Austria – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Thu, 18 Jan 2018 10:30:19 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Destre al potere. Interni neri d’Austria https://www.micciacorta.it/2018/01/24030/ https://www.micciacorta.it/2018/01/24030/#respond Thu, 18 Jan 2018 10:30:00 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24030 Attenzionati dai servizi segreti, produttori di fake news per screditare reporter e antirazzisti, con le cicatrici in faccia dei riti neo nazi: sono alcuni degli uomini al potere oggi a Vienna

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VIENNA. Così tanto a destra da far esplodere la protesta di massa nella tranquilla Vienna: piazza degli Eroi dove giusto 80 anni fa Hitler celebrò l’annessione dell’Austria alla Germania nazista era gremita di gente che scandiva «Widerstand», resistenza. A decine di migliaia, sabato scorso, sono sfilati in corteo contro il razzismo e i tagli sociali del governo Kurz-Strache, che ha promosso una massiccia scalata nei gangli del potere di ex neonazisti. GENTE DI OGNI ETÀ, associazioni, cittadini singoli, studenti, sindacalisti, politici verdi e socialdemocratici, «nonne contro la destra». «È stata come la manifestazione Welcome refugees del 2015, del resto la rete di solidarietà intorno ai rifugiati che si era formata allora è rimasta sempre in piedi», ci dice Michael Genner di Asyl in Not, emergenza asilo, tra gli organizzatori della manifestazione insieme a Offensiva contro la destra e Coordinamento di sinistra radicale. A portare molte persone in piazza è stato il ministro degli Interni Herbert Kickl, considerato il cervello di Heinz-Christian Strache, nuovo vice cancelliere. Illustrando giovedì scorso i piani del governo sui richiedenti asilo da radunare in megastrutture fuori città l’ideologo della Fpoe ha detto che bisognava «tenere i richiedenti asilo in modo concentrato in un luogo». Una dizione che ha scatenato una tempesta, visto anche lo sfondo storico della Fpoe, nata come partito degli ex nazisti. KICKL ha insistito sul fatto che non intendeva affatto rievocare campi di concentramento accusando di provocazione il volerglielo attribuire. «Concentra te stesso, testa di ….», hanno intimato al ministro, sabato, i manifestanti. Stefan Petzner, consulente di comunicazione che conosce da vicino l’humus della destra, già assistente del defunto Joerg Haider e suo ex compagno di vita, ritiene che si trattava di un uso intenzionale di quella parola, come segnale alla frangia dei più irriducibili, e per distogliere l’attenzione dai tagli sociali in arrivo. Una reprimenda è arrivato dal presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen, mentre al cancelliere Sebastian Kurz sono bastate le spiegazioni di Kickl. Sono 13mila i richiedenti asilo che vivono a Vienna in case private. Riuscirà il governo a cacciarli, a «tenerli in modo concentrato in un luogo», come annunciato da Kickl?, chiediamo a Genner. «Se noi lo permetteremo, lo faranno, ma noi non lo permetteremo. Considera che il primo governo nero-azzurro, nel 2000, per i primi 4 anni non riuscì a inasprire le leggi sull’asilo, per la forte opposizione civile che c’era allora e per le sanzioni europee». UN CARTELLO retto da un manifestante recitava una citazione di T.W. Adorno: «Non temo il ritorno dei fascisti con la maschera dei fascisti, ma temo il ritorno dei fascisti con la maschera dei democratici». Il partito della libertà (Fpoe), compagno di gruppo di Salvini e Marine Le Pen a Strasburgo, gioca su entrambe le modalità. Sbarcata al governo, la pattuglia di Strache non ha assunto una veste più istituzionale, moderando i toni, come molti pensavano e come del resto aveva già fatto in campagna elettorale. Al contrario, appena insediati al potere, i ministri della Fpoe si sono scatenati portando nel cuore dello Stato gli esponenti più estremi delle Burschenschaften, le corporazioni studentesche combattenti, organismi chiusi, semisegreti, di ideologia pangermanica che considerano l’Austria una propaggine tedesca, negandola come nazione, seppure gli adepti ne agitano costantemente le bandiere. Molti dei nuovi inquilini dei ministeri hanno un taglio in faccia , effetto della «Mensur», il duello di iniziazione. Come già noto, tutto il potere armato e di controllo dello Stato è nelle mani della Fpoe, con i due ministeri chiave, Interni e Difesa. Strache più volte ha ripetuto come sia importante assumersi la responsabilità per i crimini nazisti. POI CI SONO I SUOI UOMINI, che ora occupano i ministeri. Al ministero degli Interni il capo della comunicazione è Alexander Hoeferl, una funzione che prima svolgeva per la Fpoe. È noto come produttore di fake news, autore di campagne denigratorie verso giornalisti e immigrati. Ha gestito il sito di propaganda di estrema destra unzensuriert.at, la versione austriaca del Breitbart americano. Fino a oggi è stato sotto osservazione del Verfassungsschutz, l’agenzia di intelligence interna che documenta le tendenze estremiste nel Paese. L’intelligence, sottoposta al ministero degli Interni, ha definito il canale on line «di destra e nazionalista, di contenuti estremamente xenofobi e di tendenza antisemita. Propugnatore di teorie complottiste, di ideologia pro russa». Ora l’agenzia è caduta direttamente nelle mani di quelli che fino a oggi sono stati l’oggetto delle sue investigazioni. Il capo gabinetto dello stesso ministero è Roland Teufel, membro della Brixia Innsbruck, una Burschenschaft, una confraternita che secondo il Centro di documentazione della resistenza austriaca (Doew) «va collocata nel nucleo duro della scena di estrema destra». NON È PIÙ RASSICURANTE il ministero delle Infrastrutture dove ora regna Norbert Hofer, il candidato sconfitto alle presidenziali. Suo capogabinetto è Rene Schimanek che da giovane (20 anni fa) frequentava un gruppo finito fuori legge chiamato Vapo, legato a Gottfried Kuessel, pluricondannato per attività neonaziste, a tutt’oggi in galera in Austria. Il portavoce di Hofer è Herwig Goetschober, funzionario di alto rango nelle Burschenschaften combattenti, noto per i suoi contatti con ambienti neonazisti. Un video degli anni ’80 lo mostra con Kuessel e il suo gruppo a cantare canzoni che incitano all’ uccisione di ebrei. L’ELENCO potrebbe continuare uguale per tutti i ministeri occupati dalla Fpoe eccetto gli Esteri dove è stato nominata una studiosa di arabismo indipendente, ritenuta l’unica esponente competente della pattuglia governativa. Nel corteo di sabato pieno di cartelli selfmade un monito per il cancelliere Kurz era «Basti (suo soprannome) smettila di abbracciare i Burschen, metti in pericolo l’Austria». FONTE: Angela Mayr, IL MANIFESTO

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Sinistra perbene alla deriva https://www.micciacorta.it/2016/05/sinistra-perbene-alla-deriva/ https://www.micciacorta.it/2016/05/sinistra-perbene-alla-deriva/#respond Sun, 29 May 2016 08:46:32 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21933 Clintoniani d'Europa . In una stagione avara di speranze la crisi storica del socialismo continentale metafora di una politica senza ideali

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L’implosione della sinistra perbene emerge inconfutabile da recenti accadimenti in paesi dell’Unione Europea a guida socialista. Implosione in senso lato: in Austria, per la crisi politica innescata dall’«emergenza» immigrazione; altrove – da noi e in Francia – per le scelte conseguenti alla mutazione genetica che l’ha trasformatai in una forza organica di restaurazione. La reazione austriaca all’ondata migratoria replica in forme estreme un fenomeno classico. Le tensioni e i conflitti provocati dalla mancata integrazione si concentrano nelle periferie e in quelli che sino a poco tempo prima erano i quartieri rossi delle grandi città, col risultato di trasformarli nelle roccaforti della destra ultranazionalista. Per mesi a Vienna le squadre neonaziste si sono sentite spalleggiate e hanno moltiplicano le aggressioni. D’altra parte il governo ha rincorso la deriva xenofoba, come si è visto al Brennero e col varo di una legge più restrittiva sul diritto d’asilo. Com’è finita, per il momento, lo sappiamo. Al ballottaggio l’erede di Jörg Haider ha perso, per il rotto della cuffia. Ma il vero fallimento è quello del Partito socialdemocratico che, dopo una decina di anni di governo, lascia un paese spaccato, più che mai restio a fare i conti con il proprio passato nero, e una destra razzista votata da un elettore su due. In Francia Hollande e il suo governo si giocano l’osso del collo pur di imporre una «riforma» del Codice del lavoro tutta giocata contro i diritti dei lavoratori. Per offrire alle imprese lo scalpo del contratto nazionale e la piena libertà sui licenziamenti hanno evitato il voto dell’Assemblea nazionale e scatenato una reazione sindacale che sta paralizzando il paese. Ora vacillano ma non demordono, nonostante il grosso della popolazione stia con chi sciopera. Come se la ragion d’essere del socialismo europeo risiedesse precisamente nella precarizzazione radicale del lavoro salariato e nella distruzione delle sue tutele. In Italia, dopo due anni di escalation reazionaria contro il lavoro e i diritti sociali nel segno delle privatizzazioni e degli interessi delle lobbies finanziarie e imprenditoriali; dopo una legge elettorale anticostituzionale come e più della precedente perché negatrice del principio di uguaglianza e del diritto alla rappresentanza politica – ora il governo a guida «democratica» investe tutto su una «riforma» costituzionale incentrata sulla pienezza dei poteri in capo al premier. Cioè sulla logica contro la quale fu disegnata la Costituzione antifascista. Anche qui è un governo di centrosinistra a dirigere la normalizzazione, guidato per di più dal segretario di una forza nata dalle ceneri del più grande partito comunista d’Occidente. Ovunque in Europa dagli anni 90 la «sinistra clintoniana» è la testa d’ariete dello scardinamento delle conquiste democratiche in ambito economico e sul terreno (strettamente intrecciato) della partecipazione e dei diritti di cittadinanza. Ovunque i partiti «socialisti», ispiratori di Maastricht e Lisbona, hanno promosso «riforme» antisociali che difficilmente sarebbero riuscite a esecutivi di destra, necessariamente più cauti nel timore di avvantaggiare la controparte politica. Ovunque hanno cavalcato la deriva postdemocratica, avallato la prepotenza delle oligarchie, legittimato la sovranità del profitto. Oggi non è difficile un bilancio a freddo di un quarto di secolo di storia politica del continente che tenga conto, in primo luogo, della controrivoluzione culturale che ha segnato l’intero processo. Non si è trattato di un fatto episodico né di una trasformazione epidermica. La sinistra operaia a fine Ottocento nacque dalla consapevolezza del rapporto problematico tra capitalismo e democrazia, dall’esperienza del conflitto ineliminabile tra diritti e profitti. La «sinistra» che si afferma in Europa dopo la caduta del Muro di Berlino si fonda su una opposta ideologia, che offre anche il vantaggio di nobilitare l’affarismo. Muove dall’assunto che non vi è democrazia senza capitalismo. Considera i cardini del capitalismo (il mercato e la concorrenza) addirittura capisaldi costitutivi della democrazia, quindi le privatizzazioni passaggi progressivi. Di qui una nuova qualità delle divisioni a sinistra, che non vertono più su divergenze tattiche (come un tempo tra riformisti e massimalisti), ma su questioni di ordine strategico. In una stagione triste, avara di speranze, la crisi storica del socialismo europeo è la metafora più limpida di una politica ormai priva di ideali. Da questo punto di vista l’odierna bonaccia italiana è la fotografia di una devastazione perfetta. O, se si preferisce, di un suicidio riuscito. Nel giro di vent’anni la sinistra è stata estirpata dal corpo del paese. Trasformata in una forza restauratrice (il sedicente «riformismo») o confinata ai margini della scena, grazie all’insipienza dei suoi dirigenti. Ora, col referendum di ottobre, siamo forse a un passaggio-chiave. Può darsi che Renzi perda, che ci si liberi finalmente di lui e della sua gente, il che sarebbe una liberazione, chiunque gli succeda. Ma anche in questa eventualità ci si ritroverebbe ai piedi di una montagna da scalare.

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Battaglia al valico del Brennero https://www.micciacorta.it/2016/05/21802/ https://www.micciacorta.it/2016/05/21802/#comments Sun, 08 May 2016 07:23:36 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21802 Frontiere. Scontri tra No Borders in versione anarco-black bloc e forze dell’ordine italiane. Un agente ferito e decine di fermi fra i manifestanti, tra cui tre austriaci e una ragazza tedesca

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Il confine storicamente incandescente del Brennero ritorna scenario di «guerra». Residenti, turisti e camionisti rivivono – un po’ allibiti, un po’ sconcertati – una sorta di riedizione aggiornata del conflitto italo-austriaco. Salgono i No Borders in versione anarco-black bloc, organizzati come nel 1 maggio 2015 a Milano per un pomeriggio di «battaglia» contro celerini, carabinieri e guardia di finanza mentre dall’altra parte centinaia di poliziotti austriaci in assetto anti-sommossa difendono le barriere di Vienna. Alla fine, un agente italiano ferito e decine di fermi fra i manifestanti (tra cui tre cittadini austriaci e una ragazza tedesca) che hanno invaso l’autostrada e la ferrovia, ma soprattutto hanno attraversato il piccolo paese che a un certo punto viene avvolto dai lacrimogeni. Gli antagonisti duri e puri, arrivati anche dalla Germania, si erano presentati al Brennero senza la minima intenzione di trattare con la questura né di farsi avvicinare da cronisti e telecamere. Chiarissimo fin dall’inizio l’esito, anche perché «in trincea» non c’erano i centri sociali della carovana #overthefortness reduci dal campo profughi di Idomeni (3 aprile) né la sinistra sociale guidata da Gian Marco De Pieri del Tpo (arrestato e rilasciato dalla polizia austriaca il 24 aprile). Ieri è stata guerriglia senza troppi complimenti. Fuori dalla stazione, i primi slogan e l’assalto alle transenne. Poi parte il tentativo di «distruggere le barriere» al confine. Bengala, «botti» e sassi con replica di lacrimogeni. Fra i boschi pronti a intervenire poliziotti austriaci con l’elicottero che registra ogni movimento. Gli scontri si consumano nell’A22, lungo i binari e nelle strade del paese. Soltanto dopo le 17 le forze dell’ordine «riconquistano» autostrada e ferrovia, ma a valle del Brennero ancora continuano le scaramucce. Il sindaco Franz Kompatscher della Svp a caldo commenta: «Il Comune aveva chiesto di proibire questa manifestazione. Il Brennero non è adatto, è un paese pacifico. I profughi qui sono sempre stati trattati bene. Non si può distruggere un paese e non si può manifestare al confine». Al di là della «battaglia» di ieri, sono pericolosamente in gioco i rapporti fra Italia e Austria. Qui un secolo fa si è combattuto sul serio, poi i tirolesi Doc sono stati squartati dall’Anschluss di Hitler e dalla fascistizzazione di Bolzano. E anche dopo il «pacchetto» (1969) accettato dalla Svp di Silvius Magnago, la mitologia degli Schützen ha sempre covato sotto la cenere dell’autonomismo. Ma se Vienna riabbassa sul serio le sbarre del Brennero, saltano gli equilibri costruiti con l’Euregio Tirolo-Trentino-Alto Adige all’insegna dell’Ue formato Schengen. Ieri mattina a Merano proprio al congresso della Svp il ministro degli interni austriaco Wolfgang Sobotka (Partito popolare) ha provato a stemperare il conflitto: «Al Brennero non ci sarà nessun muro e il confine non verrà chiuso. Se l’Italia farà i suoi compiti non ci sarà neanche bisogno dei controlli». Ha negato perfino il nesso con le elezioni presidenziali, che il 22 maggio prevedono il ballottaggio fra Norbert Hofer (candidato dell’estrema destra Fpö che ha raccolto il 36,4% al primo turno) e l’indipendente dei Verdi Alexander Van der Bellen che parte dal 20,3%. Il ministro austriaco cerca un pertugio: «Se la Germania può controllare i migranti verso l’Austria, non si capisce perché l’Austria non possa fare lo stesso verso l’Italia». Scontato il sostegno al “piano Renzi” sulla Libia con una frecciatina alla cancelliera Merkel: «Auspico che la Commissione europea per l’emergenza migranti metta lo stesso impegno dimostrato nelle questioni economiche…». E oggi a Bolzano dalle 7 alle 21 si vota per le Comunali, test politico cruciale proprio alla luce delle tensioni al Brennero. In palio l’eredità di «Gigio» Spagnolli che al terzo mandato da sindaco è stato bruciato in pochi mesi dall’impossibile coabitazione della Svp con l’ala «rossoverde» del centrosinistra. Alle urne ben 13 aspiranti alla stanza dei bottoni in municipio con 497 candidati a un seggio in consiglio comunale. Scontato in partenza il ballottaggio, sarà davvero sintomatico capire chi potrà giocare il «secondo tempo» di una sfida inedita e apertissima. Il Pd è infatti orfano del patto elettorale con la stella alpina e si affida al city manager Renzo Caramaschi. Ma Norbert Lantschner guida il progetto alternativo di Verdi e Rifondazione, mentre il M5S rilancia la consigliera uscente Caterina Pifano. La Svp con Christoph Baur accarezza in solitudine il sogno del primo sindaco tirolese: deve fare i conti con la destra di Sueditorler Freiheit, scesa in campo apertamente come Casa Pound sul «fronte» italiano. Sembra avere meno possibilità il centrodestra classico (Fi e Lega) di Mario Tagnin, cui mancano i consensi di Giorgio Holzmann di «Alleanza per Bolzano», dell’ex Svp Anna Pitarelli e dell’ex leghista Elena Artioli.

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Scontri al Brennero nella marcia anti-muro “I profughi siano liberi” https://www.micciacorta.it/2016/04/21629/ https://www.micciacorta.it/2016/04/21629/#respond Mon, 04 Apr 2016 15:47:16 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21629 Tensione al confine con l’Austria fra polizia e centri sociali: “No alle barriere, torneremo a sfidare l’esercito”

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BRENNERO Il “compagno” dall’accento veneziano urla al megafono: «Non vogliamo un’Europa blindata, uomini liberi, profughi liberi». Poi tre volte, come da rito: «Adelante companeros, hasta la victoria». Al «siempre» i “senza frontiere” sono già in marcia contro la polizia austriaca schierata a difesa del suo confine, qui a Brenner. Sono trecento gli antagonisti da scontro dei mille saliti a 1.370 metri d’altezza per saggiare al Passo del Brennero la volontà restrittiva – verso i migranti - del governo austriaco. Le quattro e venti, ieri pomeriggio. I manifestanti hanno superato senza ostacoli polizia e finanza italiana, sono già duecento metri in territorio d’Austria. In assetto da sfondamento. Il responsabile del reparto mobile urla, in un italiano incerto: «Signori, l’autorità austriaca ha sciolto il corteo». Nessuno se ne cura. Si va all’impatto, che è più un contatto morbido che comunque la “polizei” (diciannove agenti in prima fila, cento sparsi tra i molti outlet da difendere di un paese abbandonato da quando non è più dogana) non aveva messo in preventivo. I trecento sfondano al centro con le prime linee vestite dello striscione “Con i nostri corpi abbattiamo le frontiere”. I poliziotti tengono scudi e manganelli alti, non li usano. Quando l’avanguardia ribelle con una seconda spinta si avvicina pericolosamente ai blindati, uno degli agenti tira fuori la bomboletta urticante. Spara sugli occhi italiani. Lo seguono altri tre. I “no borders” urlano, arretrano. La polizia avanza qualche metro e si ferma. Non ha ordini di picchiare, di fermare “sì”. Gli attivisti si riprendono, ora a dieci metri di distanza. Dalle retrovie partono pietre, bottiglie di birra. Una colpisce una ragazza sulla faccia: «Fermi, fermi». I manifestanti più adulti prendono a pugni due ribelli che continuano a tirare bengala. Pochi metri più in là scatta la seconda parte del piano: una dozzina di “senza frontiere” corre a bloccare due treni locali. Scavalca il guardrail, porta tendine canadesi azzurre sui binari, accende fumogeni. Anche lì i poliziotti, però, recuperano in fretta il campo e allontanano gli invasori. Il traffico dei treni passeggeri viene fermato per 10 minuti, un merci è bloccato più a lungo. I “no borders”, gran parte dei quali reduci da Idomeni, dove a cavallo delle feste pasquali hanno portato viveri e sostegno ai profughi bloccati tra Grecia e Macedonia, iniziano a piantare sul fango liberato dalla neve bandiere di accoglienza ai rifugiati. Alcuni vessilli hanno scritte di odio per Salvini, che in serata ricambierà. Sulla statale di Brenner, ai piedi dei poliziotti, con un rullo da vernice i ragazzi scrivono “Welcome refugees”, intorno, a corredo, giubbotti di salvataggio arancioni per ricordare il mare- tomba da cui quei profughi provengono. Nel giorno che precede la partenza del piano Merkel- Erdogan (pochi rifugiati certi possono arrivare in Europa, molti migranti clandestini devono tornare in Turchia) nella più delicata frontiera austriaca, il Brennero, si scopre che il Trattato di Schengen non vale più. I manifestanti che difendono i profughi non possono liberamente circolare, le merci su rotaia insieme ai clienti degli outlet in Ferrari invece sì. Alla stazione (italiana) del Brennero i “no borders” erano arrivati dal Nord-Est (Trento, Vicenza, Venezia, Padova), ma anche da Ancona, Napoli, dalla Sicilia. Si era aggiunto qualche attivista del Tirolo austriaco, due famiglie tedesche con prole in carrozzella. Tra pochi giorni, e comunque entro maggio come annunciato dal ministro della Difesa Hans Peter Doskozil, in quel tratto di confine arriverà l’esercito e in tutto il confine austriaco (quello in comune con l’Italia sono 430 chilometri) ci sarà un controllo serrato su statali, autostrade, ferrovie. Il governatore del Tirolo Gunther Platter ribadisce: “E’ necessaria una sensibile riduzione del movimento dei migranti verso l’Europa”. A sera al Brennero si contano venti contusi, cinque agenti. E quindici identificati (dalla polizia austriaca) con un quarantenne di Asti fermato per resistenza. I “senza frontiera” erano arrivati al valico con nove pullman, venti auto e il treno regionale da Bolzano. Un giovane marchigiano si era calato uno scolapasta a casco e aveva urlato: «Non è l’Europa che vogliamo, mantiene libera la circolazione dei prodotti e respinge i fratelli reduci dalla guerra». Giura al microfono: «Quando qui arriverà l’esercito a fermare i profughi, noi torneremo».  

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