Brasile – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Sat, 23 Nov 2019 09:12:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Brasile. Bolsonaro presenta il suo nuovo partito fascista https://www.micciacorta.it/2019/11/brasile-bolsonaro-presenta-il-suo-nuovo-partito-fascista/ https://www.micciacorta.it/2019/11/brasile-bolsonaro-presenta-il-suo-nuovo-partito-fascista/#respond Sat, 23 Nov 2019 09:12:31 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25795 La presentazione di un quadro con il nome del partito completamente fatto di proiettili, seguita dall'annuncio che il numero con cui si presenterà alle urne è il 38, come il calibro della famosa pistola («facile da ricordare»)

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Impossibile da dimenticare il lancio del nuovo partito di Bolsonaro, Aliança pelo Brasil, nato dalla costola (ancora) più fascista del già estremista Partido social liberal (Psl), la forza politica con cui è arrivato alla presidenza del Brasile e da cui è uscito per i sempre più gravi dissapori con il presidente Luciano Bivar. Si tratta del decimo cambio di casacca, per Bolsonazi, come lo chiamano i suoi numerosi critici. MA SI CAPISCE SUBITO che questa, di casacca, gli sta a pennello. Anche perché a presiedere il partito sarà lui stesso e a fargli da primo vicepresidente sarà il primogenito Flávio, lo 01. Alla prima convenzione nazionale dell’Aliança pelo Brasil, che si è svolta giovedì in un hotel della capitale, non mancava proprio nessuno degli ingredienti a lui cari: offese ai giornalisti da parte di militanti con magliette inneggianti al torturatore della dittatura Brilhante Ustra, riferimenti a Dio e alla religione, battutacce a sfondo sessuale e slogan anticomunisti («La nostra bandiera non sarà mai rossa»). E, soprattutto, la presentazione di un quadro con il nome del partito completamente fatto di proiettili, seguita da lì a poche ore dall’annuncio che il numero con cui si presenterà alle urne è il 38, come il calibro della famosa pistola («facile da ricordare»). UNA SCELTA IN LINEA con l’imprescindibile missione di «lottare instancabilmente per garantire a tutti i brasiliani il diritto inalienabile al porto d’arma». Missione che andrà ad affiancare la lotta per restituire a Dio il suo posto «nella vita, nella storia e nell’anima dei brasiliani», per bandire ogni traccia di comunismo e di «globalismo», per sanare «la piaga ideologica» dell’«ideologia di genere». Per il vero esordio del partito bisognerà forse aspettare ancora un po’, essendo necessario raccogliere prima 500mila firme in almeno nove stati della federazione e attendere il via libera del Tribunale elettorale. Un’impresa che difficilmente potrà essere realizzata in tempo utile per prendere parte alle municipali del 2020. Ma intanto fa già molto discutere l’«orientamento esplicitamente fascista» della nuova forza politica, su cui pone per esempio l’accento il capogruppo del Pt alla Camera dei deputati Paulo Pimenta, il quale non esita neppure a descriverla come il «partito delle milizie», in riferimento ai legami inoccultabili del clan Bolsonaro con le bande paramilitari di Rio de Janeiro coinvolte nell’omicidio di Marielle Franco, per cui ora è indagato anche il figlio Carlos, lo 02. E, A PROPOSITO DI FASCISMO, grande scalpore ha suscitato anche l’annuncio di un atto solenne in omaggio a Pinochet da parte dell’Assemblea legislativa dello stato di São Paulo (Alesp), voluto da Frederico d’Avila, deputato statale del Psl ritenuto vicino all’Aliança pelo Brasil, e fissato oltretutto il 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani. Difficile tuttavia che l’evento possa realizzarsi: il presidente dell’Alesp, il socialdemocratico Cauê Macris, ha già dichiarato che lo impedirà. * Fonte: Claudia Fanti, il manifesto

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Brasile. Bolsonaro celebra il golpe del ’64 e ironizza sui desaparecidos https://www.micciacorta.it/2019/03/brasile-bolsonaro-celebra-il-golpe-del-64-e-ironizza-sui-desaparecidos/ https://www.micciacorta.it/2019/03/brasile-bolsonaro-celebra-il-golpe-del-64-e-ironizza-sui-desaparecidos/#respond Wed, 27 Mar 2019 09:48:44 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25313 Il presidente al Ministero della Difesa: celebriamo il colpo di stato militare (durò 21 anni)

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Che l’ex capitano Jair Bolsonaro fosse un sostenitore della dittatura militare e un ammiratore dei suoi più sinistri rappresentanti era chiaro già all’epoca dell’impeachment contro la presidente Dilma Rousseff, quando dedicò il suo voto al colonnello torturatore Carlos Alberto Brilhante Ustra, ex capo del Doi-Codi (l’organo di intelligence e di repressione del regime militare). Ma che, da presidente, arrivasse addirittura a chiedere al ministero della Difesa di organizzare le commemorazioni dell’avvento del regime militare – iniziato il 31 marzo 1964 con il golpe contro il presidente João Goulart e andato avanti per 21 anni – la dice davvero lunga sull’attuale stato della democrazia brasiliana. «QUALCUNO riuscirebbe a immaginare la Germania impegnata a celebrare l’era di Hitler o la Francia a celebrare l’occupazione nazista?», ha commentato su Twitter il deputato federale del Partito dei lavoratori Paulo Pimenta: «Solo chi nutre disprezzo per la democrazia può arrivare a tanto». A tanto è arrivato il presidente Bolsonaro, che secondo quanto riferito dal suo portavoce, il generale Otávio do Rêgo Barros, ha ordinato alle forze armate di realizzare le dovute celebrazioni all’interno delle proprie caserme, escludendo, bontà sua, un atto di commemorazione al Planalto, la sede della presidenza. E lo ha ordinato nella convinzione che nel 1964 non si sia registrato alcun colpo di stato, bensì la nascita di un’unione tra civili e militari destinata a riportare il paese sulla retta via. UN OBIETTIVO raggiunto attraverso la chiusura del parlamento, la restrizione delle libertà civili, l’uccisione e la tortura degli oppositori. Non, però, di tutti quelli che sarebbe stato opportuno eliminare, stando a una delle sue dichiarazioni più celebri, secondo cui «l’errore della dittatura» sarebbe stato quello «di torturare anziché di uccidere». «Il periodo cominciato nel ’64 – garantiva nel 2016 l’allora deputato federale – è stato descritto dal Pt in maniera sbagliata. Chi ha ancora dubbi, chieda ai propri nonni. E confronti il Brasile di quell’epoca con quello di oggi». E si era spinto anche oltre, arrivando a ironizzare sulla ricerca dei resti dei desaparecidos dell’epoca della guerriglia dell’Araguaia, un movimento di giovani in lotta contro il regime militare, collocando nel suo ufficio di deputato un cartello con la scritta «Desaparecidos dell’Araguaia? A cercare le ossa sono i cani». MA C’È CHI, dietro tale iniziativa, vede un chiaro segnale di disperazione dell’ex capitano, deciso a fare fronte comune con la linea militare più dura per reagire alla valanga di critiche che accompagna ogni suo passo da presidente. L’evidente «disorganizzazione politica del governo causata da un presidente sempre più disinteressato alle sue funzioni politiche e istituzionali – si legge in un editoriale dell’Estado de S. Paulo – può produrre un inasprimento della crisi, portandola a un livello pericoloso. Ma forse è proprio questo che molti vogliono». E non a caso sono sempre di più quelli che non credono che l’ex capitano sarà in grado di completare i suoi quattro anni di mandato e che già ragionano su un possibile governo del suo vice, il generale Antônio Mourão, diverso in – quasi – tutto da Bolsonaro, ma unito a lui dal deciso sostegno al regime militare e da molti considerato più pericoloso ancora dell’attuale presidente. * Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO   photo: Por Correio da Manhã - http://www.portalmemoriasreveladas.arquivonacional.gov.br/media/Os%20presidentes%20e%20a%20ditadura%20militar.pdf, Domínio público, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46203962

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Brasile. La colpa di Lula? Aver reso possibile un altro mondo https://www.micciacorta.it/2018/04/24331/ https://www.micciacorta.it/2018/04/24331/#respond Sun, 08 Apr 2018 08:11:36 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24331 Brasile. Solo la popolarità dell'ex presidente spiega la ragione di un accanimento giudiziario che non ha precedenti e ha portato a un processo impensabile in qualsiasi paese democratico

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Telefonano accorati gli amici brasiliani in Italia, prime fra tutti le compagne-suore che dovettero scappare dal loro paese quarant’anni fa perché avevano aiutato Lelio Basso a preparare il processo del Tribunale internazionale dei popoli che denunciò fra i primi l’orrore della dittatura brasiliana (e da allora sono il pilastro della Fondazione ); inviano messaggi rabbiosi da Rio gli amici del Forum mondiale di Porto Alegre, da San Paolo i compagni del Pt. Il più bello da Belo Horizonte, del cantastorie Erton Gustavo Prado: «Fine corsa per lei, ex presidente alejado (dalle dita amputate), non è a causa dei tre appartamenti che lei sarà condannato. È a causa della sua audacia nell’aiutare i ragazzi a diventare avvocati, nel contribuire all’ascensione del nero della favela che oggi crede di poter studiare medicina, uscire dalla miseria e perfino di conoscere la Cappella Sistina. Fine corsa per lei ex presidente stupido: lei viene condannato non per aver rubato, perché questo non è stato provato. Il suo sbaglio è stato essere storia e fare storia sulla dimensione del Brasile – l’80 % di approvazione popolare – per aver creduto nell’uguaglianza, per aver saputo governare. Fine corsa per lei ex presidente». Da Buenos Aires chiama Adolfo Perez Esquivel, che fu per anni presidente della Lega internazionale per i diritti dei popoli, il braccio politico della Fondazione Basso (e io ho avuto l’onore di essergli vice) chiedendo sostegno alla raccolta di firme per ottenere che a Lula sia conferito – come avvenne per Martin Luther King – il Nobel per la pace. Non sempre si scrive accorati su una questione drammatica avendo anche uno stretto rapporto d’amicizia con chi ne è protagonista. È quello che ora accade a me, ma anche a molti di noi qui in Italia: perché il presidente Lula l’abbiamo conosciuto quando era dirigente dei metalmeccanici, poi segretario del Partito dei lavoratori, a San Paolo ma anche, tante volte, qui in Europa, nei tanti momenti di impegno comune nella lotta per liberare l’America Latina dall’oppressione e dalle dittature. Poi, finalmente, quando è diventato il simbolo della grande speranza di riscatto, la prova «che un altro mondo è possibile». Non credo abbia precedenti quanto sta accadendo in queste ore in Brasile: un presidente condannato a più di 12 anni di prigione che una folla immensa di lavoratori e di poveri tenta disperatamente di difendere dall’arresto, in vista di un’elezione a capo dello stato in cui resta di gran lunga il più favorito. Proprio la popolarità di Lula spiega la ragione di un accanimento giudiziario che non ha precedenti e ha portato a un processo impensabile in qualsiasi paese democratico. (Luigi Ferrajoli ne ha dettagliatamente illustrato ieri su questo giornale gli abusi). L’obiettivo, spudoratamente dichiarato era quello di impedirgli di partecipare alle elezioni, di eliminarlo come concorrente per via giudiziaria. E subito i militari, il corpo minaccioso di tutti i golpe dell’America latina, hanno fatto sentire la propria voce in favore di questo nuovo espediente per riportare la “normalità”: un governo che torni a favorire i ricchi, ponendo fine allo “scandalo” di un governo che tenta – e nel caso di Lula con notevole successo – di aiutare i più diseredati a uscire dalla miseria. Il caso di Lula non è il solo. Anche la presidente Dilma Roussef è stata liquidata allo stesso modo. E in Argentina si sta imboccando la stessa strada. Difficile a chi si oppone denunciare: nel solo 2017 sono stati ammazzati nel subcontinente 42 giornalisti scomodi. C’è però da restare sgomenti anche di fronte al modo con cui la vicenda di Lula viene raccontata dai nostri media: o in piccoli trafiletti, o, chi alla questione dedica più spazio, senza mai far cenno a come si è realmente svolto il processo. Nessuno ha detto bugie, per carità, ma le omissioni sono equivalenti. Tocca a tutti noi mobilitarsi per non lasciare solo chi si batte per impedire l’ennesima controffensiva che cerca di spegnere la speranza. E nell’ultimo decennio l’America Latina è stata una grande speranza. FONTE: Luciana Castellina, IL MANIFESTO

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Caso Battisti, il plurindagato presidente brasiliano Temer sotto pressione https://www.micciacorta.it/2017/10/caso-battisti-presidente-brasiliano-temer-pressione/ https://www.micciacorta.it/2017/10/caso-battisti-presidente-brasiliano-temer-pressione/#respond Fri, 13 Oct 2017 07:23:07 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23810 Italia/Brasile. Il caso va alla Corte Suprema. L’ex militante dei Pac: «L'estradizione sarebbe condanna a morte»

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Fiduciosi si dicono gli avvocati brasiliani di Cesare Battisti, l’ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac) finito al centro di una nuova querelle politico-giudiziaria dopo l’arresto al confine tra Brasile e Bolivia. E fiduciosi si dicono i settori della politica italiana che più desiderano la sua estradizione. Come finirà è presto per dirlo. Secondo i media brasiliani Michel Temer, presidente de facto contestato, plurindagato e sull’orlo di doppio impeachment, ha deciso di revocare lo status di rifugiato concesso a Battisti da Lula. Se la Corte suprema negasse l’habeas corpus richiesto dalla difesa (e la giustizia italiana riducesse l’ergastolo a 30 anni?), l’ok dell’ufficio legale della Presidenza basterebbe per consegnare Battisti alle autorità italiane. Secondo i suoi avvocati invece le leggi brasiliane lo impedirebbero e «si spera che il presidente Temer, noto docente di diritto costituzionale, rispetti la legge anche a fronte delle pressioni politiche interne ed esterne». Dall’Italia Alfano esprime cauto ottimismo («Niente proclami, ma abbiamo fatto un ottimo lavoro e ora attendiamo con fiducia la decisione del presidente Temer»), mentre l’onorevole Caterina Bueno (Pd, eletta all’estero) rivendica di aver «sensibilizzato» personalmente Temer al telefono (lo ha raccontato ieri a Un giorno da pecora). Battisti per ora risponde all’ipotesi di estradizione con un’intervista a O Estadão : «Sapendo che il governo e i media hanno creato questo mostro in Italia, Brasilia mi consegnerebbe alla morte». Per ora la polizia si limiterebbe a sorvegliare la casa in cui risiede, sul lungomare di San Paolo. FONTE: IL MANIFESTO

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Battisti non teme l’estradizione, il presidente del Brasile Temer accusato per tangenti https://www.micciacorta.it/2017/10/23797/ https://www.micciacorta.it/2017/10/23797/#respond Fri, 06 Oct 2017 07:32:21 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23797 Battisti ha dichiarato di «non temere l’estradizione» perché «protetto» da un decreto dell’ex presidente brasiliano Lula

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Roma ha ribadito la volontà di assicurarlo alla giustizia italiana il prima possibile, ma Cesare Battisti si sarebbe detto tranquillo anche dopo il suo «fermo» avvenuto mercoledì tra Brasile e Bolivia: l’ex militante dei Pac (Proletari armati per il comunismo) ha dichiarato di «non temere l’estradizione» perché «protetto» da un decreto dell’ex presidente brasiliano Lula. «L’Italia – ha risposto il ministro della giustizia Orlando – è determinata a far sì che Battisti sconti la pena e la sconti nel nostro paese», dicendo di aver attivato tutti i passi necessari. Nel frattempo, ieri sera, Battisti è stato sentito dal magistrato cui spetta la decisione se liberarlo su cauzione o meno. Il presidente brasiliano, a cui lo stato italiano chiede di rivedere la decisione di Lula riguardo il caso Battisti, deve nuovamente far fronte ad accuse gravissime: secondo la denuncia presentata dal procuratore generale, Temer è accusato di essere il capo di una «organizzazione criminale» che avrebbe preso tangenti per 175 milioni di dollari. Il presidente brasiliano si è detto «sereno» dopo aver presentato la sua difesa al Congresso aggiungendo che la denuncia altro non sarebbe se non «un tentativo di colpo di stato». La camera bassa dovrà decidere se autorizzare o meno l’apertura di un processo contro la massima autorità del Brasile. FONTE: IL MANIFESTO

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Cesare Battisti arrestato al confine tra Brasile e Bolivia https://www.micciacorta.it/2017/10/cesare-battisti-arrestato-brasile-bolivia/ https://www.micciacorta.it/2017/10/cesare-battisti-arrestato-brasile-bolivia/#respond Thu, 05 Oct 2017 08:59:26 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23794 L’ex militante dei Pac (Proletari armati per il comunismo), condannato in Italia in via definitiva all’ergastolo, ieri è stato fermato a Corumbà

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L’ex militante dei Pac (Proletari armati per il comunismo), condannato in Italia in via definitiva all’ergastolo per quattro omicidi, ieri è stato fermato a Corumbà, al confine tra Brasile e Bolivia. Battisti sarebbe stato bloccato dalla polizia stradale durante un «normale controllo». Considerato latitante dalla giustizia italiana dagli anni ’70, Battisti è fuggito prima in Francia e poi, dal 2004, in Brasile, dove è stato arrestato nel 2007. Nel 2009 il Supremo tribunale federale (Stf) ha autorizzato l’estradizione negata dall’ex presidente Lula con un decreto firmato l’ultimo giorno del suo mandato. Secondo la difesa di Cesare Battisti, esistono diversi tentativi «illegali» di rinviarlo all’estero. Secondo O Globo, il governo italiano aveva già presentato una richiesta affinché l’attuale presidente de facto brasiliano Michel Temer – esponente plurindagato della destra – rivedesse la decisione di Lula. FONTE: IL MANIFESTO

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Piz­zo­lato, estradizione il 22 ottobre https://www.micciacorta.it/2015/10/piz%c2%adzo%c2%adlato-estradizione-il-22-ottobre/ https://www.micciacorta.it/2015/10/piz%c2%adzo%c2%adlato-estradizione-il-22-ottobre/#respond Fri, 16 Oct 2015 07:08:28 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20678 Brasile. Gli avvocati del sindacalista scrivono al ministro Orlando

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La difesa del sin­da­ca­li­sta italo-brasiliano Hen­ri­que Piz­zo­lato ha inviato alla stampa copia della let­tera indi­riz­zata al mini­stro della Giu­sti­zia Andrea Orlando. La rela­zione dell’avvocato Ales­san­dro Sivelli rias­sume la vicenda di Piz­zo­lato e chiede che venga sospeso il prov­ve­di­mento di estra­di­zione, fis­sato per il pros­simo 22 otto­bre. Il mini­stro ha già fatto slit­tare una prima par­tenza, e a que­sto fa rife­ri­mento Sivelli per chie­der­gli di valu­tare “la reale ed effet­tiva sus­si­stenza delle garan­zie offerte dallo Stato bra­si­liano”. Le crude foto­gra­fie alle­gate, che docu­men­tano l’altissimo livello di vio­lenza regi­strato nelle car­ceri bra­si­liane, sostan­ziano l’urgenza della richie­sta. Le cifre annuali degli omi­cidi com­messi dicono che – nono­stante i tanti passi avanti dei governi Lula e poi Rous­seff — le pri­gioni restano ancora una gigan­te­sca disca­rica sociale, e la loro gestione appesa ai sin­goli bilanci e norme dei 26 stati di cui è com­po­sto il Bra­sile. Il car­cere di Papuda, a cui è stato desti­nato Piz­zo­lato ha una capienza suf­fi­ciente a con­te­nere 4.848 posti letto, ma vi sono 10.409 dete­nuti: stan­dard di vivi­bi­lità enor­me­mente al di sotto di quelli richie­sti dal Comi­tato di pre­ven­zione con­tro la tortura. Leg­gendo gli atti e ascol­tando il parere di insi­gni giu­ri­sti, nel paese e fuori, quello di Piz­zo­lato si pre­senta come un caso di giu­sti­zia negata: “Hanno voluto col­pire me per col­pire Lula”, ha dichia­rato in diverse cir­co­stanze il sin­da­ca­li­sta. Piz­zo­lato è stato con­dan­nato a oltre 12 anni nell’ambito dello scan­dalo per tan­genti detto del Men­sa­lao. Ben­ché non fosse un poli­tico, è stato giu­di­cato dal Supremo tri­bu­nale fede­rale in un pro­ce­di­mento segnato da forti irre­go­la­rità, ma che non pre­vede la pos­si­bi­lità di un secondo grado. Essendo anche cit­ta­dino ita­liano, il sin­da­ca­li­sta si è rifu­giato nel nostro paese. Dopo una prima sen­tenza favo­re­vole, è stato rite­nuto estra­da­bile e si trova nel car­cere di Modena. Il 14 dicem­bre dovrà pre­sen­ziare all’udienza pre­li­mi­nare per reati di falso da cui non potrà difen­dersi se viene riman­dato in Bra­sile. Inol­tre, sono ancora pen­denti i ricorsi pre­sen­tati con­tro il prov­ve­di­mento di estra­di­zione al Tar e alla Corte euro­pea per i diritti dell’uomo. Per­ché – chiede al mini­stro l’avvocato Sivelli – “non può atten­dere que­ste deci­sioni prima di dare ese­cu­zione a un prov­ve­di­mento di estra­di­zione che rite­niamo pale­se­mente ingiusto”?

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Dilma Roussef: «La tor­tura e il carcere restano dentro di noi» https://www.micciacorta.it/2015/06/dilma-roussef-la-tor%c2%adtura-e-il-carcere-restano-dentro-di-noi/ https://www.micciacorta.it/2015/06/dilma-roussef-la-tor%c2%adtura-e-il-carcere-restano-dentro-di-noi/#respond Wed, 03 Jun 2015 07:52:57 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=19738 La presidente del Brasile e la lotta armata. «Ne ho parlato con Mujica, non siamo pentiti. Ma era un altro periodo»

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Lei è stata tre anni in car­cere durante la dit­ta­tura: qual è il suo bilan­cio di quel periodo? Ne ho par­lato molto con il pre­si­dente dell’Uruguay, Pepe Mujica, un altro ex pri­gio­niero poli­tico. Non siamo pen­titi di niente, ma è chiaro che è neces­sa­rio capire quali erano le cir­co­stanze poli­ti­che di que­gli anni (fine anni 60, ini­zio dei 70), cir­co­stanze che ci hanno por­tato ad agire come abbiamo fatto, cioè la lotta armata. Quella situa­zione oggi non esi­ste più, que­sta è la prima cosa. La seconda è che cia­scuno cam­bia, anche se non cam­bia lato. Anni dopo si vedono gli errori, ci sono cose che sono frutto della gio­ventù ma oggi non vado a met­termi con­tro ciò che sono stata. E non ho mai dimen­ti­cato cosa mi è suc­cesso, la mia vita ne è stata mar­cata senza alcun dubbio. Una volta ho testi­mo­niato davanti al Con­gresso e qual­cuno, un sena­tore di destra, mi ha accu­sata di aver men­tito durante le ses­sioni di tor­tura. E meno male che l’ho fatto: dire la verità sotto tor­tura signi­fi­cava con­se­gnare i pro­pri com­pa­gni, i pro­pri amici. Non cri­tico quanti sotto tor­tura hanno par­lato, ci dice­vano ’se parli smetto di tor­tu­rarti’ e que­sto sca­tena una lotta interna, cia­scuno cerca di resi­stere, cerca forza den­tro di sé e per riu­scirci biso­gna avere delle con­vin­zioni. Io non dico che chi ha resi­stito è un eroe, nes­suno è un eroe. In quei giorni per resi­stere ingan­navo me stessa, mi dicevo «adesso tor­nano» per essere pronta. E alla fine tor­na­vano, mi lega­vano al pau de arara (il «tre­spolo del pap­pa­gallo»: barra di ferro tra l’incavo delle brac­cia e l’incavo delle gambe del pri­gio­niero, a cui ven­gono poi legati i polsi alle cavi­glie, ndt), mi davano un colpo con la picana elet­trica. La stra­te­gia per resi­stere? Non biso­gna pen­sare, è quasi un eser­ci­zio di medi­ta­zione per svuo­tare del tutto la testa e non farsi cor­ro­dere dalla paura. La paura è den­tro di noi. Il dolore umi­lia, degrada. Resi­stere è difficile. Se ha resi­stito a quello, può sop­por­tare tran­quil­la­mente le pres­sioni della destra con­tro il suo governo, o no? Sono molto più facili da sop­por­tare. Non voglio dire che sia faci­lis­simo, o che siano irri­le­vanti. Il dif­fi­cile è stato resi­stere a quello, e quando uno resi­ste non torna un eroe, torna una persona. O torna presidente… Meglio arri­vare alla pre­si­denza della repub­blica senza pas­sare dalla tor­tura (ridendo). (a cura di Roberto Zanini, copy­right il manifesto/Pagina 12) Leggi il resto dell’intervista al manifesto

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Battisti libero dopo solo sette ore Si allontana l’ipotesi di espulsione https://www.micciacorta.it/2015/03/battisti-libero-dopo-solo-sette-ore-si-allontana-lipotesi-di-espulsione/ https://www.micciacorta.it/2015/03/battisti-libero-dopo-solo-sette-ore-si-allontana-lipotesi-di-espulsione/#respond Sat, 14 Mar 2015 16:14:14 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=18919 «Lo Stato brasiliano conta più di un giudice». Sarkozy: l’Italia volti pagina

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SAN PAOLO Una via qualunque, nella sterminata cintura urbana di San Paolo, venti e più milioni di abitanti. La cittadina si chiama Embu das Artes, il quartiere Vila Carmem. Un parrucchiere, un piccolo ristorante, casette intonacate e dipinte come capita: in una di queste vive da tempo Cesare Battisti, con la compagna e una bella bambina di due anni. Mulatta, come la madre Joyce, conosciuta dall’allora latitante nelle notti di Rio de Janeiro, prima di essere arrestato.
Ai pochi amici e visitatori, l’ex terrorista apre le porte di casa sospettoso e sempre con la stessa battuta: «Questo è quel che chiamano il mio esilio dorato». Due stanze bagno e cucina, 200 euro di affitto al mese, un decimo di quanto costa vivere nel centro di San Paolo o guardando l’oceano a Rio, dove Battisti è riuscito a restare assai poco, dopo la scarcerazione di quattro anni fa. Gli amici che contano, nella sinistra brasiliana e francese, a un certo punto si sono defilati, il superavvocato amico del governo non poteva certo tenerselo a vita nel suo attico, così come il celebre senatore di sinistra, convinto che non abbia mai fatto male a una mosca. A Embu, dice Battisti, si vive con poco. Quel che resta dei diritti d’autore per i libri, e forse qualche euro arriva ancora da Parigi, come negli anni della latitanza glamour. Era in casa nel tardo pomeriggio di giovedì, quando agenti della polizia federale sono venuti a prenderlo per condurlo, sotto arresto, in un commissariato di San Paolo. E a casa è tornato dopo appena sette ore, uscendo da una pattuglia con il solito ghigno di sfida per riabbracciare Joyce. Tra tutti i passaggi in galera della sua vita, questo è certamente il più corto. Segno che l’interminabile battaglia della giustizia italiana per riaverlo non è ancora finita. Sempre se mai finirà. L’arresto lampo non ha cambiato il suo status: Battisti vive legittimamente in Brasile con un visto di residenza permanente, concessogli dal governo dopo che l’allora presidente Lula ha negato la richiesta italiana di estradizione. L’ultimo capitolo dell’eterna vicenda riguarda proprio questo pezzo di carta. Secondo una giudice di Brasilia, il visto è stato concesso per errore, quindi Battisti dev’essere espulso. Non sarebbe valido, dice, perché il titolare è uno straniero condannato in altro Paese (l’Italia). La sentenza è dei primi di marzo, giovedì l’idea della polizia federale che Battisti potesse restare in galera ad attendere, diceva il mandato di cattura, «l’esecuzione della deportazione». Non è stato difficile per i legali dell’ex terrorista riportarlo a casa. Perché le convinzioni della giudice di Brasilia sono all’ultimo gradino di una scala ancora totalmente favorevole a Battisti. Lo difendono l’avvocatura generale dello Stato, la Corte suprema e a tutt’oggi anche la Presidenza della Repubblica, a meno che un giorno Dilma Rousseff decida di cambiare idea. Nel ricorso che l’ha fatto uscire subito si dice proprio così: un giudice di primo grado non può contraddire il capo dello Stato. E così le speranze italiane di veder trasformata l’estradizione almeno in una espulsione dal Paese sono cadute nel vuoto ancora una volta. In Francia, invece, continuano a pensarla in altro modo. Persino l’ex presidente Nicolas Sarkozy ha lasciato intendere che sarebbe meglio metterci una pietra sopra: «La questione dell’estradizione di Cesare Battisti riguarda anche la società italiana, che deve voltare la pagina di quegli anni terribili», ha detto Sarkozy, intervistato dalla radio France Info , scatenando diverse reazioni in Italia. «Quello di Battisti è un caso doloroso, all’epoca dei fatti ero in carica. Tutto è legato a Mitterrand, che in passato aveva promesso di non estradare persino gente con sangue sulle mani, ma che si era rifugiata in Francia». Rocco Cotroneo

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Cesare Bat­ti­sti e la Francia https://www.micciacorta.it/2015/03/cesare-bat%c2%adti%c2%adsti-e-la-francia/ https://www.micciacorta.it/2015/03/cesare-bat%c2%adti%c2%adsti-e-la-francia/#respond Thu, 05 Mar 2015 09:42:42 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=18832 Estradizione dal Brasile. Hollande nel 2004 era andato a trovare il rifugiato alla Santé. Ma adesso il clima è cambiato e un'eventuale ritorno imbarazza le autorità. La lunga storia conflittuale tra Francia e Italia sul "caso Battisti"

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Cesare Bat­ti­sti verrà di nuovo in Fran­cia, primo paese dove aveva tro­vato rifu­gio dopo l’evasione nell’81 e dove era tor­nato nella sua lunga fuga nel ‘90? Per il pre­si­dente fran­cese, Fra­nçois Hol­lande, risorge un pas­sato che avrebbe molto pro­ba­bil­mente pre­fe­rito dimen­ti­care, soprat­tutto in que­sto momento, a meno di un mese dalle ele­zioni dipar­ti­men­tali, con la minac­cia di un’impennata del Fronte nazio­nale. Bat­ti­sti rischia di essere una nuova patata bol­lente per Hol­lande, nel caso di un ritorno in Fran­cia. Un depu­tato Ump (il par­tito di Sar­kozy) ha accu­sato la mini­stra della giu­sti­zia, Chri­stiane Tau­bira – la sola rima­sta nel governo Valls a non ver­go­gnarsi di avere ori­gini a sini­stra – di essere un “volan­tino ambu­lante” a favore del Fronte nazionale. Nel 2004, l’allora primo segre­ta­rio del Ps poi salito all’Eliseo nel 2012, era andato a tro­vare in car­cere, alla Santé, il rifu­giato ita­liano. Quell’anno, il Con­si­glio di Parigi – sin­daco il socia­li­sta Ber­trand Dela­noë — aveva votato una riso­lu­zione di soste­gno a Bat­ti­sti. Il rifu­giato era di nuovo al cen­tro di un tor­nado giu­ri­dico. Su domanda ita­liana, era stato arre­stato a Parigi il 10 feb­braio di quell’anno e a marzo era stato messo in libertà sor­ve­gliata. A giu­gno del 2004, la Corte d’Appello di Parigi si era espressa a favore dell’estradizione, il 2 luglio l’allora pre­si­dente Jac­ques Chi­rac non si oppone al via libera all’estradizione. Il mini­stro della giu­sti­zia del momento, Domi­ni­que Per­ben (neo-gollista) sot­to­li­nea il “cam­bia­mento di atteg­gia­mento della Fran­cia”, acco­gliendo a Parigi il suo omo­logo ita­liano Roberto Castelli (governo Berlusconi). Dopo essere pas­sato per la Fran­cia nell’81, dopo l’evasione, Bat­ti­sti si rifu­gia in Mes­sico nell’82. Torna in Fran­cia nel ’90, basan­dosi sulla pro­messa della “dot­trina Mit­ter­rand” dell’85, che aveva accolto i rifu­giati poli­tici ita­liani, ma con la limi­ta­zione che non aves­sero san­gue sulle mani. La “dot­trina” in realtà non si applica pre­ci­sa­mente al caso Bat­ti­sti, arri­vato troppo tardi rispetto alla pro­messa e con la con­danna per omi­ci­dio. Nel ’91, difatti, viene arre­stato, su richie­sta ita­liana. Passa cin­que mesi nel car­cere di Fre­snes. Il 29 mag­gio ’91 la Cham­bre d’accusation della Corte d’appello di Parigi respinge pero’ la richie­sta ita­liana di estra­di­zione. La giu­sti­fi­ca­zione è giu­ri­dica: per il diritto fran­cese non si puo’ giu­di­care una per­sone due volte per lo stesso reato (non bis in idem) e, inol­tre, la con­danna in con­tu­ma­cia è con­si­de­rata non equa. Del resto, la pro­ce­dura ita­liana della con­danna in con­tu­ma­cia è con­te­stata anche dalla Corte di Stra­sburgo (anche se la pro­ce­dura era stata appro­vata dal comi­tato mini­ste­riale del Con­si­glio euro­peo, l’istanza poli­tica per l’applicazione delle deci­sioni della Corte euro­pea di giu­sti­zia). Per la giu­sti­zia fran­cese di allora le leggi ita­liane con­tro il ter­ro­ri­smo erano con­tra­rie “alla con­ce­zione fran­cese del diritto”. In que­gli anni, Bat­ti­sti, diven­tato uno scrit­tore di suc­cesso, viene difeso da molti intel­let­tuali e per­so­na­lità fran­cesi, tra cui Bernard-Henri Lévy, Geor­ges Mou­staki, Guy Bedos, l’Abbé Pierre e soprat­tutto Fred Var­gas, che, per un caso, ha pub­bli­cato ieri il suo nuovo libro, men­tre torna alla ribalta il caso Battisti. Il vero e pro­prio “caso Bat­ti­sti” scop­pia in Fran­cia nel 2004, con l’arresto del rifu­giato il 10 feb­braio, su richie­sta ita­liana. Allora cor­rono voci su un even­tuale aiuto che i ser­vizi fran­cesi avreb­bero dato a Bat­ti­sti per fug­gire e rifu­giarsi in Bra­sile. Ma anche voci oppo­ste, nel 2007, su un pos­si­bile con­tri­buto dei fran­cesi all’arresto in Bra­sile (era in com­pa­gnia di una fran­cese, che aveva 9mila euro in tasca). Nel 2007, la Corte euro­pea dei diritti dell’uomo dà ragione all’Italia e accetta che Bat­ti­sti sia stato sot­to­po­sto a un pro­cesso equo. Il 20 gen­naio 2011 il Par­la­mento euro­peo vota a favore dell’estradizione di Cesare Bat­ti­sti richie­sta dall’Italia al Brasile.

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