Estella – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 20 Apr 2021 09:17:32 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Teresa Noce, una rivoluzionaria professionale ostinata e libera https://www.micciacorta.it/2021/04/teresa-noce-una-rivoluzionaria-professionale-ostinata-e-libera/ https://www.micciacorta.it/2021/04/teresa-noce-una-rivoluzionaria-professionale-ostinata-e-libera/#respond Tue, 20 Apr 2021 09:13:44 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26390 Un ritratto a partire dal libro della storica Anna Tonelli, «Nome di battaglia Estella» pubblicato da Le Monnier. Nata nel 1900 nella Torino proletaria e operaia, la lotta di classe e il senso di giustizia contro sfruttamento e oppressione saranno con lei fino alla fine

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PASSATO PRESENTE. Un ritratto a partire dal libro della storica Anna Tonelli, «Nome di battaglia Estella» pubblicato da Le Monnier. Nata nel 1900 nella Torino proletaria e operaia, la lotta di classe e il senso di giustizia contro sfruttamento e oppressione saranno con lei fino alla fine. Staffetta, emissaria, giornalista, deportata, dirigente di partito e madre costituente, ha raccontato il Novecento attraverso documenti, libri e romanzi. «Rivoluzionaria professionale», la sua autobiografia edita nel 1974, percorre una vita straordinaria Camilla Cederna l’ha definita «una specie di straordinaria moderna Odissea». E chiunque abbia avuto occasione di leggere Rivoluzionaria professionale, l’autobiografia di Teresa Noce – edita per la prima volta nel 1974 e di cui l’ultima riedizione è del 2016 per Red Star Press -, potrà facilmente convenire sulla intensità di una esistenza che ha attraversato il Novecento e che ne ha saputo raccontare le nervature, politiche, storiche ma anche sentimentali e di intrecci. Della intransigenza indocile di una protagonista di tale rilievo, si è scritto molto e la stessa Teresa Noce ci ha consegnato testi, discorsi, romanzi e documenti che testimoniano e descrivono la temperie di un secolo nel suo portato di libertà femminile e convinta militanza, senza reticenze sulle contraddizioni. L’ESPERIENZA del comunismo, quando ventunenne prende la tessera – in seguito alla scissione livornese – del partito comunista d’Italia, vive in lei nel senso primigenio alla lotta di classe i cui bagliori si intravvedono già nei suoi lavori, come sarta apprendista, poi in una fabbrica di biscotti, dunque al tornio della Fiat Brevetti. Eppure la possiamo avvertire ancor prima, nella bambina precocemente ostinata e curiosa di conoscenza che cammina per le strade di Torino diretta a comprare i giornali per la propria madre, mentre si siede in una panchina e comincia a leggere i primi nomi del mondo intuendo di non essere sola. Proletario, operaio e sindacale, è un mondo che domanda, in quei primi anni del secolo scorso, giustizia e libertà. Camere del lavoro, leghe, i primi scioperi e moti del pane con il fascismo alle porte, lotte che contrassegnano la sua vita fin da ragazzina ancora lontana dalla guerra civile spagnola cui prenderà parte o dalla scuola leninista moscovita e ancora il massimo oltraggio della deportazione; la partigiana, madre costituente, deputata, dirigente di partito sempre al fianco delle lavoratrici, delle operaie, in particolare le tessili, è in quella giovanissima età una pretesa di riconoscimento inemendabile, per tutti e tutte. ANCORA NON IMMAGINA cosa significhino strategie politiche complesse nella lunga strada della clandestinità o dentro la dirigenza di un partito ma in fabbrica protesta già per difendere le proprie compagne – molestate dai padroni. Lei che poi rientra a casa e l’acqua le si ghiaccia dentro il secchio, orfana di madre a 17 anni, un fratello aviatore che muore in guerra un anno dopo e un padre che non c’è mai stato. Legge silenziosa e studia avidamente nel pianerottolo dove la luce resiste più che nelle varie soffitte in cui è vissuta e da cui l’hanno sfrattata, ripetute volte. Emerge la rivolta rabbiosa di chi ha conosciuto l’esatto orlo della miseria e ha inteso sopravvivere con tutte le energie a disposizione, non si è mai rifugiata in altri mondi perché ha sempre saputo che è in questo unico e reale che bisogna giocarsi la scommessa vera. A MENO DI DIECI ANNI la scabbia è un ricordo lontano, non può più andare a scuola e comincia a consegnare il pane per contribuire al sostentamento della propria famiglia, si nutre delle croste che avanzano e intanto contratta con un bancarelliere l’affitto di due libri a settimana invece di uno solo. Ha una tale fame di amore e giustizia, quella bambina, da rimanerle attaccata anche da adulta, eppure possiede un profilo talmente complesso di imprese che ha fatto bene la storica Anna Tonelli a indicarne la complementarietà in un interessante e piccolo libro che la presenta, nella ricostruzione bibliografica e delle fonti. Nome di battaglia Estella. Teresa Noce, una donna comunista nel Novecento (Le Monnier, pp. 155, euro 13) è infatti diviso in due parti; Tonelli – docente di Storia contemporanea e dei partiti e dei movimenti politici all’università di Urbino – compone un testo che percorre i due rilievi di pubblico e privato, stimolando anche il desiderio di procurarsi ogni cosa scritta da Noce, diffonderne la parabola, poterne discutere ancora la voce e le parole per comprendere quanto sia di gran lunga più generativo il comunismo quando risiede nelle mani di una donna. Nella prima parte si descrivono dunque le fasi principali della sua vita pubblica, mentre avanza l’offensiva fascista e comincia per Teresa Noce e per altri la lunga strada della clandestinità. Staffetta, giornalista, emissaria, organizzatrice, consigliera, agitatrice, dirigente, Tonelli ne sintetizza ruoli e luoghi, dalla prima esperienza con Luigi Longo nella redazione di Avanguardia (poi La voce) a quella carceraria a San Vittore, la prima di altre detenzioni. Sono anni tumultuosi, dalla clandestinità necessaria alla «traduzione di un ideale politico, economico ed esistenziale» che per lei è stata la scuola leninista moscovita. Eppure mai abbandona l’osservazione e l’interlocuzione delle operaie, come accade infatti con le tessili di Ramenskoye. FRANCIA, ITALIA POI SPAGNA accanto alle Brigate internazionali, gli anni Trenta sono andirivieni di impegno vivido per il partito e per la resistenza. Del resto, già quando sostiene lo sciopero delle mondine (del 1931 nel vercellese e novarese), Teresa è Estella, l’anonimato per proseguire spostamenti e il suo antifascismo, e anche «Madonna tempesta», per segnalare il suo carattere poco avvezzo ai compromessi. È un punto, questo della sua inclinazione al «dire di no», da sempre, che Tonelli tiene a precisare come costante puntellando le scelte autonome e il prezzo pagato anche interno al partito, fino alla vicenda personale con Luigi Longo, suo marito – almeno legalmente visto che il matrimonio si era sfaldato anni prima – fino al 1953, quando quest’ultimo ottiene l’annullamento a San Marino senza consultarla; Noce lo apprende mentre è alla Camera del Lavoro di Milano – impegnata nella stesura della legge sulla parità salariale tra uomo e donna – da un trafiletto del Corriere della Sera. Tonelli insiste sul punto perché la Teresa «pubblica» e quella «privata» sono molto più porose di quanto si immagini. E chi ha letto la sua autobiografia lo sa, quanto le contraddizioni sortiscano un disincanto radicale talvolta insanabile, oltre che ammalante. A Noce, queste contraddizioni, hanno procurato anche l’estromissione dal Pci, indicativo l’aneddoto di lei che si rompe il menisco andando alla conferenza del Comitato centrale cui con tutta evidenza non voleva presenziare. E infatti torna indietro. Su quel ripudio da parte di Longo c’era intorno l’ostilità di molti dirigenti che fino a poco prima l’avevano non solo sostenuta ma lodata; basterebbe leggere ciò che le scrive Togliatti, dandole del voi e richiamandola all’ordine. Quando scrive a proposito di questa frattura, ne parla come di un dolore più grave della sua deportazione. La prima detenzione in un campo di internamento come prigioniera politica è a Rieucros. Nel 1943 viene arrestata nuovamente a Parigi dalla polizia francese, e trasferita al carcere femminile Petite Roquette, con disposizione della Gestapo viene deportata al forte di Romainville, arriva a Ravensbrück, viene in seguito internata anche a Holleischen. NE DÀ CONTO NEL ROMANZO del 1952, Ma domani farà giorno (riedito per Harpo nel 2019 a cura di Graziella Falconi) in cui tramite l’alter-ego di Giovanna Pinelli – amava la letteratura e la sua capacità di costruzione del sé e presa di parola – racconta la disumanizzazione subita, insieme ad altre, nei campi di morte fino alla liberazione. Dice però anche altro, cioè una vicinanza e un lavoro comune, per sabotare le armi dei nazisti, sì, e anche per non restare oppresse sia pure nello sprofondo della Storia, bisogna restarsi accanto. Anna Tonelli ne riconsegna la vicenda fino alla fine, ovvero il 22 gennaio 1980, splendono le parole attraverso i suoi incontri nelle scuole, dalle lettere ricevute da lettori compagni e compagne che non l’hanno mai abbandonata. Rivoluzionaria, è in quanto donna consapevole di se stessa e per le donne che ha lottato con più passione. Comunista e libera, che mai si è pensata sola o separata dagli ultimi della terra. * Fonte: Alessandra Pigliaru, il manifesto

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