elezioni in Francia – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Wed, 01 Feb 2017 08:29:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Varoufakis e DiEM25 con Benoît Hamon https://www.micciacorta.it/2017/02/22932/ https://www.micciacorta.it/2017/02/22932/#respond Wed, 01 Feb 2017 08:29:11 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22932 Verso l'Eliseo. Reddito di cittadinanza, passaporto umanitario per i rifugiati, la candidatura di Hamon rappresenta al meglio i valori progressisti e democratici

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Verso l'Eliseo. Con la richiesta di un reddito di cittadinanza universale, la proposta di un passaporto umanitario per i rifugiati e la volontà di rendere più trasparente e rappresentativo il parlamento francese, la sua candidatura rappresenta al meglio i valori progressisti e democratici Qualche anno fa, in un confronto televisivo con altri progressisti francesi, Benoît Hamon ha spiegato con poche e chiare parole la radice dei problemi dell’Europa: «I governi (dell’Unione Europea) cambiano – ha detto – ma non le loro politiche». Da allora, l’ex ministro socialista dell’Educazione ha cominciato a sviluppare delle proposte per portare la seconda economia dell’Europa, e l’intero progetto europeo, su un piano diverso rispetto alla distruttiva spirale socioeconomica in cui si sono incagliate. Con la richiesta di un reddito di cittadinanza universale, la proposta di un passaporto umanitario per i rifugiati e la volontà di rendere più trasparente e rappresentativo il parlamento francese, la candidatura di Benoît rappresenta al meglio i valori progressisti e democratici che sono alla base del Movimento per la democrazia in Europa 2025 (DiEM25). Come un numero sempre crescente di progressisti europei, anche la candidatura di Benoît adotta il concetto di «disobbedienza costruttiva» lanciato da DiEM25 come uno strumento per provocare svolte positive a Parigi e a Bruxelles. Qualche settimana fa, a Parigi, ho avuto un confronto aperto e sincero con Benoît. Come DiEM25 vogliamo infatti continuare a vagliare in dettaglio le sue proposte progressiste (ad esempio, sono convinto che l’idea di Benoît di un reddito universale possa beneficiare delle nostre proposte di un dividendo universale). Sono rimasto favorevolmente colpito da questa nostra chiacchierata, e dalla volontà di Benoît di unire le forze e diventare una punta di diamante del nostro sforzo per costruire un’Internazionale Progressista che salvi l’Europa da se stessa. I media spesso ricordano l’ammirazione e il rispetto di Benoît per Muhammad Alì – il poster del leggendario campione e attivista che campeggia nel suo ufficio. Trovo questa similitudine molto appropriata sia per l’attuale panorama politico sia per le chance di Benoît di diventare il prossimo presidente della Francia. Buona fortuna Benoît! E come diceva Alì: «Impossibile non è un dato di fatto, è un’opinione. Impossibile non è una regola, è una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre. Niente è impossibile». SEGUI SUL MANIFESTO

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Il cuore nero della Francia https://www.micciacorta.it/2015/12/il-cuore-nero-della-francia/ https://www.micciacorta.it/2015/12/il-cuore-nero-della-francia/#respond Tue, 08 Dec 2015 08:59:00 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20954 L'avanzata del Front National. L’Europa deve combattere i «fascismi» del XXI secolo

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Perché siamo a questo punto? Incidono in primo luogo cause sociali ed economiche: l’abbandono delle classi popolari, del proletariato operaio, delle banlieue metropolitane da parte della sinistra socialista, che anche in Francia ha fatto proprie le ragioni della post-democrazia neoliberale. Con le sue devastanti conseguenze: precarietà e disoccupazione, deflazione salariale e riduzione delle tutele sociali, aumento delle disuguaglianze e accentramento oligarchico dei poteri. Il tradimento del blocco sociale da parte della principale forza della sinistra è stato (sin dalla fine degli anni Novanta) tutta acqua al mulino della destra fascista, a suo modo capace di porsi come forza sociale. Quando chiama il «popolo» a rivoltarsi «contro le élites», Marine Le Pen si appropria di un tema storico della sinistra, del movimento operaio, delle battaglie per l’emancipazione del lavoro e per la giustizia sociale. Il problema è che può farlo impunemente, conquistando proseliti, perché non c’è più nessuno che da sinistra credibilmente faccia appello a lotte sociali in difesa delle classi meno abbienti. Influisce in secondo luogo il problema della sicurezza. Gli attentati stragisti di quest’anno non hanno soltanto posto in primo piano il tema della paura, che la destra è in condizione di strumentalizzare al meglio suggerendo ricette securitarie semplici, sbrigative e radicali. Hanno altresì risvegliato umori radicati della pancia del paese. La Francia profonda è in buona parte reazionaria e sanfedista: nazionalista, imperialista, xenofoba e antisemita. La vicenda militare della seconda guerra mondiale, il ruolo svolto da De Gaulle nella coalizione dei nemici del Terzo Reich, ha fatto dimenticare la storia turpe del collaborazionismo e della zelante partecipazione della Francia di Vichy alla Shoah. E il fatto che a cavallo tra Otto e Novecento la Francia era il paese più profondamente pervaso da furori razzisti, in particolare antisemiti. Ma la storia ha la testa dura e questa pancia è sempre rimasta gravida, benché abbia saputo abilmente nascondersi e dissimularsi. Oggi, dopo otto anni di crisi sociale e sotto l’incalzare delle bande armate dell’Isis, questo cuore nero si esprime senza reticenza, forte dell’inconsistenza della politica e della cultura democratica, e legittimato dall’unanime richiesta di risposte efficaci alla crisi economica e alla minaccia islamista. Di qui il discorso si allarga al di là dei confini nazionali e non consente semplificazioni. Il tema è europeo sul piano sociale-economico: ovunque in Europa l’austerity alimenta disperazione e panico, seminando sfiducia nella politica e sospingendo le masse popolari verso posizioni protestatarie, populiste, estremiste. Ed è europeo in relazione all’«emergenza terrorismo», in cui viviamo da una quindicina d’anni. Senza con ciò indulgere a riduzionismi deterministici – senza cancellare la responsabilità dei terroristi e dei loro imprenditori politici e religiosi – è impossibile negare il cortocircuito tra escalation terrorista e guerre «democratiche» in Medio Oriente, Asia centrale, Corno d’Africa: guerre le cui salde radici geopolitiche lasciano facilmente prevedere che il caos odierno (fatto di guerra, balcanizzazione e terrorismo) si manterrà a lungo stabile. Insomma, l’agenda delle classi dirigenti europee non cambierà, né sul piano economico, né su quello geopolitico. Mutamenti reali comporterebbero prezzi non compatibili in termini di riduzione dei profitti per il capitale privato e di concessioni al nuovo Impero del Male nel grande gioco subentrato alla guerra fredda. Anche in Francia tutto lascia presagire che, ad onta dello shock elettorale, nulla cambierà. Così torniamo alla facile previsione di Marine Le Pen in merito ai futuri successi del Fn. L’avanzata della destra neofascista, razzista e xenofoba francese non si fermerà. Potranno verificarsi episodiche battute d’arresto. Potranno funzionare, al ballottaggio di domenica prossima, la desistenza e l’union sacrée delle forze «repubblicane». Ma difficilmente si invertirà la tendenza che in questi tre anni ha visto il Fn espandere a ritmi vorticosi la propria influenza sulla scena politica francese. E ormai non si può escludere nemmeno che si realizzi l’incubo della conquista dell’Eliseo da parte dell’erede di Jean-Marie Le Pen nel 2017. Lo abbiano o meno messo in conto, il prezzo della diabolica coerenza delle leadership occidentali è la fascistizzazione delle nostre società – strisciante (a suon di leggi speciali, stati d’eccezione, grandi fratelli) o esplicita, come si profila in Francia. E attenzione: quando si dice fascistizzazione si usa una metafora: che cosa sarebbe (o sarà) il fascismo del XXI secolo e quali conseguenze e contraccolpi genererebbe non lo sa nessuno, nemmeno i suoi portavoce, in apparenza così sicuri di sé. Insomma si scherza col fuoco. Le nostre «classi dirigenti» non lo capiscono o forse sono soltanto inadeguate. Matteo Renzi ha senz’altro ragione nel dire che «se l’Europa non cambia, rischia di diventare la migliore alleata di Marine Le Pen». Ma anche questa sembra soltanto una frase ad effetto, che nasconde un’intenzione opposta a quella apparente. Proprio Renzi incarna, sia sul piano economico-sociale, sia in politica estera, la continuità che finge di deprecare, tant’è che non resiste alla tentazione di approfittare del voto francese per uno spot celebrativo delle sue «riforme». Sono piccole furbizie che dimostrano soltanto irresponsabilità: il fatto che non si è capito quanto la partita sia diventata maledettamente seria e pericolosa.

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“Senza orizzonti né classi sociali la gauche muore” https://www.micciacorta.it/2015/04/senza-orizzonti-ne-classi-sociali-la-gauche-muore/ https://www.micciacorta.it/2015/04/senza-orizzonti-ne-classi-sociali-la-gauche-muore/#respond Wed, 01 Apr 2015 08:55:11 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=19135 Dopo la sconfitta alle regionali parla il sociologo Alain Touraine

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PARIGI. «LA sinistra può morire. Come qualsiasi essere vivente, non è eterna». La profezia di Alain Touraine, dall’alto dei suoi quasi novant’anni e dei numerosi saggi sulle società post-industriali, non lascia molta scelta: prepariamoci a scrivere un epitaffio oppure a pubblicare un nuovo certificato di nascita. «La gauche è in agonia, fuori tempo e fuori dal mondo. Non potrà resistere a lungo» spiega il sociologo francese all’indomani dell’ennesima sconfitta del partito socialista al potere.
«La sinistra – spiega Touraine – non riesce a reinventarsi in un’epoca post-sociale, in cui i rapporti di forza non sono più basati, come un secolo fa, sulla produzione. Non ha più una classe sociale di riferimento, alla quale corrispondono valori, ideali, rapporti di forza. Non è più portatrice di un orizzonte, di una speranza».
Già nel 1979 lei pubblicava un saggio dal titolo Mort d’une gauche . Quante sinistre sono morte da allora?
«Nel ventunesimo secolo tutti i partiti politici faticano a riposizionarsi all’interno di un’architettura della società che è crollata. È una situazione simile a quella che si è verificata alla fine dell’Ottocento, quando le formazioni politiche uscite dalla Rivoluzione faticavano a dare una risposta davanti alle nuove realtà industriali dell’epoca. Per il partito socialista la perdita di identità è più forte perché non ha saputo rinnovare la concezione dello Stato. Nonostante tutte le presunte svolte, da François Mitterrand in poi, non c’è stata una ridefinizione di quale debba essere il ruolo dello Stato e dunque della nazione in un mondo globale».
Gli elettori ormai votano più per rabbia che per convinzione?
«C’è una radicalizzazione degli estremi, sia a sinistra che a destra. Il Front de Gauche di Mélenchon non è poi tanto diverso dal Front National di Marine Le Pen. Entrambi sono il sintomo di una rottura del popolo con l’élite politica che sembra impotente. Sono quasi tre anni che François Hollande è al potere e ancora non ho sentito una proposta concreta per rispondere alla crisi. L’unica strategia è aspettare la ripresa. Negli ultimi mesi, ci siamo trovati a discutere di cose grottesche come l’apertura domenicale dei negozi o i privilegi dei notai. Non è così che si creano 500mila posti di lavoro. Hollande ha proposto un patto con le imprese, alle quali ha regalato oltre 40 miliardi di euro in sconti fiscali, ma loro non hanno creato posti di lavoro. Anche gli imprenditori continuano a perdere tempo, probabilmente aspettano che torni al potere la destra, dalla quale si sentono più garantiti».
La gauche al potere ha tradito il suo elettorato?
«Il capitalismo finanziario ha sostituito il capitalismo industriale. È un dato di fatto. Non possiamo chiedere alla sinistra di governare come nel 1936 quando c’era il Front Populaire. Mélenchon è un velleitario, ha una linea del “né né”, né con Hollande né con Sarkozy. Con chi allora? Dietro ai suoi proclami, c’è solo il vuoto. E intanto gli operai votano per il Front National, mentre Mélenchon seduce solo qualche professore. Il partito socialista si è sottoposto, come tutte le forze di governo della nostra epoca, al dogma finanziario e materialista, ma ha un problema in più: deve conciliare un individualismo al plurale, facendo per esempio convivere i diritti economici strettamente personali, con valori e diritti universali, in una visione collettivista che è nel suo Dna».
Hollande ha sbagliato a seguire la dottrina europea dell’austerità?
«Ma di quale austerità parliamo? Il bilancio dello Stato francese è in deficit da trent’anni. Oggi c’è una sola parola che dovrebbe contare: competitività. La sinistra ha rinunciato a fare una vera politica di risanamento. Ha scelto di non scegliere. Tutti i paesi europei attraversano le stesse difficoltà, l’unica differenza è su chi far ricadere il peso della crisi. La Terza Via di Tony Blair è stato un progetto reazionario, ha portato a compimento la deindustrializzazione del paese, sviluppando un’economia solo finanziaria, e riducendo i salari. Gerhard Schröder ha invece puntato sull’industria ma ha creato dei minijob che sono pagati meno del salario minimo francese. In Francia, come in Italia, abbiamo scelto di far pagare il prezzo della crisi alle classi popolari con la disoccupazione. Sono entrambi strategie perdenti».
Quindi ci troviamo in un’impasse?
«Sarò brutale, ma nella situazione attuale l’unico modo di rilanciare l’occupazione è avere un bilancio dello Stato in equilibrio. Oggi non ci sono margini. Lo Stato non può contribuire alla crescita con investimenti pubblici. È costretto a chiedere aiuto al patronato, che ovviamente resta nel vago. Da anni la Francia non progredisce perché non può agire sull’economia prima di aver risanato i conti pubblici. La spesa dello Stato pesa per oltre metà del Pil, abbiamo il record mondiale. Per fortuna c’è l’Europa che ci costringe a mantenere un minimo di realismo».
Il partito socialista è sull’orlo dell’implosione?
«Siamo in un momento cruciale. Mi ha impressionato in negativo il discorso di Manuel Valls dopo la sconfitta. In sostanza ha detto: va tutto male, la disoccupazione non scende, le tasse sono troppe, ma continuiamo così. È un messaggio piuttosto scoraggiante per un francese medio. Forse da parte del premier è una prova di sincerità. Forse è davvero convinto che bisogna solo aspettare che il vento della ripresa soffi anche sulla Francia. Ma tra due mesi ci sarà il congresso del partito socialista e la resa dei conti tra le varie correnti è già cominciata. I dissidenti si preparano a un attacco mortale contro un governo che sembra già esausto, senza nulla da offrire. Hollande e Valls devono vincere l’apatia. Se non ci sarà un vero chiarimento, allora serviremo su un piatto d’argento la vittoria a Nicolas Sarkozy nel 2017».

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