Claudia Pinelli – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 03 Dec 2019 09:45:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Mezzo secolo dopo, commemorazioni divise per l’anarchico Pinelli https://www.micciacorta.it/2019/12/mezzo-secolo-dopo-commemorazioni-divise-per-lanarchico-pinelli/ https://www.micciacorta.it/2019/12/mezzo-secolo-dopo-commemorazioni-divise-per-lanarchico-pinelli/#respond Tue, 03 Dec 2019 09:45:13 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25817 La famiglia convoca una «catena musicale», il Ponte della Ghisolfa va da solo: «Non ci sono le condizioni politiche minime per una adesione»

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MILANO. Quello di Giuseppe Pinelli è un corpo sospeso da mezzo secolo. In piazza Fontana, dove il 12 dicembre del 1969 una bomba alla banca dell’Agricoltura causò 17 vittime ancora senza giustizia e fece capire a tutti che l’aria nazionale era più torbida di quello che si potesse pensare, ci sono due targhe a ricordarlo. Una firmata dagli «studenti e democratici milanesi» in cui si parla di lui come «ucciso innocente» nei locali della questura, e un’altra messa lì dal Comune, in cui la formula diventa «morto innocente». Indagini, inchieste, processi, informazione e controinformazione: l’anarchico Pinelli, ferroviere, sindacalista, esperantista, militante del Ponte della Ghisolfa, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre volò giù da una finestra della questura del commissario Luigi Calabresi. La verità ufficiale parla di «malore attivo» e conseguente caduta, ma le ombre che circondano i poliziotti che lo stavano tenendo in stato di fermo da quasi tre giorni sono lunghissime, e i dubbi spesso sembrano certezze. Cinquant’anni dopo, la memoria è ancora in bilico e sulle commemorazioni (plurale necessario) di quei fatti c’è divisione nell’universo anarchico italiano. Il 14 dicembre la famiglia Pinelli ha convocato «una catena musicale» che porterà da piazza Fontana alla questura nel nome di Pino, delle vittime della strage e delle «false e depistanti accuse agli anarchici che portarono anni di carcerazione all’innocente Pietro Valpreda». Le firme in calce sono quelle della moglie del ferroviere Licia, delle figlie Silvia e Claudia e della sorella Liliana, venuta a mancare lo scorso ottobre. La lista delle adesioni è chilometrica; centinaia di nomi (tra cui quello di Adriano Sofri, per esempio) e di realtà diverse: Acli, Arci e Anpi di varie città, centri sociali, collettivi studenteschi, associazioni, la rivista A di Paolo Finzi, sezioni del sindacato libertario Usi e della Federazione Anarchica Italiana. «Abbiamo deciso di fare le cose in maniera più aperta e plurale possibile – dice Silvia Pinelli al manifesto -, d’altra parte anche cinquant’anni fa per Pino si mosse la società civile, i compagni certo, ma anche un fronte che andava dai cattolici all’alta borghesia. È quello che vogliamo far accadere anche adesso con la catena musicale». Qualcuno però non ci sarà, ovvero il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, la casa politica di Giuseppe Pinelli, il luogo dove ha speso una parte consistente della sua militanza. Il comunicato di dissociazione dalla catena musicale è durissimo. «Non ci sono le condizioni politiche minime per una adesione», dicono. Spiega Mauro Decortes, storico militante del Ponte: «Nei testi diffusi dalla catena musicale manca sempre il contesto di quegli anni, inizialmente non era nemmeno citato Valpreda… Noi siamo sempre stati aperti, abbiamo invitato a partecipare tanta gente, non solo del mondo anarchico. Il problema non è però l’apertura verso l’esterno, ma il fatto che ci devono essere dei valori e dei caratteri chiari. Non ci piace che tutto debba ridursi a una sorta di messa obbligatoria, certe lotte sono ancora vive e questo va ribadito sempre. Pinelli, d’altra parte, non era solo un padre di famiglia, ma anche un compagno, un militante molto attento che immaginava e lottava per una società diversa. Non possiamo fare di lui una figurina istituzionale. Diceva Valpreda che credere nella verità non vuol dire credere nella giustizia». Il Ponte andrà in corteo il 12 dicembre, e poi il 15 al Leoncavallo si terrà una serata intitolata «Pinelli assassinato, Valpreda innocente. La strage è di stato» (a ricordare che i due compagni «non sono morti per la democrazia ma per l’anarchia», come da striscione più volte esibito in varie manifestazioni e iniziative), con la partecipazione tra gli altri di Ascanio Celestini e Saverio Ferrari. E qui invece a mancare saranno la compagna e le figlie di Pinelli. «Siamo state attaccate senza motivo e sempre sul personale – commenta ancora Silvia -. Fa male perché in tanti anni non ci è successo con la polizia, i fascisti o la mafia e invece adesso certe parole arrivano da parte di persone che pensavamo essere nostre amiche». Dal Ponte la risposta è agrodolce. Sostiene Decortes: «È una questione che ci addolora, sono state dette e scritte tante falsità anche su di noi, e comunque voglio sottolineare che con Licia non ci sono mai stati problemi, anzi ci sentiamo spesso ancora adesso. C’è molta psicologia in questa storia, molte questioni di ego, come se una parte della sinistra volesse comparire e basta, un po’ per piccoli interessi e un po’ forse per senso di colpa. La nostra, ad ogni modo, è una critica politica e non personale». Intorno, mentre Milano si appresta a ricordare Pinelli in ordine sparso, tutto è ancora fermo: la bomba, la strage, i fascisti ora condannati, ora assolti e ora condannati di nuovo, le complicità di stato, il volo di Pino, l’omicidio Calabresi, la strategia della tensione. Il mistero non è più indagato, resta la memoria sospesa di un paese che da sempre confonde la pace con la rimozione. * Fonte: Mario Di Vito, il manifesto

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Giuseppe Pinelli, mezzo secolo dopo https://www.micciacorta.it/2019/07/giuseppe-pinelli-mezzo-secolo-dopo/ https://www.micciacorta.it/2019/07/giuseppe-pinelli-mezzo-secolo-dopo/#respond Sat, 13 Jul 2019 09:47:30 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25549 Scaffale. «Pinelli l'innocente che cadde giù» di Paolo Brogi

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Mezzo secolo ci separa, ormai, dalla madre di tutte le stragi e dalle ingiustizie che ha portato con sé. Il 12 dicembre del 1969 una bomba esplode nella Banca nazionale dell’agricoltura, in Piazza Fontana, a Milano: muoiono 17 persone, 88 sono i feriti. È LA PRIMA grande strage di una stagione che intorbidirà, di sangue e non solo, almeno un quindicennio di storia nazionale. Cinquant’anni dopo, ci ritorna Paolo Brogi, con il suo Pinelli, l’innocente che cadde giù (Castelvecchi, pp. 152, euro 17,50). Lo guardo è obliquo, ma l’osservazione è generale. Brogi sceglie un punto di vista e una vicenda specifica per tornare a raccontare la storia infinita di quella che fu icasticamente definita la «strage di Stato»: la morte di Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della Questura di Milano, la notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, quando era in stato di fermo perché «gravemente indiziato» di essere partecipe dell’attentato. MA DALLA MORTE di Pinelli, lo sguardo subito si allarga alle cause della impunità della strage. Nella minuziosa ricostruzione delle carte e delle testimonianze sulla morte dell’anarchico milanese, si affacciano fin da subito azioni e attori dei depistaggi che hanno lasciato la strage orfana di responsabilità penali e politiche. All’indomani della strage («la sera stessa», dice beffardamente qualcuno di loro), la Questura di Milano era occupata dagli agenti dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno. EPPURE, nelle indagini sulla morte di Pinelli, la loro presenza non è neanche registrata. Si muovono come ombre in quelle stesse stanze in cui decine di fermati vengono trattenuti e interrogati. Fantasmi che torneranno alla luce solo negli ultimi svolgimenti delle indagini su Piazza Fontana e dintorni, ma mai messi in relazione a quelle ore in cui «l’innocente cadde giù». Eppure, gli uomini degli Affari riservati non furono estranei alla pista anarchica, al grande depistaggio che vide vittime prima Pinelli e poi Pietro Valpreda, a lungo il nemico perfetto cui attribuire le responsabilità di una strage che invece era stata voluta, eseguita e coperta a destra, da gruppi neofascisti e apparati deviati. Anzi, ne furono gli attori più solerti e consapevoli. Ma in quelle ore, era come se non ci fossero. IL LAVORO di Brogi si avvale, in particolare, della desecretazione di documenti riservati fino alla direttiva Renzi del 2014. Tra le altre cose, dalla seconda inchiesta sulla morte di Pinelli – quella svolta da Gerardo D’Ambrosio e che si concluderà con la fantasiosa tesi del «malore attivo», che avrebbe fatto cadere Pinelli dall’altra parte della finestra, nella stanza in cui si trovava al termine della lettura del verbale dell’interrogatorio – emerge un graffio su un dito di una mano del brigadiere Panessa, il più prossimo a Pinelli nel momento del «malore attivo», di cui egli stesso si era dimenticato per due anni e della cui rilevanza, comunque, nessuno gli ha mai chiesto conto. BUCHI, incongruenze, incoerenze che hanno segnato i due iter giudiziari, quello per la responsabilità della strage e quello per la morte di Pinelli. IL RACCONTO di Brogi si avvale, infine, delle testimonianze delle figlie di Pinelli, Claudia e Silvia, che all’epoca avevano 8 e 9 anni e che si porteranno dietro per tutta la vita, non solo l’improvvisa e inspiegata perdita del padre, ma anche l’essere state sue figlie, motivo di curiosità e di solidarietà nelle scuole e nella Milano degli Settanta, responsabilità di una memoria da quando la madre Licia ne ha passato loro il testimone. «In questi anni – scrive Claudia al padre – ci sei sempre stato e hai permesso incontri, sguardi, condivisioni … Molta strada è ancora da percorrere… ma resisteremo a queste ondate di xenofobia e razzismo… e continueremo a credere che un mondo nuovo… è possibile». * Fonte: Stefano Anastasia, IL MANIFESTO

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