risarcimenti, dovuti e non pagati, ai familiari delle vittime delle stragi nazifasciste in Europa. La strumentalizzazione che la destra politica compie attorno alla vicenda delle foibe riassume i caratteri nazionali di un Paese che non avendo fatto i conti col proprio passato cerca di superarlo riscrivendolo. La contestazione dei «populisti storici» agli storici, e alla storia stessa, si incardina così in quello «spirito dei tempi» che la società contemporanea si trova a vivere oggi, nel pieno di una delle sue crisi più profonde. La funzione della storia rimane quella di organizzare un «orizzonte di senso» rispetto al tempo trascorso attraverso il metodo scientifico ovvero un processo in grado di comporre una relazione di significati il più possibile precisa che connetta le vite diverse di generazioni di persone, popoli e società. La storia, in sostanza, non solo spiega da dove veniamo e rende visibili le radici d’origine ed i processi d’impianto delle nostre società ma soprattutto ci mostra le ragioni e gli sviluppi attraverso cui siamo diventati ciò che siamo, nel bene e nel male. Enucleata dall’onere specifico e dirimente di offrire una «resa di complessità» la storia finisce per essere rappresentata attraverso forme monodimensionali o retorico-celebrative che ne impoveriscono il portato culturale o la trasfigurano in strumento propagandistico della debole politica dei giorni nostri come forma di regolazione e controllo selettivo della memoria collettiva, finalizzato al governo del presente. Su questo terreno diviene indispensabile la resistenza della cultura e delle coscienze. * Fonte: Davide Conti, il manifesto

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Cerimonia della X Mas in Comune a Gorizia, antifascisti in piazza https://www.micciacorta.it/2020/01/cerimonia-della-x-mas-in-comune-a-gorizia-antifascisti-in-piazza/ https://www.micciacorta.it/2020/01/cerimonia-della-x-mas-in-comune-a-gorizia-antifascisti-in-piazza/#respond Sun, 19 Jan 2020 08:24:07 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25927 La commemorazione della battaglia di Tarnova del 1945 . Manifestazione organizzata dall’Anpi in occasione del raduno in Municipio dei nostalgici della flottiglia alleata dei nazisti

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Proteste per la decisione del gip di archiviare l’apologia del fascismo GORIZIA. L’Anpi aveva denunciato per apologia del fascismo la manifestazione tenuta dalla X Mas, nel 2018, ospite del Comune di Gorizia. Due giorni fa il gip del Tribunale ha provveduto ad archiviare tutto con motivazioni che la Segreteria Nazionale dell’Anpi ha definito «inconcepibili». Secondo il gip di Gorizia «L’inno della X Mas non contiene alcun riferimento al movimento fascista o a ideologie razziste o totalitarie» e, ancora: «La commemorazione dei caduti della X Mas non può certo essere ritenuta una manifestazione fascista, nel senso inteso dalla legge Scelba, trattandosi di una riunione autorizzata, finalizzata unicamente a rendere omaggio a dei soldati morti in battaglia oltre settant’anni fa». Il riferimento è a quella battaglia di Tarnova di fine gennaio 1945 che, nella retorica neofascista, viene raccontata come un fatto epico: diversi battaglioni della X Mas avrebbero fermato “le orde slavo-comuniste” che volevano occupare Gorizia. Ma è solo uno dei più eclatanti esempi di revisionismo storico. La X Mas, al comando di Junio Valerio Borghese, era arrivata sul confine orientale alla fine del 1944 per affiancare l’occupatore tedesco contro la forte resistenza partigiana (meglio: per obbedire ai nazisti, alla faccia della sbandierata italianità, visto che si era nell’Adriatisches Küstenland). A seguito di un rastrellamento, i partigiani erano stati costretti a trovare rifugio nella inaccessibile selva di Tarnova, zona ben protetta dall’esterno ma con condizioni climatiche proibitive, soprattutto in quel gelido inverno di inizio ’45: senza rifornimenti, avevano tentato di aprirsi un corridoio di collegamento con la valle del Vipacco e decisero di sfondare proprio in uno dei punti di presidio della X Mas, nel paesino di Tarnova, dove travolsero il battaglione “Fulmine” e quanti, tedeschi e domobranci (sloveni filonazisti), erano arrivati in soccorso. Ai partigiani, allora, non passava proprio nella mente di buttarsi tra le braccia dei tedeschi a Gorizia: la battaglia di Tarnova fu un esempio di goffaggine e velleitarismo scontratosi con reparti partigiani in cerca di una via di uscita. «La X Mas, responsabile di indicibili crimini» scrive l’Anpi «combatté a fianco e a sostegno dei nazisti, assieme ad altre formazioni fasciste, contro i partigiani sloveni e italiani che lottavano per la liberazione di quel territorio dall’occupazione militare tedesca. Fu il caso italiano più eclatante e spregevole di collaborazionismo con Hitler». Secondo l’Anpi, dunque, la motivazione della sentenza di archiviazione del gip goriziano appare quanto meno pretestuosa. La X Mas, in queste terre, è ben ricordata per la crudeltà, per le torture perpetrate su partigiani ma anche su persone inermi, per la Caserma Piave, a Palmanova, sede di sevizie indicibili contro i rastrellati della zona e, comunque, anche per la vanagloria con cui riuscì a inimicarsi persino l’alleato tedesco che, proprio dopo la battaglia di Tarnova, la fece addirittura allontanare dal territorio.

Ciò non toglie che ieri, di nuovo, la X Mas si è ripresentata a Gorizia, accolta ufficialmente da un assessore nel palazzo settecentesco – blindatissimo per l’occasione – che ospita il Municipio: il labaro blu con il teschio è entrato scortato da altri tricolori con aquile e fasci littori per una cerimonia che, sembra, sia stata questa volta silenziosa, senza inni e saluti romani (che comunque il gip goriziano ha appena dichiarato «gesti folcloristici»). E a fine cerimonia, tutti dentro la sede di CasaPound a pochi metri dal Comune, per un brindisi collettivo. «Siamo rimasti sconcertati nell’apprendere che in una sala pubblica, in una città medaglia d’oro della Resistenza, si possano cantare inni della X Mas» dichiara Anna Di Gianantonio, ricercatrice storica e Presidente dell’Anpi di Gorizia «ma questo ha rafforzato la nostra decisione di scendere in piazza per manifestare contro questa celebrazione». E infatti ieri a Gorizia c’erano tantissimi antifascisti, musica e bandiere, amarezza e determinazione. Dai muri della città sono spariti tutti quei manifesti che, per giorni, li avevano sfregiati con la scritta «Gorizia grida: mai più antifascismo». «Morte al fascismo – Libertà ai popoli» ha risposto la piazza con quello che è stato il grido dei partigiani del confine orientale. * Fonte: Marinella Salvi, il manifesto

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Addio a Marisa Ombra, una ragazza del ’43 sul fronte partigiano delle Langhe https://www.micciacorta.it/2019/12/addio-a-marisa-ombra-una-ragazza-del-43-sul-fronte-partigiano-delle-langhe/ https://www.micciacorta.it/2019/12/addio-a-marisa-ombra-una-ragazza-del-43-sul-fronte-partigiano-delle-langhe/#respond Fri, 20 Dec 2019 11:55:53 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25881 Lutti. È morta ieri all’età di 94 anni Marisa Ombra, staffetta partigiana con le Brigate Garibaldi, protagonista delle battaglie delle donne e vicepresidente Anpi

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Qualche ruga, certo, e il segno degli acciacchi della vecchiaia, ma ancora bellissima, come quando l’avevo conosciuta negli anni ’50. Così ho visto due anni fa per l’ultima volta il Grand’Ufficiale Marisa Ombra (così è stata decorata),in occasione del ricevimento al Quirinale che il Presidente della Repubblica riserva l’8 marzo alle donne che, per una ragione o per l’altra, rientrano nella categoria di quelle che, chi più chi meno, hanno segnato la storia del nostro paese. La sola occasione dove non sono, come ormai sempre, la più vecchia. ANCHE RISPETTO a Marisa ero più giovane, sia pure di poco più di un paio d’anni. Quel poco di maggiore anzianità, ma innanzitutto uno straordinario coraggio, che le hanno consentito di aver fatto davvero la storia di Italia, la sua pagina più bella: la Resistenza. Come giovanissima staffetta partigiana in una delle zone dove più intensa e diffusa fu l’azione delle Brigate Garibaldi, le Langhe. A BATTERE A MACCHINA su una vecchia Remington giornali e volantini, poi riprodotti al ciclostile, Marisa – appena quindicenne – l’aveva imparato da suo padre prima ancora dell’8 settembre, perché è nella cucina della loro casa di Asti che si stampavano artigianalmente i fogli necessari a preparare i grandi scioperi antifascisti del ‘marzo ’43. Arrestato il padre, poi liberato dalla prigione e da allora nei reparti partigiani, Marisa la madre e la sorella si rifugiarono nelle Langhe per sfuggire alla rappresaglia fascista. Ma tutte e tre restarono coinvolte nella battaglia, un esempio significativo di quel che lo storico Roberto Battaglia ha scritto a proposito della Resistenza, che chiama “società partigiana” per sottolineare che non fu solo lotta dei reparti armati ma autorganizzazione di una società che si voleva “altra”, che coinvolse donne vecchi ragazze in un impegno solidale. È in questo contesto che prende le mosse il primo embrione di quello che diventerà poi il femminismo: i “Gruppi di difesa della donna”, in cui Marisa fu subito attiva. Il titolo era sbagliato, perché le donne già difendevano sé stesse e gli altri, non erano solo chi doveva esser difeso. E infatti proprio quell’associazione – come ebbe a scriverne Marisa molto tempo dopo – aprì la strada alla presa di coscienza dei diritti delle donne. Marisa ne fu consapevole da allora, una maturazione cresciuta nelle lunghe marce fra la neve, di notte in qualche stalla di contadini amici, o all’addiaccio nelle vigne, trattenendo il respiro ad ogni rumore, pronta a recitare la parte di una sfollata per nascondere le carte che recava e che l’avrebbero, se scovate, sottoposta alla tortura delle brigate fasciste o delle pattuglie tedesche. IN UNO DEI SUOI LIBRI del dopoguerra racconta che il 25 aprile, quando il conflitto finisce, sentì, nonostante la gioia per la vittoria e la pace, una qualche malinconia: era finita quella straordinaria trasgressione che era stata per le donne la partecipazione alla Resistenza. Marisa non tardò a ritrovare l’impegno politico e fu funzionaria del Pci per molto tempo. Ne fu allontanata per via di qualche dissenso politico manifestato nel ’56, ma anche, credo, perché si era unita a un compagno, poi mio collega a Paese Sera, già sposato. Il divorzio non c’era ancora e il Pci temeva che, specie nelle zone rurali più conservatrici, ci fosse incomprensione e fiorissero le accuse democristiane ai comunisti di essere “di facili costumi”. E così ci trovammo con Marisa all’Udi, che, in quegli anni, accoglieva le compagne disubbidienti, come lei e anche me dopo l’XI congresso del Pci, quando tutti gli “ingraiani” furono mandati a lavorare fuori dal sacro palazzo delle Botteghe Oscure. L’Udi era organizzazione di massa, condivisa come molte altre allora con le socialiste, e dunque in qualche modo zona franca. Debbo dire che sono grata a questo esilio che mi fu imposto perché l’Udi è stata una gran bella esperienza e luogo di incontro con donne straordinarie cui sono rimasta molto legata: fra queste Marisa Ombra. IN UN ANGOLO dei saloni del Quirinale, quell’8 marzo di due anni fa, restammo a chiacchierare a lungo con Marisa. Era parecchio che non ci incontravamo. Mi raccontò della sua più recente esperienza come vicepresidente dell’Anpi, un ruolo che si meritava ed è stato importante per l’Associazione perché Marisa Ombra ha reso più evidente il contributo delle donne alla Resistenza. Tornammo anche a riparlare della Bolognina, perché anche lei, allora, non era entrata nel partito che era succeduto al Pci. Ricordo quell’8 marzo al Quirinale anche per un’altra ragione: per la risposta data da Lidia Menapace a una giornalista che l’intervistava, presentandola come «ex partigiana». E lei rispose: «Scusi, io sono ancora partigiana». Un bella risposta, valevole per molte partigiane, rimaste partigiane. Così era anche Marisa, fiera e combattiva. * Fonte: Luciana Castellina, il manifesto

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CasaPound e Forza Nuova oscurati dai social: «Diffondono odio» https://www.micciacorta.it/2019/09/casapound-e-forza-nuova-oscurati-dai-social-diffondono-odio/ https://www.micciacorta.it/2019/09/casapound-e-forza-nuova-oscurati-dai-social-diffondono-odio/#respond Tue, 10 Sep 2019 07:38:15 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25645 Internet. Facebook e Instagram cancellano gli account delle due organizzazioni. Oscurati anche i profili dei leader Iannone, Di Stefano, Fiore e di molti militanti

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Casa Pound

È successo poco prima delle 17 di ieri: gli account di CasaPound e di Forza Nuova sono spariti da Facebook e da Instagram, i due social network che fanno capo a Mark Zuckerberg. «Le persone o le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base della loro identità non trovano posto su Facebook e Instagram – spiegano da Facebook – Gli account che abbiamo rimosso violano la nostra policy», affermano secchi dagli uffici del colosso digitale. La presidente dell’Anpi Carla Nespolo esulta: «Siamo molto contenti, nei social network non può essere consentita la violazione della Costituzione». La tempistica non stupisce quelli che conoscono Facebook e ne studiano il funzionamento. Ieri era lunedì, e pare che sia in questo il giorno della settimana che i dirigenti di Facebook fanno il punto sulle novità in termini di policy e regole da rispettare. Di solito, dal pomeriggio parte la cancellazione dei contenuti considerati inconciliabili con il social network. Così si spiegherebbe la coincidenza del provvedimento con la manifestazione di piazza Montecitorio durante la quale destre ed estreme destre hanno contestato la fiducia al governo Conte. Il colpo di spugna sulla propaganda delle organizzazioni neofasciste da parte di Facebook non è inedito: solo qualche mese fa era toccato a gruppi neonazisti statunitensi, prima ancora era stata la volta Alba Dorata in Grecia o il British National Party in Inghilterra. Da CasaPound lamentano la chiusura a strascico delle pagine di centinaia di militanti. Tra quelle rimosse ci sono quelle dello storico leader di CasaPound Gianluca Iannone e del segretario Simone Di Stefano. Sono state rimosse anche le pagine di organizzazioni collaterali ai partiti neofascisti, che si presentano come operanti nel volontariato o nel settore della protezione civile. La pagina di CasaPound Italia aveva circa 250 mila seguaci. I dati di un anno fa elaborati da Patria Indipendente, rivista dell’Anpi, svelano alcune caratteristiche delle pagine rimosse. Ne emerge che attorno a CasaPound e Forza fino al 2018 ruotavano circa 800 pagine a organizzazione, che corrispondono a circa 450 mila post totali diffusi nel primo caso e 380 mila nel secondo. Per il ricercatore Elia Rosati, che a CasaPound ha dedicato un libro, «Facebook è uno strumento essenziale per il radicamento territoriale». Di solito l’insediamento in un nuovo contesto non viene annunciato online direttamente dal logo con la tartaruga stilizzata ma appunto da pagine collaterali di utenti privati o organizzazioni giovanili quali Blocco Studentesco. «Abbiamo attivato i nostri avvocati. Qualcuno ha dato l’ordine di farci fuori», dichiara il consigliere municipale di Ostia Luca Marsella di CasaPound, che era solito usare lo streaming Facebook per lanciare le sue invettive. Ultimamente ce l’aveva coi migranti che vivono nell’ex Colonia Vittorio Emanuele. «Risponderemo con più piazza e più reclutamento», dice il fondatore di Forza Nuova Roberto Fiore invocando un ritorno alle vecchie maniere. Ma ormai è quasi impossibile tracciare un confine netto tra reale e virtuale, tra le mobilitazioni per strada e la loro amplificazione via social, come si è visto in occasione delle campagne contro l’assegnazione di casa popolari ai migranti. Bastava qualche militante per una foto e dei video da diffondere. Adesso sarà un po’ più complicato. * Fonte: Giuliano Santoro, il manifesto

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