Croazia – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Sat, 24 Sep 2022 07:36:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Campo di concentramento di Rab: mai dimenticare i crimini fascisti https://www.micciacorta.it/2022/09/campo-di-concentramento-di-rab-mai-dimenticare-i-crimini-fascisti/ https://www.micciacorta.it/2022/09/campo-di-concentramento-di-rab-mai-dimenticare-i-crimini-fascisti/#respond Sun, 11 Sep 2022 06:34:04 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26563 Ieri al Memoriale delle vittime del fascismo dell’isola di Rab (Arbe), in Croazia, si è svolta la commemorazione del 79esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento

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Nel 79esimo anniversario della liberazione dai nazifascisti la commemorazione italiana, slovena e crota Ieri al Memoriale delle vittime del fascismo dell’isola di Rab (Arbe), in Croazia, si è svolta la commemorazione del 79esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento. Alla presenza del ministro della Difesa sloveno Marjan Šarec e del presidente dell’associazione partigiana croata Franjo Habulin, il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo ha ricordato «le vittime del campo di Rab, giustamente definito da tanti campo di sterminio, dove morirono di stenti e fame 1.500 persone. Nel mio paese ancora oggi i crimini del fascismo in ex Jugoslavia sono sconosciuti ai più: una vera rimozione. La mia presenza rappresenta perciò un doveroso gesto di riparazione. A maggior ragione oggi quando in Italia si minimizzano le responsabilità dei fascisti, si mettono sullo stesso piano aggrediti e aggressori». Nei giorni scorsi una delegazione di storici guidati da Eric Gobetti ha visitato il campo. * Fonte/autore: il manifesto   ph by Derbrauni, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Tito cancellato in Croazia https://www.micciacorta.it/2017/09/23728/ https://www.micciacorta.it/2017/09/23728/#respond Thu, 07 Sep 2017 08:34:51 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23728 Croazia. Zagabria non ha più «Piazza maresciallo Tito» per decisione del Consiglio comunale riunito su proposta dell’estrema destra neo-ustascia . Alla faccia della memoria e delle tante proteste

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ZAGABRIA. Da qualche giorno Zagabria non ha più Piazza maresciallo Tito che esisteva dal 1946, subito dopo la liberazione da parte dei partigiani. Dopo una lunga seduta del Consiglio comunale conclusa all’una di notte, su proposta e per volontà dell’estrema destra, il nome di Tito è stato tolto dalla seconda piazza più grande della capitale. La cancellazione era annunciata da due mesi, da quando il partito neoustascia di Zlatko Hasanbegovic, ex ministro della cultura nella scorsa legislatura dei nazionalisti dell’Hdz, ha posto come conditio sine qua non per l’ appoggio alla giunta del sindaco uscente ed entrante Milan Bandic, il cambiamento del nome della piazza. Bandic allora, ha deciso di intitolarla alla «Repubblica di Croazia», nonostante le manifestazioni di protesta e il parere contrario della Circoscrizione. MA «PIAZZA della Repubblica» è un nome mutuato da un’altra storia: è esistita a Zagabria fino al 1990, cioè quando la piazza principale è stata ridedicata al Bano Jelacic, il cerbero sanguinario delle rivoluzioni del 1848 a servizio degli Asburgo. Così, dopo 27 anni, non si vede la fine del revisionismo storico iniziato da Tudjman negli anni ‘90. La falsificazione della storia da lui inaugurata sotto la copertura dell’ideologia della «pacificazione nazionale», in realtà non è stata che un modo per eguagliare le vittime del regime ustascia ai propri carnefici. In Croazia, questo stratagemma preso dall’arsenale ideologico del Caudillo di Spagna, nella recente ondata di populismo neofascista dell’Europa dell’Est, è entrato in una nuova fase, ancora più radicale. Se negli anni ‘90 sono scomparse vie e piazze dedicate alle Brigate partigiane e proletarie, con Hasanbegovic, probabile assessore alla cultura, rischiano di scomparire anche quelle che indirettamente rimandano allo jugoslavismo, di tradizione liberale o, non sia mai, al socialismo. Insomma, secondo la vecchia ricetta ustascia – i fascisti croati di Ante Pavelic al seguito di Hitler e Mussolini – i nemici non sono solo i comunisti, ma anche i liberali filojugoslavi, i serbi e gli ebrei. Infatti, Hasanbegovic non ha problemi nel difendere l’Handžar division, la divisione musulmana delle SS che collaborò con Hitler in Jugoslavia. Per capire di più il «teatrino» nel Consiglio e i traffici tra Bandic e Hasanbegovic, ne parlo con Mate Kapovic, un giovane professore di linguistica dell’Ateneo di Zagabria, consigliere comunale del partito RF (Fronte operaio). Infatti, se c’è qualcosa di positivo nelle recenti elezioni comunali, è che per la prima volta dal 1990, sono stati eletti quattro consiglieri veramente di sinistra. SEDUTI NEL BAR del Teatro Nazionale sulla piazza che sta per cambiare il nome, gli chiedo di quell’assemblea. «È stata una discussione assurda, la destra estrema non ha quasi partecipato al dibattito, né ha difeso le sue posizioni». E allora, l’ accanimento contro il nome di una piazza? «L’estrema destra che ha promosso questo cambiamento si caratterizza per quello che chiamerei culturfascismo, cioè loro non vogliono, almeno in questa fase, mobilitare le masse direttamente, ma ottenere i loro scopi con guerre pseudoculturali». Così la guerra contro Tito e il socialismo torna di nuovo in primo piano. «La ragione è semplice – risponde – L’attacco della destra a Tito è in realtà un attacco simbolico all’eredità della Federazione jugoslava, al socialismo e ai suoi successi. È una battaglia decisiva per la destra, deve distogliere l’attenzione dal disastro sociale croato. Con il Pil più basso che negli anni ’80 e gli stipendi reali più bassi di 40 anni fa. Inoltre, negli ultimi 27 anni è stata distrutta la sanità pubblica e anche la scuola e sono stati cancellati i diritti dei lavoratori. In sintesi, la battaglia simbolica sul passato, rappresenta la lotta ideologica per il presente e il futuro». Intanto il sindaco Bandic regala ingenti somme alla Chiesa cattolica. «Gli edifici della Chiesa – dice Mate Kapovic – sono i principali beneficiari del programma di donazioni per i lavori pubblici. Si tratta di migliaia di euro dei contribuenti, con cui si fanno lavori per la chiesa. È impossibile capire esattamente quanti, poiché queste spese non sono indicate in modo trasparente nel bilancio». DUNQUE LA MORTE dell’ideologia è solo una storiella menzognera, mentre il patriottismo è l’ultima risorsa dei farabutti nazionalisti che abusano della revisione della Storia. Così, mentre Bandic, assieme ai neofascisti, cancella dagli spazi pubblici ogni riferimento alla lotta antifascista, falsando il rapporto tra comunismo e antifascismo, il Governo da mesi non ha il coraggio di togliere una lapide commemorativa all’Hos (la forza paramilitare fascista degli anni ‘90), messa abusivamente a Jasenovac, l’«Auschwitz croata», che contiene il saluto nazifascista degli ustascia, vietato dalla legge. FONTE: Luka Bogdanic, IL MANIFESTO

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Predrag Matvejevic: dove ebbero inizio le Foibe https://www.micciacorta.it/2017/02/foibe-la-dignita-un-dolore-corale/ https://www.micciacorta.it/2017/02/foibe-la-dignita-un-dolore-corale/#respond Sat, 11 Feb 2017 08:44:42 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22978 Intervista a Predrag Matvejevic . Polemiche tendenziose ripetute ogni anno su un crimine che in realtà ebbe inizio nel 1920

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“Certo che bisogna tornare sulle foibe, ogni volta, ogni anno”. A dieci anni esatti dall’istituzione del Giorno del Ricordo, il bilancio di Predrag Matvejevic è ancora una volta critico e insiste a “ricordare tutti i ricordi”. Nel 2004 un’iniziativa revisionista storica della destra post-fascista, riciclata e diventata di governo ed elettoralmente candidabile grazie a Silvio Berlusconi, portò a buon fine la sua battaglia negazionista del passato di crimini italiani nell’ex Jugoslavia. Centrando l’obiettivo di ridurre la prospettiva all’ultimo, infausto periodo, delle responsabilità slave. A questo punto di vista tutto l’arco costituzionale s’inchinò. Favorendo negli anni processi cosiddetti culturali – fiction, cerimonie, opere teatrali – di rimozione della verità storica. Su questo abbiamo voluto ancora una volta ascoltare per i lettori del manifesto il grande scrittore dell’asilo e dell’esilio, l’autore di Breviario mediterraneo – per citare solo una delle sue opere – che ama ancora definirsi jugoslavo. “A proposito di storia, che vergogna che qui, in Croazia, la Chiesa che ha così gravi responsabilità nella connivenza con il nazifascismo e con l’ideologia ustascia, abbia praticamente disertato due settimane fa le celebrazioni del Giorno della Memoria” ci dichiara subito Predrag Marvejevic. D. Sono passati dieci anni dall’istituzione di questa Giornata da parte delle istituzioni italiane, che ha sempre visto la protesta dei nostri storici democratici. Che bilancio va fatto? R. Intanto che non bisogna smettere di raccontare la verità. André Gide diceva: “Bisogna ripetere…nessuno ascolta”. Ognuno, soprattutto in questa epoca sembra chiuso nella propria sordità. Il bilancio non è positivo, se a celebrare il Giorno della memoria alla Risiera di San Sabba, il lager nazista al confine tra due popoli, accorrono anche post-fascisti abili a cancellare i crimini del fascismo italiano nelle terre slave. E ogni anno abbondano fiction e rappresentazioni che invece di raccontare il pathos collettivo che riguarda almeno due popoli, riducono tutto, nella forma e nei contenuti, alla sola tragedia delle vittime italiane. Ho scritto sulle vittime delle foibe anni fa in ex Jugoslavia, quando se ne parlava poco in Italia. Ero criticato. Ho avuto modo di sostenere gli esuli italiani dell’Istria e della Dalmazia (detti “esodati”). L’ho fatto prima e dopo aver lasciato il mio paese natio e scelto, a Roma, una via “fra asilo ed esilio”. Continuo anche ora che sono ritornato a Zagabria. Condivido il cordoglio italiano, nazionale e umano, per le vittime innocenti. Credevo comunque che le polemiche su questa tragedia, spesso unilaterali e tendenziose, fossero finite. Invece si ripetono ogni anno, sempre più strumentalizzate. D. C’è qualche episodio particolare di strumentalizzazione che ricorda? R. Voglio ricordare il caso del 2008 dello scrittore di confine, il grande Boris Pahor. Ecco uno scrittore che ha fatto della coralità del dolore la sua materia, e infatti ha raccontato la tragedia dei crimini commessi dai fascisti in terra slava e il lascito di odio rimasto. Di fronte all’onorificenza che nel gli offriva il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, insorse dichiarando che avrebbe detto no, l’avrebbe rifiutata, se dalla presidenza italiana non arrivava una chiara presa di posizione contro i silenzi sugli eccidi perpetrati da Mussolini. D. Che cosa fu in realtà il crimine delle Foibe? R. Sì, le foibe sono un crimine grave. Sì, la stragrande maggioranza di queste vittime furono proprio gli italiani. Ma per la dignità di un dolore corale bisogna dire che questo delitto è stato preparato e anticipato anche da altri, che non sono sempre meno colpevoli degli esecutori dell’ “infoibamento”. La tragica vicenda è infatti cominciata prima, non lontano dai luoghi dove sono stati poi compiuti quei crimini atroci. Il 20 settembre 1920 Mussolini tiene un discorso a Pola (non certo casuale la scelta della località). E dichiara: “Per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara”. Ecco come entra in scena il razzismo, accompagnato dalla “pulizia etnica”. Gli slavi perdono il diritto che prima, al tempo dell’Austria, avevano, di servirsi della loro lingua nella scuola e sulla stampa, il diritto della predica in chiesa e persino quello della scritta sulla lapide nei cimiteri. Si cambiano massicciamente i loro nomi, si cancellano le origini, si emigra… Ed è appunto in un contesto del genere che si sente pronunciare, forse per la prima volta, la minaccia della “foiba”. E’ il ministro fascista dei Lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli, che si era affibbiato da solo il nome vittorioso di “Giulio Italico”, a scrivere già nel 1927: “La musa istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria” (da “Gerarchia”, IX, 1927). Affermazione alla quale lo stesso ministro aggiungerà anche i versi di una canzonetta dialettale già in giro: “A Pola xe l’Arena, La Foiba xe a Pisin”, che ha fatto bene a ricordare su Il Manifesto nei giorni scorsi Giacomo Scotti nel suo saggio. Le foibe sono dunque un’invenzione fascista. E dalla teoria si è passati alla pratica. L’ebreo Raffaello Camerini, che si trovava ai “lavori coatti” in questa zona durante la seconda guerra mondiale ha testimoniato nel giornale triestino Il Piccolo (5. XI. 2001): “Sono stati i fascisti, i primi che hanno scoperto le foibe ove far sparire i loro avversari”. La vicenda “con esito letale per tutti” che racconta questo testimone, cittadino italiano, fa venire brividi. D. Come è vissuto il Giorno del Ricordo nell’ex Jugoslavia, quali “ricordi” reali va a risvegliare? R. La storia (con la S maiuscola) potrebbe aggiungere alcuni altri dati poco conosciuti in Italia. Uno dei peggiori criminali dei Balcani è certamente il duce (poglavnik) degli ustascia croati Ante Pavelic. E il campo di Jasenovac è stato una Auschwitz in formato ridotto, con la differenza che lì il lavoro micidiale veniva fatto “a mano”, mentre i nazisti lo facevano in modo “industriale”. Aggiungiamo che quello stesso criminale Pavelic con la scorta dei suoi più abietti seguaci, poté godere negli anni trenta dell’ospitalità mussoliniana a Lipari, dove ricevevano aiuto e corsi di addestramento dai più rodati squadristi. Le “camicie nere” hanno eseguito numerose fucilazioni di massa e di singoli individui. Tutta una gioventù ne rimase falciata in Dalmazia, in Slovenia, in Montenegro. A ciò bisogna aggiungere una catena di campi di concentramento, di varia dimensione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud dell’Adriatico, fino ad Arbe, di fronte a Fiume. Spesso si transitava in questi luoghi per raggiungere la risiera di San Sabba a Trieste e, in certi casi, si finiva anche ad Auschwitz e soprattutto a Dachau. I partigiani non erano protetti in nessun paese dalla Convenzione di Ginevra e pertanto i prigionieri venivano immediatamente sterminati come cani. E così molti giunsero alla fine delle guerra accaniti: “infoibarono” gli innocenti, non solo d’origine italiana. Singole persone esacerbate, di quelle che avevano perduto la famiglia e la casa, i fratelli e i compagni, eseguirono i crimini in prima persona e per proprio conto. La Jugoslavia di Tito non voleva che se ne parlasse. Abbiamo comunque cercato di parlarne. Purtroppo, oggi ne parlano a loro modo soprattutto i nostri ultra-nazionalisti, una specie di “neo-missini” slavi. Ho sempre pensato che non bisognerebbe costruire i futuri rapporti in questa zona sui cadaveri seminati dagli uni e dagli altri, bensì su altre esperienze. Ad esempio culturali…Per questo auspico la proclamazione congiunta de “Il giorno dei ricordi”. E questo mi sembra il nuovo intendimento che emerge e per i quale dobbiamo batterci. (riproponiamo questa intervista ancora di grande attualità in questi giorni, pubblicata sul manifesto solo tre anni fa, il 9 febbraio 2014) SEGUI SUL MANIFESTO

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In Croa­zia una strage diventa festa patriottica https://www.micciacorta.it/2015/08/in-croa%c2%adzia-una-strage-diventa-festa-patriottica/ https://www.micciacorta.it/2015/08/in-croa%c2%adzia-una-strage-diventa-festa-patriottica/#respond Fri, 07 Aug 2015 07:47:27 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20139 Solo nei primi mesi di «pace», in pre­senza delle truppe di Tud­j­man nella Kra­jina furono uccisi circa tre­mila vec­chi e donne

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RIJEKA (FIUME). L’Operazione Tem­pe­sta, l’ultima di una serie sfer­rate nei quat­tro anni di guerra civile — che i croati defi­ni­scono «patriot­tica» — comin­ciata nell’estate del 1991 in Croa­zia, si con­cluse in 78 ore il 5 ago­sto 1955. Nel corso dell’«OperazioneTempesta», oltre alle truppe serbe man­date in Croa­zia da Milo­se­vic, dalla Croa­zia, e soprat­tutto dalla regione occupata-liberata dalle mili­zie, furono costretti a fug­gire non meno di 250mila civili serbi i cui ante­nati vive­vano paci­fi­ca­mente nella cosid­detta Kra­jina da almeno quat­tro secoli. La «libe­ra­zione» (puli­zia etnica) della Kra­jina fu l’inizio di una siste­ma­tica distru­zione delle case abban­do­nate dai serbi (ne furono incen­diate circa tren­ta­mila), di occu­pa­zione delle altre abi­ta­zioni da parte di croati arri­vati da Bosnia-Erzegovina e Dal­ma­zia con lo scopo di colo­niz­zare e croa­tiz­zare etni­ca­mente quelle terre. Solo nei primi mesi di «pace», in pre­senza delle truppe di Tud­j­man nella Kra­jina furono uccisi circa tre­mila vec­chi e donne delle poche decine di migliaia che, spe­rando nel futuro, non si erano dati alla fuga. Per que­sti cri­mini furono pro­ces­sati all’Aja tre gene­rali croati, poi com­ple­tante assolti in appello. E il pro­cu­ra­tore Carla Del Ponte, pro­prio poco dopo la morte di Fra­njo Tud­j­man nel 1999 scrisse nelle sue memo­rie che pur­troppo aveva da tempo pronta l’incriminazione con­tro di lui per «cri­mini di guerra»; insomma l’incriminazione non è mai arri­vata. La con­clu­sione della «Tem­pe­sta», infine, diede ini­zio a un’ondata d’odio con­tro tutto ciò che in Croa­zia non è croato, soprat­tutto con­tro l’etnia serba. A venti anni esatti dalla fine di quella guerra, cele­bra­zioni per due giorni e in pompa magna della «Gior­nata della Vit­to­ria», con sfi­late e ban­diere anche di paesi Nato — che col­la­borò all’avvio della «Tem­pe­sta» bom­bar­dando in segreto i ripe­ti­tori di Knin — come quella bri­tan­nica insieme a quella pro­vo­ca­to­ria dell’Albania. Ora la Croa­zia fa parte dell’Alleanza atlan­tica. Ma come si deduce dai discorsi e da dichia­ra­zioni uffi­ciali dei lea­der di Bel­grado e Zaga­bria, l’ondata dell’odio etnico, dell’ipernazionalismo, non solo non è ces­sata ma va gon­fian­dosi, dif­fon­dendo mia­smi e veleni. Sfi­lano i vete­rani neou­sta­scia Un esem­pio da Fiume, la più paci­fica città della Croa­zia finora. Il Tea­tro del Popolo del capo­luogo del Quar­nero ha invi­tato cin­que donne di nazio­na­lità diversa, vit­time della guerra, a nar­rare davanti a un pub­blico nume­roso le agghiac­cianti peri­pe­zie vis­sute, i ter­ri­bili fatti acca­duti nei giorni della «Tempesta». Cin­que donne con un pas­sato estre­ma­mente dif­fi­cile da ricor­dare e da rac­con­tare, dovuto alla Guerra cosid­detta patriot­tica. Ebbene, prima ancora che comin­ciasse que­sto incontro-confessione al Tea­tro attra­verso sto­rie di vita e drammi fami­liari che hanno com­mosso oltre due­mila spet­ta­tori, un cor­teo di alcune cen­ti­naia di vete­rani com­bat­tenti della «guerra patriot­tica» ha attra­ver­sato il cen­tro della città e, sotto, il ves­sillo dell’Associazione dei Volon­tari di quella guerra , ha orga­niz­zato mani­fe­sta­zioni di odio nazionalistico. Ha scritto il quo­ti­diano di Fiume in lin­gua ita­liana La Voce del Popolo: «Ricor­dava uno squa­drone fasci­sta», rivol­ge­vano parole d’odio con­tro il sovrain­ten­dente del Tea­tro e con­tro il sin­daco di Fiume, inneg­giando allo Stato usta­scia di Ante Pave­lic con canti e saluti nazi­sti, e sven­to­lando ves­silli del regime qui­sling fasci­sta croato del 1941–1945. Suc­ces­si­va­mente un gruppo di neou­sta­scia ha rag­giunto il Tea­tro, cer­cando di pene­trarvi con la forza e aggre­dire con bastoni il pub­blico, ma è stato bloc­cato dalla polizia. In con­clu­sione, le parole di una delle donne testi­moni della Tem­pe­sta, una croata allora per­se­gui­tata per avere spo­sato un serbo di Kra­jina. Par­torì il primo figlio, oggi stu­dente uni­ver­si­ta­rio ven­tenne, sulla strada della fuga. Ter­mi­nando la testi­mo­nianza ha citato le parole del Nobel jugo­slavo per la let­te­ra­tura Ivo Andric: «Non distrug­gete i ponti, forse un giorno desi­de­re­rete di tornare». Lei è tor­nata in Croa­zia, suo figlio con­ti­nua a vivere a Pan­cevo, in Ser­bia, l’unica terra che conosce.

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