Bruno Rodríguez – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 29 Mar 2016 08:00:08 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Fidel “non dimentica” e rifiuta la mano tesa di Obama https://www.micciacorta.it/2016/03/fidel-non-dimentica-rifiuta-la-mano-tesa-obama/ https://www.micciacorta.it/2016/03/fidel-non-dimentica-rifiuta-la-mano-tesa-obama/#comments Tue, 29 Mar 2016 08:00:08 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21593 Cuba. Sul «Granma» le ragioni del lider maximo: «Non abbiamo bisogno che l’impero ci regali nulla»

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L'AVANA Al «fratello Obama» Fidel Castro risponde «non abbiamo bisogno che l’impero ci regali nulla». Una settimana dopo il discorso pronunciato dal presidente degli Stati uniti nel Gran Teatro dell’Avana, il lider maximo della rivoluzione cubana rifiuta la «mano tesa di amicizia» offerta da Barack Obama se questo comporta dimenticare la storia degli ultimi cinquant’anni, il bloqueo/embargo nordamericano e varie aggressioni armate e terroristiche operate dal potente vicino del nord, sacrificando le conquiste del socialismo cubano per uniformarsi al capitalismo globale. «Obama – scrive Fidel in un articolo pubblicato ieri dal quotidiano del partito comunista, Granma – ha pronunciato un discorso nel quale ha utilizzato le parole più sciroppose per esprimere che: ’È ora di dimenticare il passato e che noi guardiamo al futuro, che lo guardiamo assieme… come amici, come una famiglia, come vicini… un futuro di speranza’. Si suppone – continua il più vecchio dei Castro – che ognuno di noi corra il rischio di un infarto ascoltando queste parole del presidente degli Stati uniti. Dopo uno spietato bloqueo che è durato quasi 60 anni. E (come dimenticare) quelli che sono morti in attacchi mercenari a navi e porti cubani? E un aereo di linea (cubano) pieno di passeggeri fatto saltare in volo? E le invasioni mercenarie, i molteplici atti di violenza e di forza?» «Nessuno si faccia illusioni che il popolo di questo nobile e generoso paese rinunci alla gloria, ai diritti e alla ricchezza spirituale che ha guadagnato con lo sviluppo dell’educazione, della scienza e della cultura», mette in chiaro Fidel che avverte: «Siamo capaci di produrre gli alimenti, le ricchezze materiali di cui abbiamo bisogno con lo sforzo e l’intelligenza del nostro popolo. Non abbiamo bisogno che l’impero ci regali nulla». «I nostri sforzi – conclude – saranno legali e pacifici, perché è il nostro impegno con la pace e la fratellanza di tutti gli esseri umani che viviamo in questo pianeta». Nel suo articolo, e usando citazioni di José Martí, Antonio Maceo e Bonifacio Byrne, Castro critica le similitudini tra la storia di Cuba e quella degli Usa segnalate da Obama («Entrambi viviamo in un nuovo mondo colonizzato dagli europei… Cuba come gli Stati uniti fu costruita dagli schiavi tratti dall’Africa») precisando che «le popolazioni native non esistono per nulla nella mente di Obama» e che «la discriminazione razziale fu cancellata dalla Rivoluzione, la pensione e il salario (uguali) per tutti furono decretati da quest’ultima prima che il signor Obama compisse i 10 anni». Fidel riprende e sviluppa l’argomento di base con cui altri leader indipendentisti e rivoluzionari, come Nelson Mandela (citato nell’articolo) e l’ayatollah Khomeini risposero alle offerte di riconciliazione che venivano dai potenti avversari: «Di fronte alla scelta tra il pane e la dignità, sceglieremo sempre la seconda», ebbe a scrivere il leader iraniano. Il tono e le argomentazioni espresse da Obama nel suo discorso rivolto «alla società civile» di Cuba hanno indubbiamente impressionato e fatto presa su una parte (i più giovani) della popolazione. Da qui, il fuoco di sbarramento del governo. L’articolo del più vecchio (in agosto compirà 90 anni) dei Castro segue, infatti, una serie di altri scritti pubblicati sui due quotidiani del Pc, GranmaJuventud rebelde, da vari intellettuali cubani che, subito dopo la partenza di Obama dall’isola hanno espresso la posizione di Fidel, ovvero che non si può «voltare pagina» e mettere in cantina le conquiste (e il futuro) del socialismo cubano, solo perché lo richiede il capo della Casa bianca. Una tesi simile è stata al centro dell’omelia nella messa del venerdì santo pronunciata dall’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega. Il quale ha affermato che la riconciliazione nazionale (tra cubani dell’isola e della «diaspora»), così come tra Cuba e Usa deve fondarsi «sul perdono» e non dimenticando la storia. «Tra i paesi e tra di noi è necessario il perdono – ha sostenuto il cardinale. Perché? Perché la storia non si dimentica facilmente, ci sono offese che non si dimenticano».

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Diversi ma amici. «Sì, se puede» https://www.micciacorta.it/2016/03/diversi-amici-si-puede/ https://www.micciacorta.it/2016/03/diversi-amici-si-puede/#respond Wed, 23 Mar 2016 10:47:38 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21561 Obama. Il discorso del presidente Usa ai cubani, in un Gran Teatro tirato a lucido e in diretta tv (prima volta in assoluto per un leader straniero). Applausi anche nei punti più critici. E a seguire l'incontro con i dissidenti

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L’AVANA«Coltivo una rosa bianca», il fiore che José Martí, l’”Apostolo” dell’indipendenza di Cuba, riserva « a amici e nemici». E la rosa bianca della pace ieri il presidente Barack Obana l’ha offerta a Raúl Castro e al popolo di Cuba. Al primo ha detto che «non deve aver paura degli Stati Uniti né delle voci differenti del popolo», dunque della democrazia; al secondo che «il futuro è nelle vostre mani». Nel Gran Teatro dell’Avana, dedicato alla ballerina Alicia Alonso (presente in un palco) e recentemente tirato a nuovo, il presidente degli Stati uniti si è rivolto ieri ai rappresentanti della società civile raccolti in sala assieme alle più alte autorità politiche guidate dal presidente Raúl, in un discorso trasmesso in diretta a tutta l’isola da radio e tv. Un onore questo mai concesso prima a un politico straniero, dunque fino a ieri impensabile per l’ex arcinemico. È proprio sul significato del gran cambio in corso, nelle relazioni tra i due Paesi, e in quello che si augura avverrà in futuro a Cuba, che Obama ha centrato il suo discorso. Appassionato, ben articolato, estremamente politico sia in quello che ha detto, ma anche in quello che ha taciuto, parlando senza consultare appunti, guardando negli occhi un pubblico che si estendeva a tutta l’isola. Un messaggio centrato sulla «riconciliazione» perché «tutti siamo americani», ma senza «dimenticare le differenze» in ambito politico, economico e sociale; «mettendo fine agli anni di guerra fredda» e ai suoi «strumenti obsoleti come l’embargo», «senza voler imporre modelli», ma mettendo in chiaro quali sono «i valori universali» della democrazia e dei diritti dell’uomo nei quali sia il presidente sia l’America «credono» e propongono al mondo; « conoscendo la storia», ma «senza essere prigionieri del passato»; affermando che gli Usa hanno fatto pace non solo col governo «ma anche col popolo» perché «il futuro è nelle mani del popolo cubano» e concludendo, in spagnolo tra applausi scroscianti, «Sí, se puede». Ma importanti sono stati anche «i silenzi» del capo della Casa Bianca, come messo in risalto da un fuoco di sbarramento di commenti diffusi dalla tv statale alla fine del discorso. «Obama – si è lamentata una rappresentante della Federazione delle donne cubane – non ha fatto alcun riferimento al territorio illegalmente occupato dalla base americana di Guantanamo, nonostante che la sua restituzione sia chiesta con chiarezza dal nostro governo». «Obama ha invitato a dimenticare il passato – ha continuato un medico – ma senza ricordare tutte le iniziative aggressive contro Cuba, alcune delle quali continuano come i fondi stanziati da Usaid per creare e finanziare un’opposizione interna». «Ha elogiato la creatività dei cubani e ha detto di credere in un popolo cubano che lui ha individuato nei cuentapropistas, con un continuo elogio del privato contro il pubblico, dell’individuo contro la società, del guadagno contro la redistribuzione sociale», ha aggiunto un sociologo. In sostanza però il messaggio diffuso da Obama è stato accolto dal pubblico con grandi applausi, anche quando ha affermato che «non dobbiamo dimenticare le differenze» che ci separano: un solo partito, socialista e con alla base il diritto dello Stato quello cubano; multipartitico, con un libero mercato e improntato sul diritto dell’individuo quello americano. «Non vogliamo imporre modelli – ha continuato – ma voglio ribadire i valori in cui crediamo: libere elezioni, libertà di espressione e di critica del governo, libertà di poter manifestare e iscriversi a un sindacato indipendente». Un sistema il nostro, ha affermato Obama, che ha permesso che «io, cittadino di discendenza africana, cresciuto da una madre single e con non molto denaro, sia potuto diventare presidente». Anche riferendosi all’embargo, il presidente ha ribadito di aver chiesto al Congresso di eliminarlo, ma anche se questo accadesse domani, si è interrogato, «finirebbero i problemi» a Cuba? O la soluzione di questi «dipende da voi»? Anche riferendosi al «cambio generazionale» in corso a Cuba, Obama ha sostenuto che «tocca ai giovani costruire qualcosa di nuovo». Dalle parole ai fatti. Dopo il discorso Obama, assieme al segretario di Stato John Kerry si è riunito all’ambasciata Usa con un gruppo di dissidenti/oppositori cubani. C’erano, tra gli altri, il leader dell’Unión Patriótica de Cuba (Unpacu), José Daniel Ferrer; il direttore di Estado de Sats, Antonio G. Rodiles; la bloguera Míriam Celaya; il premio Sakharov Guillermo Fariñas; l’avvocata e responsabile di Cubalex, Laritza Diversent; il leader del partito Arco Progresista, Manuel Cuesta Morúa; la leader delle Damas de Blanco, Berta Soler; il presidente della Comisión Cubana de Derechos Humanos y Reconciliación (Ccdhr) e l’oppositrice Miriam Leyva. Introducendo la riunione il presidente nordamericano ha sottolineato l’importanza di ascoltare «direttamente» da altre fonti le idee e preoccupazioni del popolo cubano, e di assicurare che queste fonti «abbiano una voce» mentre è in corso il processo di normalizzazione tra i due paesi. Secondo l’agenzia spagnola Efe, Obama ha affermato che: «Molte volte è necessario un gran coraggio per svolgere attività nella società civile a Cuba». Ed è proprio su questo tema, ha continuato, «che continuiamo ad avere profonde differenze» con il governo cubano. Alla fine della riunione la bloguera Celaya ha dichiarato al quotidiano online Diario di Cuba che l’incontro era stato «molto buono» e lo scambio di idee «intenso». Obama, secondo l’oppositrice, avrebbe manifestato «un punto di vista molto chiaro della politica in corso verso Cuba». Rhodiles ha denunciato gli arresti e i fermi di militanti dell’opposizione attuati dalla polizia cubana sia domenica sia lunedì. Lui stesso, con la moglie è stato fermato mentre si recava a dare un’intervista alla Cnn. L’oppositore ha anche denunciato le percosse subite dalle Damas de blanco domenica mentre manifestavano davanti alla chiesa di Santa Rita nel quartiere di Miramar dell’Avana, definendo «un circo repressivo» i continui fermi e la violenza della polizia. I mezzi di comunicazione cubani ieri non hanno dato alcuna informazione dell’incontro tra Obama e i dirigenti del dissenso. Nel primo pomeriggio, prima di partire alla volta dell’Argentina, il presidente Obama e buona parte della delegazione americana si sono recati allo stadio Latinoamericano, usato dalla squadra più amata all’Avana, gli Industriales, e il cui tetto era stato ricostruito per l’occasione, per assistere a una partita di baseball tra una selezione cubana e la squadra della Major League nordamericana dei Rays di Tampa bay. In entrambi i paesi il baseball è considerato uno sport nazionale e in questa occasione a questo sport è affidata una parte della missione di riconciliazione.
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L’auto di Obama sul Malecon

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Hasta siempre presidente https://www.micciacorta.it/2016/03/hasta-siempre-presidente/ https://www.micciacorta.it/2016/03/hasta-siempre-presidente/#respond Tue, 22 Mar 2016 08:34:55 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21543 Cuba. Un Obama disteso, malgrado la rabbia degli anticastristi, nella sua storica visita sull’isola della Revolución. Dopo un «franco» colloquio con Raúl Castro, i due leader hanno convenuto che permangono profonde differenze, ma vale la pena proseguire il dialogo

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L'AVANA Ecco l’immagine dell’anno. Il presidente di origine afroamericana nella Plaza della Revolución, sullo sfondo, in due palazzi che circondano l’immensa spianata, i grandi ritratti del Che Guevara e di Camilo Cienfuegos, gli eroi della Rivoluzione guidata da Fidel Castro. Poco importa il clima grigio e una certa tensione che si avvertiva ieri mattina sia nel presidente americano sia nel vicepresidente Salvador Valdes Mesa, anche lui di discendenza africana, che ha accolto l’ospite. La valenza simbolica dell’immagine parlava da sola. Del rispetto e del riconoscimento ufficiale da parte del capo della Casa Bianca del governo socialista che di quella rivoluzione è frutto ed erede. Poi, Obama ha reso un omaggio floreale a José Martì, l’«Apostolo» dell’indipendenza di Cuba, il poeta e politico che aveva messo in guardia dalle mire imperialiste degli Stati Uniti. Il presidente americano ha poi visitato il museo dedicato a Martí, firmando e scrivendo un suo commento nel libro degli ospiti. E confessando a una delle responsabili che gli sarebbe piaciuto ritornare assieme alla sua famiglia, quando non sarà più presidente, per visitare con più calma il museo. Infine, finalmente, gli onori militari all’ospite che veniva ricevuto nel Palazzo della Rivoluzione da Raúl Castro, gli inni nazionali, con il più giovane dei Castro in completo grigio impettito e Obama con la mano destra sul cuore. Anche in questa immagine si avvertiva la tensione del momento, conclusione di un lungo processo di avvicinamento che ha portato all’inizio della normalizzazione tra Cuba e Stati Uniti dopo più di cinquant’anni di guerra fredda, ma che, per concludersi e diventare una scelta irreversibile deve superare ancora una serie di ostacoli. I principali sono senza dubbio la permanenza del bloqueo, l’embargo economico, commerciale e finanziario ancora «in pieno vigore» secondo la parte cubana e il problema dei diritti dell’uomo e della possibilità di espressione politica della società civile cubana, richiesta dalla Casa Bianca. D’accordo sulle divergenze E proprio su tali temi, dopo un lungo «e franco» colloquio, i due presidenti hanno convenuto che permangono profonde differenze, ma che vi è anche la volontà di continuare ad affrontarli «sulla base del dialogo» in «modo da convivere pacificamente e proseguire nella collaborazione su una serie di altri temi, come stiamo facendo». Raúl Castro ha ribadito che l’embargo rimane in vigore, «nonostante la volontà del presidente Obama di eliminarlo» e che «gli effetti di tale misure sono quelli che impediscono lo sviluppo di Cuba e il benessere della sua popolazione». Inoltre, il leader cubano ha preteso la restituzione del «territorio illegamente occupato» dalla base americana a Guantanamo e ha ripetuto le divergenze in materia di politica estera, in particolare la preoccupazione per le manovre «di destibilizzazione in Venezuela che mettono in pericolo la stabilità del subcontinente latinoamericano». In materia di diritti umani, il più giovane dei Castro ha ribadito che nella concezione di Cuba «essi sono indivisibili, non si può separare il diritto alla salute, all’istruzione, a un salario uguale per lavori uguali, dal diritto all’espressione politica». Quindi ha affermato che Cuba «si oppone alla manipolazione politica» dei diritti umani. Questo in linea con le posizioni sempre sostenute, ovvero che «non si può accettare che il popolo cubano rinunci alle scelte politiche liberamente fatte e per le quali ha lottato a lungo». Ribadite le «profonde differenze» Raúl Castro ha anche voluto ripetere che da entrambe le parti si è d’accordo nel proseguire il dialogo in modo da affrontare le differenze che permarranno ancora a lungo. Da parte sua, Obama, dopo aver ringraziato il contributo all’avvicinamento in corso tra i due paesi dato da papa Francesco, ha affermato che gli Stati uniti «riconoscono la piena sovranità di Cuba e che il destino del paese deve essere deciso dai cubani» e non all’estero. Però ha messo in chiaro che «l’America difende i diritti alla libertà di espressione e di stampa, come pure di riunione e intende contribuire a rafforzare i diritti politici della società civile». Il presidente americano ha ammesso però che i due paesi «hanno sistemi politiici differenti e che tali differenze resteranno perchè non possono essere eliminate da un giorno all’altro», ma anche che «su tali temi continueranno le trattative». Obama si è detto «sicuro che l’embargo verrà eliminato», anche se non può dire quando. Il clima della conferenza è stato disteso, almeno fino a quando un giornalista statunitense ha chiesto al presidente cubano «perché a Cuba vi sono prigionieri politici». Irritata la risposta di Raúl, che ha chiesto di fornirgli la lista o i nomi di tali prigionieri politici «e io entro poche ore li metterò in libertà». Sotto il fuoco incrociato Obama si è dimostrato sicuro e abbastanza disteso nonostante sia sotto il fuoco incrociato da una parte degli esponenti anticastristi, soprattutto in campo repubblicano, che sostengono che gli Usa hanno concesso molto senza aver ottenuto nulla in termini di democratizzazione e di rispetto dei diritti umani. E dunque che di fatto la visita di Obama rappresenta un rafforzamento della «dittatura» castrista. Ma anche da parte di chi non è contrario al processo di normalizzazione, come il candidato repubblicano Trump, il capo della Casa bianca viene criticato per «trattare al ribasso». In un’intervista concessa domenica all’Avana alla catena Abc, però Obama si è detto convinto che «vi saranno cambiamenti» a Cuba. «Credo, ha proseguito, che Raúl Castro lo capisca. Certo vorrebbe controllare la velocità di tali cambiamenti, però quello che continuerò a ripetere nei miei incontrri qui è che è meglio porsi alla testa dei cambiamenti che lasciare che questi ti sorpassino». L’inizio della giornata però ieri si presentava plumbeo. Non solo a causa di un frente frio che imperversa sull’isola. Ma a causa della freddezza, con la quale il presidente americano era stato accolto lunedì all’aeroporto, seguita da una copertura della visita da parte dei mass media statali che aveva lasciato allibiti la maggioranza degli inviati stranieri. «Nemmeno fosse arrivato il presidente del Botswana», commentava acido un giornalista americano che guardava l’arrivo alla tv vicino a me al centro stampa. Poi, la copertura integrale della visita promessa dalla tv cubana encadenada con la venezuelana Telesur era scomparsa. Silenzio sull’incontro del presidente col personale dell’ambasciata statunitense e sulla passeggiata della delegazione Usa nell’Avana vieja e sull’incontro col cardinale Jaime Ortega nella cattedrale della capitale. Infine, il tg della sera aveva dato una copertura minima, poche immagini, testi freddi come ghiaccio letti dagli speaker.

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