Corte europea dei diritti umani – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Sun, 25 Jun 2017 07:34:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Segregazione e isolamento, la tortura soft dell’aguzzino https://www.micciacorta.it/2017/06/23460/ https://www.micciacorta.it/2017/06/23460/#respond Sun, 25 Jun 2017 07:34:35 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23460 Celle lisce e insonorizzate, interi reparti dove è più facile usare la violenza sui detenuti

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Le loro prigioni. Tra pochi giorni è attesa la sentenza della Corte Ue dei diritti umani sul carcere di Asti. Il testo di legge per introdurre il reato di tortura arriva alla camera lunedì. Senza correzioni Il carcere deve essere un luogo aperto, trasparente. Era il 2000 quando Antigone pubblicò il primo rapporto sulle carceri italiane titolandolo per l’appunto «Il carcere trasparente». Da allora tutti gli anni giriamo in lungo e in largo l’Italia entrando nelle prigioni e raccontando quello che osserviamo. Dal 2012 lo facciamo anche con le videocamere. Ed è questa una conquista, non solo nostra, ma anche de il manifesto con cui lanciammo la campagna affinché la stampa potesse raccontare anche con le immagini la vita nelle carceri italiane. Immediatamente dopo ci fu la condanna della Corte europea per i diritti umani nel caso Torregiani e tutte le istituzioni italiane presero coscienza della drammaticità della vita dentro. DUNQUE IN QUESTO VIAGGIO nelle carceri italiane diretto alla conoscenza del mondo di dentro molto dobbiamo a questo giornale, oltre che a chi nell’amministrazione penitenziaria non ha mai esercitato censura o posto divieti pretestuosi al nostro monitoraggio. La nostra ambizione, come da sempre ci ha insegnato Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private della libertà, è che l’osservazione, mai neutrale, possa trasformare l’oggetto osservato. Entrare in una galera senza essere detenuto o essere parte dello staff è in primo luogo uno straordinario mezzo di prevenzione rispetto a tentazioni di violenza o di abusi. Più occhi esterni squarciano il buio e rompono il monopolio di controllo delle istituzioni, meno i detenuti saranno considerati cosa loro. I custodi non devono considerare i custoditi loro proprietà privata. Tra i luoghi bui del carcere vi è il reparto di isolamento, ossia il luogo dove viene scontata quella che è ritenuta la sanzione disciplinare per eccellenza. La legge prevede che l’isolamento debba durare massimo per quindici giorni. In isolamento si trovano le persone difficili, i detenuti più a rischio. È nelle celle di isolamento, spesso lisce, disadorne, vuote, tragiche, che possono venire in mente pensieri suicidari. Come i pensieri venuti nella testa di Youssef, suicidatosi nel carcere di Paola nell’ottobre del 2016. Pare avesse scritto ai suoi familiari che in quella cella d’isolamento fosse costretto a dormire per terra. Quindici giorni dopo avrebbe finito di espiare la sua condanna. In quello stesso reparto del carcere calabrese un altro detenuto, questa volta italiano, si era tolto la vita qualche settimana prima. L’isolamento è un carcere nel carcere. In giro per l’Italia si vedono ancora reparti di isolamento lontani dagli sguardi dei visitatori. ALLA FINE DEGLI ANNI NOVANTA, l’allora indimenticato capo dell’amministrazione penitenziaria Alessandro Margara con una propria circolare di fatto abrogò l’isolamento. Un detenuto, seppur sanzionato disciplinarmente, non avrebbe mai dovuto essere spostato dalla sua cella e comunque mai essere isolato, privato della comunicazione con il mondo esterno. La circolare è stata mal sopportata nella periferia penitenziaria e di conseguenza è stata scarsamente rispettata. In isolamento vengono in mente pensieri di morte, aumenta l’aggressività, si subiscono danni psico-sociali irreversibili. È più facile che in isolamento ci sia violenza gratuita come quella dei poliziotti che nel carcere di Asti nel 2004 torturarono due detenuti comuni, fino a fargli lo scalpo. Da un giorno all’altro attendiamo la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che speriamo restituisca giustizia e memoria ad una delle due vittime. L’altra purtroppo, nel frattempo, è deceduta per cause naturali. Nei giorni in cui molto si è parlato di tortura, va ricordato che alcune azioni per prevenirla si possono fare subito. Ad esempio subito si potrebbe dare applicazione alla circolare voluta da Margara, chiudere i reparti di isolamento, chiudere tutte le celle lisce e insonorizzate. Si può fare a legislazione vigente. Si possono dare indicazioni ai direttori affinché non eccedano nell’esercizio dell’azione disciplinare. E nel caso dei minori, sarebbe buona cosa rinunciare del tutto a una pratica che è violativa, forse in modo irreversibile, del loro stato di salute e della loro crescita sana. Non si può tenere un quindicenne isolato sensorialmente e umanamente per più di pochi minuti. Isolare un ragazzo configura un trattamento inumano e degradante, contrario alle norme internazionali. IL GUARDIAN HA PROPOSTO ai suoi lettori on-line un’esperienza virtuale di isolamento. È facile trovarla in rete e provare cosa significhi per la propria lucidità stare chiusi in pochi metri quadri per ore, giorni, settimane. Seppur vero che in Italia l’isolamento disciplinare non può durare più di quindici giorni non è infrequente che tale limite venga superato intervallando due periodi di isolamento con poche ore di galera normale. Esiste poi un altro isolamento, non regolato, con eccessi di discrezionalità applicativa ed è l’isolamento giudiziario, ossia quello disposto dai giudici per ragioni investigative. Non ha limiti di tempo né modalità predeterminate. Mi è capitato negli anni di trovare persone lasciate in cella senza servizi igienici nella speranza di ritrovare gli ovuli di droga da loro presumibilmente inghiottiti prima dell’ingresso in carcere. Persone dunque costrette a vivere tra i loro bisogni. In questi giorni che si celebrano le vittime della tortura il ministero della Giustizia potrebbe fare subito quanto è nelle sue prerogative, senza aspettare avalli normativi superiori, ossia togliere di mezzo le celle di isolamento e le celle lisce. A sua volta il Csm dovrebbe dare indicazioni contro gli abusi nell’isolamento giudiziario. La tortura e i maltrattamenti hanno tante forme, alcune classiche, altre più subdole, meno appariscenti. La cultura della violenza non si sconfigge solo con le norme ma anche con pratiche rispettose della dignità umana. In questo viaggio oramai ventennale nelle prigioni d’Italia ho incontrato tantissimi operatori – direttori, poliziotti, educatori, assistenti sociali, cappellani, medici, psicologi, volontari, insegnanti, garanti – eccezionali. Questi ultimi non vanno lasciati soli. Vanno premiati quelli che hanno il coraggio di costruire un modello di detenzione non violento e rispettoso della dignità umana, anche se più rischioso rispetto ai canoni tradizionali della sicurezza. Anche questa è prevenzione della tortura. FONTE: Patrizio Gonnella, IL MANIFESTO

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Genova. Quando la democrazia fu affidata a criminali dello Stato https://www.micciacorta.it/2017/06/genova-la-democrazia-fu-affidata-criminali-dello/ https://www.micciacorta.it/2017/06/genova-la-democrazia-fu-affidata-criminali-dello/#respond Sat, 24 Jun 2017 16:36:53 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23457 Ancora una volta da Strasburgo arriva un monito a non lasciare impuniti i torturatori sul suolo italico

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A Genova la democrazia fu sospesa e messa nelle mani di criminali di Stato. Fu fatta carta straccia della rule of law e dell’habeas corpus. Decine e decine di corpi furono seviziati, massacrati, torturati. Dopo sedici anni arriva finalmente per quarantadue di quei corpi un risarcimento politico, giudiziario, morale, economico. La Corte europea dei diritti umani, nella sentenza resa pubblica ieri, l’ha potuta chiamare tortura. Noi, nelle nostre Corti, non possiamo ancora chiamarla così, perché la tortura in Italia non è codificata come crimine. Il 26 giugno è la giornata che le Nazioni Unite dedicano alle vittime della tortura. È anche il giorno in cui la Camera dei Deputati inizierà a votare la brutta, pasticciata e intenzionalmente confusa proposta di legge che il Senato ha approvato giusto poche settimane fa, dando cattiva prova di sé. Sono intanto trascorsi sedici anni dalle torture della Diaz e ben ventinove da quando l’Italia ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura che ci obbligava a introdurre nel nostro codice il crimine di tortura. Il tempo passa ma non cambia il modo in cui le istituzioni hanno cercato di non parlare di un delitto che è tanto grave in quanto commesso su persone in stato di soggezione e dalle mani dei servitori della democrazia. Ancora una volta da Strasburgo arriva un monito a non lasciare impuniti i torturatori sul suolo italico. L’Italia infatti è una sorta di paradiso legale per i torturatori di ogni nazionalità che qui possono sentirsi sicuri e rifugiarsi da accuse e processi nei loro confronti. La sentenza risarcisce le vittime di quello che possiamo chiamare ora a tutti gli effetti un crimine di Stato, sia perché la tortura è nella storia del diritto un reato proprio di agenti dello Stato, sia perché nel caso di Genova i carnefici non sono stati due, tre o quattro ma un plotone intero con tutti i suoi governanti. Basta riguardare la sentenza della Corte di Cassazione del 2012 per leggere i nomi dei dirigenti ad altissimo livello della Polizia che furono condannati a vario titolo, ma nessuno per tortura, perché in Italia non si può condannare per tortura. La sentenza di Strasburgo restituisce giustizia a chi non vuole che la memoria e la verità siano violentate. Il numero delle vittime e la gravità delle condanne pongono un problema politico, non solo giuridico ed economico come forse in molti al potere vorrebbero far credere, ossessionati dalla paura dei fantasmi di Genova. Fu Antonio di Pietro, allora capo dell’Idv e ministro delle Infrastrutture, ad affossare la legge che istituiva una Commissione di inchiesta sui fatti di Genova. Una Commissione che ancora oggi sarebbe sacrosanto mettere rapidamente in piedi per fare i nomi e cognomi dei responsabili politici, militari e di Polizia di un piano sistematico criminale. Come altro definire un piano pensato per commettere crimini contro l’umanità? Nel frattempo impunità e immunità hanno favorito le carriere dei presunti torturatori e dei loro mandanti. Chiediamo ai governanti dello Stato italiano di oggi di rivalersi contro i responsabili politici e di Polizia di quel 2001, di fare loro causa civile, di istituire per via amministrativa un fondo per le vittime della tortura, di consentire l’identificazione degli appartenenti alle forze dell’ordine. Si può fare subito. Se dovesse anche questa volta prevalere la melina, l’autodifesa dei vertici, il quieto vivere vorrà dire che la democrazia è ancora sospesa. Tanti ragazzi che oggi frequentano le Università non sanno cosa è successo a Genova in quel luglio del 2001. Va loro raccontato che lo Stato democratico italiano torturò altri ragazzi come loro. Lo fece perché aveva paura delle loro bandiere della pace. FONTE: Patrizio Gonnella, IL MANIFESTO

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Torture al G8 di Genova. L’Italia di nuovo condannata https://www.micciacorta.it/2017/06/23454/ https://www.micciacorta.it/2017/06/23454/#respond Fri, 23 Jun 2017 16:03:37 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23454 G8 del 2001. Per la Corte di Strasburgo le violenze della polizia alla Diaz e alla Pascoli erano evitabili. Riconosciuti 1,4 milioni di danni. E la legge passa all’Aula senza emendamenti

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Come nel 2015 e con motivazioni ancora più dettagliate, la Corte europea dei diritti umani torna a condannare l’Italia per la «macelleria messicana», come la definì l’allora vicequestore del primo Reparto mobile di Roma Michelangelo Fournier, compiuta dalle forze dell’ordine durante il G8 di Genova del 2001 all’interno della scuola Diaz e (questa volta anche) della scuola Pascoli, dove era stato allestito il centro stampa e l’ufficio legale. «Tortura», la definiscono ormai esplicitamente i giudici di Strasburgo che hanno dato ragione a 29 dei 42 ricorrenti (Bartesaghi Gallo e altri) e, per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, condannano lo Stato italiano a risarcire le vittime con somme che vanno dai 45 mila ai 55 mila euro ciascuno, per un totale di circa 1,4 milioni di euro. Un’operazione, l’irruzione nelle due scuole, «pianificata» dalla polizia e nella quale perciò l’«uso di incontrollata violenza» poteva essere evitato, motiva la Cedu, ma così non è stato. Inoltre dalla sentenza Cestaro del 2015 ancora l’Italia presenta «carenze nel sistema giuridico riguardo la punizione della tortura». Motivo per il quale coloro che sono stati ritenuti responsabili di quella folle notte di violenze non sono stati puniti adeguatamente, accusati di reati minori, presto caduti in prescrizione. Le parole di Strasburgo arrivano in commissione Giustizia della Camera, dove si sta analizzando in quarta lettura il brutto testo di legge che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento penale, e fanno l’effetto della maestra che torna in classe all’improvviso. Respinti tutti gli emendamenti, il ddl arriverà in Aula il 26 giugno, senza più altri rinvii. La convinzione che di questi tempi non si possa pretendere di meglio nel Belpaese, porta ad accelerare i tempi verso l’approvazione di un testo che il Consiglio d’Europa, per ultimo, e decine di associazioni che hanno lanciato un appello contro la «legge truffa», considerano inadatto e lontano dalle convenzioni Onu e dalle raccomandazioni della Cedu. Prendiamo ad esempio il reato specifico per pubblico ufficiale, nemmeno lontanamente preso in considerazione per via delle proteste di alcuni sindacati di polizia (a danno della maggioranza delle forze dell’ordine). Nella sentenza resa nota ieri, Strasburgo fa notare che nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001, quando all’interno delle due scuole furono commesse «violenze multiple e ripetute, di un livello di gravità assoluta», «la polizia non stava affrontando una situazione di emergenza, una minaccia immediata che richiedeva una risposta proporzionata ai potenziali rischi». La Corte «ritiene che i funzionari hanno avuto la possibilità di pianificare l’intervento della polizia, analizzare tutte le informazioni disponibili e tener conto della situazione di tensione e dello stress a cui gli agenti erano stati sottoposti per 48 ore». Ma, «nonostante la presenza a Genova di funzionari esperti appartenenti all’alta gerarchia della polizia, non è stata emanata alcuna direttiva specifica sull’uso della forza e non sono state date consegne adatte agli agenti su questo aspetto decisivo». In sostanza, le Corte europea fa notare stavolta che la tortura e i trattamenti inumani e degradanti inflitti, «con gravi danni fisici e psicofisici», su persone inermi non erano imprevedibili. Non sono state frutto in una situazione sfuggita di mano. E nel frattempo nulla è cambiato. Per Amnesty international Italia, la condanna della Cedu è «una buona notizia» perché «aiuta la memoria collettiva» e «sottolinea la necessità di rafforzare la cultura dei diritti umani tra le forze di polizia». Ma il ddl in dirittura d’arrivo alla Camera anche per il senatore di Mdp, Felice Casson, tra i firmatari del testo prima che venisse «stravolto in Senato», sarà «da un punto di vista pratico difficilmente applicabile per la nostra magistratura» e «avremo episodi chiari di tortura che non verranno mai puniti». E al Consiglio d’Europa che due giorni fa chiedeva una fattispecie esente da ogni possibile misura di clemenza, l’Unione delle camere penali risponde di non preoccuparsi, «perché a rendere ineffettiva la norma sulla tortura non c’è bisogno né di amnistie, né di indulti, né di prescrizioni: basta che il Parlamento approvi la legge sulla tortura in via definitiva così com’è». FONTE: Eleonora Martini, IL MANIFESTO

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Torture a Bolzaneto, 45 mila euro di vergogna https://www.micciacorta.it/2016/01/21102/ https://www.micciacorta.it/2016/01/21102/#respond Sun, 10 Jan 2016 08:20:16 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21102 Quarantacinque mila euro per una «conciliazione amichevole». Il denaro è stato offerto come risarcimento delle torture nella caserma di Bolzaneto al G8 di Genova dal ministero degli Esteri

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Bolzaneto

Genova G8. Il risarcimento proposto dallo stato alle vittime delle torture nella caserma di Bolzaneto per una «conciliazione amichevole». Gli avvocati e gli attivisti noglobal: «Temono una condanna della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo». «Una proposta indecente, l’Italia istituisca il reato di tortura». Quarantacinque mila euro per una «conciliazione amichevole». Il denaro è stato offerto come risarcimento delle torture nella caserma di Bolzaneto al G8 di Genova dal ministero degli Esteri. La proposta è contenuta in una lettera inviata ieri alla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo. Il governo richiama l’articolo 39 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e intende chiudere il primo dei due ricorsi presentati a nome di 31 persone contro la mancata punizione dei responsabili delle violenze. E questo nonostante la sentenza di condanna, a 14 anni dai fatti, emessa dalla stessa Corte nell’aprile 2015 a favore di Armando Cestaro in cui si chiede l’istituzione del reato di tortura in Italia. A Cestaro la Corte di Strasburgo ha inoltre assegnato un risarcimento di 45 mila euro, la stessa cifra proposta dal ministero degli Esteri. Gli stati possono ricorrere alla conciliazione e, se le parti offese sono soddisfatte e la Corte accetta la misura, il caso viene chiuso. Ad esempio, una misura simile è stata adottata nel caso di due detenuti che hanno subìto violenze nel carcere di Asti. Il giudice lo aveva valutato come un caso di tortura, ma non si è mai arrivati a una sentenza perché questo reato non esiste nel nostro ordinamento. Di «tortura» alla scuola Diaz e a Bolzaneto hanno parlato gli stessi tribunali italiani che non hanno potuto condannare penalmente i responsabili accertati a causa della prescrizione. Sono circa un centinaio i manifestanti che hanno subìto violenze da parte della polizia a Genova nel 2001 e hanno presentato ricorso a Strasburgo per la violazione dell’articolo tre della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quella che proibisce la tortura e impone una sanzione effettiva per i responsabili. A questo proposito la sentenza Cestaro è esemplare. Oltre al risarcimento, ha chiesto allo Stato di fare vera giustizia sui fatti di Genova. La legislazione penale italiana è stata definita inadeguata e sprovvista di effetti dissuasivi per prevenire efficacemente la reiterazione di possibili violenze poliziesche. La Corte si è inoltre rammaricata del rifiuto opposto dalla polizia italiana di cooperare con la magistratura per identificare gli agenti protagonisti delle violenze. I giudici europei hanno ribadito la necessità di istituire il reato di tortura in Italia nel rispetto dell’articolo 3 della Convenzione europea. Precisi rilievi che rendono evidente il livello della civiltà giuridica nel nostro paese. Oggi ogni cittadino che intende liberamente esprimere il proprio dissenso può incorrere nelle torture di Genova e sa che i responsabili possono uscirne indenni, mentre si infliggono anni di carcere per reati minori, non certo paragonabili alla tortura. «La richiesta del governo è dovuta al fatto che è molto alta la probabilità che si arrivi a una sentenza di condanna dello Stato italiano» spiega l’avvocatoEmanuele Tambuscio che rappresenta alcuni dei ricorrenti. «La nostra risposta è un deciso no — aggiunge l’avvocato Riccardo Passeggi che difende due vittime tedesche — Non abbiamo bisogno delle elemosine del governo italiano. Nessuno ha mai chiesto scusa per i fatti di Bolzaneto. Lo Stato italiano deve istituire il reato di tortura». «Si sta giocando una partita truffaldina. È una strategia per limitare i danni di future sentenze come quella Cestaro – sostiene il giornalista Lorenzo Guadagnucci, vittima delle violenze alla Diaz e già componente del comitato Verità e Giustizia per Genova – Anche a me è stato proposto di chiudere la causa in sede civile con una cifra di 40 mila euro in cambio del ritiro del ricorso. Ho rifiutato e lo rifarei. Per risanare il torto fatto a Genova. Bisogna fare una legge contro la tortura che non è quella discussa in Parlamento, prendere provvedimenti rispetto ai condannati che sono in servizio, nessuno dei quali è sottoposto a procedimenti disciplinari o è stato licenziato. Non credo che questo sia il modo in cui un governo serio può uscire da questa vicenda. Dimostra solo l’imbarazzo di una democrazia rispetto a una polizia che non rispetta i suoi principi. In Italia esiste un’idea assurda: che le forze dell’ordine siano speciali e possano derogare ai principi della convivenza che una corte europea giudica necessari». ***Intervista a Marco Poggi, infermiere a Bolzaneto nel luglio 2011

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È scomparsa la proposta che criminalizza la tortura https://www.micciacorta.it/2015/12/e-scomparsa-la-proposta-che-criminalizza-la-tortura/ https://www.micciacorta.it/2015/12/e-scomparsa-la-proposta-che-criminalizza-la-tortura/#comments Sat, 12 Dec 2015 09:18:55 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20983 Leggi. Non c’è traccia alla Commissione giustizia

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Meglio pagare piuttosto che fare una legge contro la tortura. Scompare dai lavori parlamentari la proposta di legge che criminalizza la tortura. Desaparecida. Non c’è traccia all’ordine del giorno della Commissione Giustizia del Senato. Era il 9 aprile 2015 quando la Corte Europea dei diritti umani nel caso Cestaro (torturato alla Diaz) nel condannare l’Italia stigmatizzava l’assenza del crimine di tortura nel codice penale italiano. Renzi aveva promesso che la risposta italiana alla Corte di Strasburgo sarebbe stata la codificazione del reato. Da allora è accaduto qualcosa di peggio che il consueto niente. Le forze contrarie hanno trovato buoni alleati al Senato. La Commissione Giustizia di Palazzo Madama avvia la discussione di in testo già di per sé non fedele al dettato delle Nazioni Unite. A maggio calendarizza una serie di audizioni. Sono tutte di natura istituzionale. Vengono auditi, in modo informale, i capi delle forze dell’ordine e l’associazione nazionale magistrati. Manca un resoconto stenografico degli incontri. Non vengono sentite le ong, gli avvocati, gli accademici. Così, nonostante le prese di posizione favorevoli al reato da parte dell’Anm, il risultato — prevedibile — è l’approvazione di un testo che pare pensato in funzione della non punibilità dei torturatori. Un esempio: per esservi tortura le violenze devono essere più di una. Colui che tortura una volta sola pertanto la può scampare. La lettura degli interventi dei parlamentari lascia inebetiti. La pressione istituzionale esterna ha funzionato: viene prima concordato un testo di bassissimo profilo e poi viene messo in naftalina. Siamo quasi alla fine del 2015 e la melina continua senza tema di sottoporsi al ludibrio pubblico. Ma non è finita. C’è qualcosa di peggio che il nulla. Il governo italiano si rende disponibile a pagare fior di soldi pur di evitare una nuova condanna dei giudici europei. È notizia fresca dei giorni scorsi. Meglio pagare piuttosto che fare una legge contro la tortura. Ricapitoliamo: era il 2004, tre anni dopo Genova, quando nel carcere di Asti due detenuti vengono torturati. L’indagine questa volta va avanti. Ci sono le intercettazioni telefoniche e ambientali. Antigone attraverso il proprio difensore civico Simona Filippi si costituisce parte civile nel processo. Si arriva al 2012. Così scrive il giudice nella sentenza: «Dal dibattimento emergono alcuni elementi che possono essere ritenuti provati aldilà di ogni ragionevole dubbio. In particolare, non può essere negato che nel carcere di Asti sono state poste in essere misure eccezionali (privazione del sonno, del cibo, pestaggi sistematici, scalpo) volte a intimorire i detenuti più violenti. Tali misure servivano a punire i detenuti aggressivi…e a dimostrare a tutti gli altri carcerati che chi non rispettava le regole era destinato a subire pesanti ripercussioni…I fatti in esame potrebbero essere agevolmente qualificati come tortura…ma non è stata data esecuzione alla Convenzione del 1984…né sono state ascoltate le numerose istanze (sia interne che internazionali) che da tempo chiedono l’introduzione del reato di tortura nella nostra legislazione…in Italia, non è prevista alcuna fattispecie penale che punisca coloro che pongono in essere i comportamenti che (universalmente) costituiscono il concetto di tortura». Così il giudice è costretto a non sanzionare gli agenti di polizia penitenziaria. I reati lievi per cui è costretto a procedere sono oramai prescritti. Tutti assolti ma tutti coinvolti e responsabili. La Cassazione conferma la sentenza. Questa volta Antigone (con il proprio difensore civico) in collaborazione con Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International e con gli avvocati dei due detenuti reclusi ad Asti, presenta ricorso alla Corte europea dei diritti umani. E qui arriviamo ai giorni scorsi. Il ricorso è dichiarato ammissibile. Il Governo, pur di evitare un’altra condanna che stigmatizzi l’assenza del delitto di tortura nel codice penale (dopo il caso Cestaro-Diaz), chiede la composizione amichevole e offre 45 mila euro a ciascuno dei detenuti ricorrenti. Dunque sostanzialmente ammette la responsabilità ma preferisce pagare piuttosto che farsi condannare ed essere costretta ad approvare una legge contro la tortura. Che ne pensano il premier Renzi e il ministro della Giustizia Orlando? Che ne è della promessa del Presidente del Consiglio? (Presidente di Antigone)

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La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per il massacro alla scuola Diaz https://www.micciacorta.it/2015/04/la-corte-di-strasburgo-ha-condannato-litalia-per-il-massacro-alla-scuola-diaz/ https://www.micciacorta.it/2015/04/la-corte-di-strasburgo-ha-condannato-litalia-per-il-massacro-alla-scuola-diaz/#respond Tue, 07 Apr 2015 13:08:06 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=19167 Quello che accadde il 21 luglio 2001 a Genova "deve essere qualificato come tortura", ha detto accogliendo un ricorso

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(FILES) This file picture taken on July
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz nei giorni del G8 di Genova del luglio 2001. La Corte, nello specifico, ha condannato l’Italia per tortura, ha stabilito che ha una legislazione penale inadeguata perché non prevede tale reato e che non ha nemmeno delle norme in grado di prevenire in modo efficace il ripetersi di tali possibili violenze da parte della polizia. Il problema, si legge nel comunicato stampa della sentenza, è «strutturale». La Corte europea è intervenuta dopo il ricorso presentato a Strasburgo da Arnaldo Cestaro, una delle persone presenti alla scuola Diaz il 21 luglio del 2001. Nel ricorso, «l’uomo, che all’epoca dei fatti aveva 62 anni, afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell’ordine tanto da dover essere operato, e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite. Cestaro, rappresentato dall’avvocato Nicolò Paoletti, sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi». I giudici della Corte europea dei diritti umani gli hanno dato ragione. I giudici hanno infatti dichiarato all’unanimità che è stato violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, che dice:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
Le azioni della polizia nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001 hanno avuto «finalità punitive» e sono state una vera e propria «rappresaglia, per provocare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime». Pertanto, secondo la Corte, possono essere descritte come «tortura». Cestaro è stato aggredito dagli agenti «senza che vi fosse un nesso di causalità tra la sua condotta e l’uso della forza da parte della polizia al momento dell’intervento». I trattamenti che ha subito, inoltre, «sono stati inflitti in modo completamente gratuito» e non erano «proporzionati» al raggiungimento dell’obiettivo, quello della perquisizione. Per quanto riguarda l’inchiesta, la Corte ha rilevato che gli agenti di polizia che hanno aggredito Cestaro non sono mai stati identificati, non sono stati indagati e sono dunque rimasti impuniti. E questo a causa di alcune difficoltà oggettive ma anche per la mancanza di cooperazione dimostrata dalla polizia italiana. Tutto questo, si dice ancora, non dipende da una negligenza in particolare, ma dal fatto che la legislazione italiana è inadeguata e ha, in questo senso, «un problema strutturale». La Corte ha invitato quindi l’Italia a «dotarsi di strumenti giuridici in grado di punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o altri maltrattamenti impedendo loro di beneficiare di misure in contraddizione con la giurisprudenza della Corte» stessa. Lo stato italiano dovrà versare a Cestaro, per il danno morale subito, 45 mila euro.

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