giunta militare – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Tue, 12 Jul 2016 09:31:15 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Pablo Diaz sopravvissuto alla repressione della dittatura argentina: «Il destino mi ha scelto e io non l’ho tradito» https://www.micciacorta.it/2016/04/21738/ https://www.micciacorta.it/2016/04/21738/#respond Wed, 27 Apr 2016 15:51:00 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21738 Argentina. Intervista a Pablo Diaz. Con altri studenti venne sequestrato nel 1976. Unico a salvarsi oggi ricorda i suoi compagni

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desaperecidos

argentina-desaparecidos Lopez, Maria Claudia, Claudio, Horacio Angel, Daniel, Maria Clara, Pablo… Avevano tutti fra i 16 e i 18 anni i 6 ragazzi sequestrati in Argentina il 16 settembre del 1976. Nomi destinati a far parte dei 30.000 scomparsi provocati dalla giunta militare, che aveva preso il potere il 24 marzo di quello stesso anno. Uno, però, si è salvato e ha reso onore alla memoria dei compagni scomparsi. Si tratta di Pablo Diaz, diciottenne della gioventù guevarista, prelevato da casa sua il 21 settembre e condotto insieme agli altri in uno dei luoghi segreti di tortura. Lì agiva il personale addestrato alla Scuola delle Americhe, fucina dei dittatori sudamericani voluti dalla Cia. L’operazione contro gli studenti aveva il nome in codice di “La notte dei lapis”, rimasta nel ricordo popolare come “la notte delle matite spezzate”. Lo stesso titolo che il regista Hector Olivera ha dato al suo film del 1986. La notte dei lapis è invece il titolo del libro di Maria Seoane e Hector Ruiz Nunez, ispirato alla vicenda e pubblicato da Portatori d’acqua per la cura di Alessandra Riccio e con la prefazione di Goffredo Fofi. Oggi, il film verrà proiettato a Brescia al Cinema Nuovo Eden, nell’ambito della rassegna cinematografica Al cuore dei conflitti, promossa da Lab 80 e Federazione Italiana Cineforum (Fic). Domani, libro e film saranno a Bergamo alla Fiera dei Librai (19,30 e 21). Pablo Diaz, che ha accompagnato le tappe della rassegna, ha accettato di rispondere alle domande del manifesto. Una domanda percorre il libro, la domanda di tutti i sopravvissuti: perché io? A distanza di tutti questi anni, qual è stata la sua risposta? Chi l’ha tirata fuori da quell’inferno? Senza dubbio, ogni sopravvissuto ha il suo carico da portare. Però ci sono due strade parallele che scorrono in me. Una vuole sapere perché mi è arrivato quel salvacondotto all’ultimo momento che mi ha evitato di essere ucciso come i miei compagni, e l’altra è personale, intima: il destino ci doveva dare la possibilità di preservarci dall’oblìo… ha scelto me e io non ho tradito. Però, certo, mi chiedo perché. Penso che abbia pesato la ricerca incessante dei miei genitori per arrivare a chi avesse il potere di decidere della vita e della morte. Sono arrivati fino al vescovo di La Plata, perché erano una famiglia molto cattolica. Il vescovo disse a mio padre che il colonnello dell’esercito che andava a confessarsi da lui, gli aveva garantito che non mi avrebbero ucciso, ma che avevo bisogno di un periodo di “recupero ideologico” a causa delle mie idee… Inoltre, secondo mia madre, mio padre si liberò di molti dei nostri beni per pagare in denaro sonante quel colonnello. Cosa ricorda della sua prigionia nel campo di tortura? Tutto. Ho conservato nella memoria le prove per ognuno dei processi contro i repressori. Per me, ogni dettaglio è una testimonianza, una deposizione. In che contesto si è situato il suo sequestro? Come valuta le scelte di allora? Il momento storico in cui sono stato giovane io è stato un periodo di grandi sconvolgimenti mondiali: dal Maggio francese, alla rivoluzione cubana, passando per il Vietnam e il Cile di Allende e poi del colpo di stato… Era il tempo dell’immaginazione al potere. Negli anni ’70, la possibilità di prendere il potere per modificare la società capitalista era qualcosa di possibile, si trattava solo di decidere il luogo e le modalità dello scontro. La gioventù o l’adolescenza significava assumersi la responsabilità di essere attori reali della crescita di coscienza dei lavoratori e dei poveri e del loro cammino verso il potere. Un obiettivo permeato dal romanticismo degli ideali umanisti in cui si cela l’amore per il prossimo. Su 234 adolescenti fra i 14 e i 18 anni, scomparsi durante la dittatura, quasi tutti hanno lasciato una poesia o un racconto in cui la parola “ti voglio bene” o “ti amo” è coniugata al desiderio di cambiare la realtà del popolo o a quello che il povero smetta di soffrire per la sua condizione di povero. Noi, studenti adolescenti eravamo il pensiero critico, senza dubbio la nostra militanza attiva implicava il risveglio di possibili lotte politiche, sindacali o sociali. La dittatura ci identificò come potenziali sovversivi o guerriglieri… una follia fondamentalista o una possibile verità. Non sapremo mai quale sarebbe stato il nostro destino… Dopo aver riconquistato la libertà, lei ha deciso di partire come volontario durante la guerra delle Malvinas, con la quale la giunta militare cercò di evitare il declino, il 2 aprile del 1982. Perché? E qual è la sua opinione sulle Malvinas oggi che l’America latina bolivariana appoggia la rivendicazione argentina contro l’Inghilterra? Sono stato liberato dopo aver trascorso cinque anni in una prigione per detenuti politici. Nell’82 ho deciso di andare volontario alla guerra delle Malvinas. So che molti si sorprendono per questa mia decisione, però vedevo che ci andavano ragazzi di 18 anni e ho pensato di farlo per la causa. Non appoggiavo la dittatura, ma il significato simbolico di quella guerra e la possibilità di conquistare l’integrazione dell’isola alla nostra patria. Oggi, i tanti morti giovanissimi si aggiungono al sentimento grande della perdita. Continuo a sostenere la rivendicazione, ma non la guerra come possibilità di acquisire l’isola alla nostra sovranità. Che pensa della svolta neoliberista realizzata da Macri oggi? Vedo che ogni governo neoliberista divorzia dagli attori sociali. Il lavoro o l’assistenza ai settori meno favoriti non sono priorità per le grandi corporazione del mercato, non si agisce per incorporare alla classe media i settori più poveri, anzi, molti di classe media ricadono in povertà a causa della svalutazione del loro potere d’acquisto. Temo che l’assottigliamento dello Stato come protettore dei lavoratori e dei poveri, considerato l’aggiustamento ideologico della spesa pubblica, voluto dall’Fmi, porti alla violenza sociale. Ritengo, tuttavia, che il neoliberismo abbia imparato la lezione: avendo ottenuto il potere con mezzi democratici, conquistando il voto dei cittadini, deve salvare una parvenza di stato sociale. Un’attitudine che potrebbe sorprendere i settori popolari. Il governo Macri, si nutre quindi di parametri nuovi. Inoltre, anche i movimenti popolari non sono stati esenti dalla corruzione al proprio interno o non hanno saputo liberarsene per tempo. A un certo punto si è voluto difendere l’indifendibile rispetto ad alcuni attori sociali. O meglio, aver tardato a fare autocritica rispetto agli atti di corruzione ha prodotto una separazione con certi settori di classe media che assumono la bandiera dell’onestà (tralasciamo se in buona fede o strumentalmente). Il governo popolare, in una certa maniera, non ha protetto adeguatamente le forme di assistenza sociale, e oggi ha lasciato queste pratiche esposte al giudizio interessato della giustizia opportunista di turno. Detto altrimenti, la giustizia in generale è al servizio del governo di turno, e logicamente i giudici o il partito dei giudici si sentono più tranquilli con il governo neoliberista che garantisce i loro interessi di mercato. E’ ovvio. Macri, che continua a licenziare lavoratori e impiegati, non ha una buona relazione con le Madri di Plaza de Mayo e con i difensori dei diritti umani che con i governi Kirchner hanno lavorato per il recupero della memoria e la ricerca dei desaparecidos. E ha anche messo in galera la deputata indigena, Milagro Sala. Pensa che il ritorno delle forze conservatrici possa azzerare i processi e il bilancio sugli anni della dittatura civico-militare? A rigore, la politica dei diritti umani non dovrebbe coincidere con la classe che governa oggi. Però, anche qui, ci sono delle sorprese dovute alle lezioni apprese di cui parlavo prima. Credo che chi governa farà di tutto per mantenere la forma. Non fermerà i processi ai repressori, o ai militari già anziani della dittatura. Manterrà una relazione cordiale con le Abuelas de Plaza de Mayo, rispettando il protocollo politico della presidente dell’associazione che ha come primo obiettivo la ricerca dei nipoti scomparsi, al di sopra delle convinzioni politiche. Dove invece il governo mostrerà contraddizioni sarà nella difesa della propria classe imprenditoriale: si useranno le dovute cautele per metterla al riparo dai processi che giudicano le complicità degli imprenditori con la dittatura. Su questo, vi saranno sicuramente discussioni interne all’esecutivo e vedremo cosa produrranno. Macri ha deciso indebitare il paese per pagare i fondi avvoltoio. Cosa può succedere ora? L’Argentina, o meglio, la sua classe media, diventa irascibile quando le si tocca lo stomaco, la possibilità di divertirsi, di viaggiare, di consumare…Per ora, l’esito delle politiche economiche di Macri appare incerto. E la pace sociale dipende dalla possibilità di inclusione che porti beneficio alla maggioranza della popolazione. Se riesce a far questo, governerà per anni. Altrimenti, Dio (per dirla in modo popolare) o la gente, deciderà il finale.

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Sono passati 40 anni. Nunca más, Argentina https://www.micciacorta.it/2016/03/passati-40-anni-nunca-mas-argentina/ https://www.micciacorta.it/2016/03/passati-40-anni-nunca-mas-argentina/#respond Thu, 24 Mar 2016 09:55:26 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=21573 Complici dei militari nel 1976, gli Stati uniti oggi corrono a sostenere il nuovo governo di destra. Con quella che Madri e Abuelas di Plaza de Mayo definiscono una «provocazione»: un presidente Usa al Parco della Memoria nell’anniversario del golpe

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vittime della dittatura argentina

Sono passati 40 anni da quando una giunta militare, senza sparare un colpo, s’insediò nella Casa Rosada, sede del governo argentino. Un inizio in sordina per quella che sarebbe diventata la più sanguinaria dittatura della sua storia. Un golpe programmato da tempo si materializzò il 24 marzo 1976 senza bombardare il palazzo né riempire gli stadi con prigionieri politici, come aveva fatto Pinochet in Cile. Allora alcuni si sono illusi immaginando che Jorge Videla fosse quasi un moderato. Ma dopo i primi giorni operai, delegati sindacali, studenti, avvocati, persone che avevano anche un minimo impegno sociale cominciarono ad essere prelevate dalle loro case da squadre in borghese che si dileguavano nel nulla. Dopo il sequestro si perdeva ogni traccia, non si avrebbero avuto più notizie di loro. Erano scomparsi, desaparecidos. Per non attizzare la coscienza internazionale, i militari non si facevano vedere armati, evitavano le sparatorie e le pattuglie che eseguivano perquisizioni e arresti, agivano di notte con macchine senza targa. Di giorno invece si diffondeva l’immagine di un governo moderato, non si parlava di dittatura, ma di Proceso de reorganización nacional, un processo per riportare l’ordine nel Paese. I militari curavano la loro immagine e amavano essere ripresi insieme alla curia o in Chiesa mentre pregavano. Intanto la gente spariva, i familiari che si rivolgevano alle istituzioni non avevano nessuna risposta mentre le carceri e i commissariati di polizia erano pressoché vuoti. La verità arrivò dall’immenso estuario del Río de la Plata dopo poche settimane, quando sulla riva cominciarono ad apparire dei cadaveri mutilati, le prime prove dei voli della morte. Non tutti i militari erano cosi silenziosi, il generale Iberico Saint-Jean, allora governatore della provincia di Buenos Aires, dichiarava al giornale francese Le Monde: «Prima uccideremo tutti i sovversivi; poi uccideremo i loro collaboratori; poi i loro simpatizzanti; poi chi rimarrà indifferente, e infine gli indecisi». Era il 1976 e il progetto era chiaro, ma i governi europei erano distratti, «non sapevamo nulla» diranno molti anni dopo. Piegare l’indifferenza non fu facile, solo grazie al costante lavoro delle organizzazioni dei diritti umani, come le Madres de Plaza de Mayo, le Abuelas e le associazioni di familiari delle vittime, la storia di quegli anni è stata riscritta.

Molte cause arrivate a sentenza

Dopo il ritorno della democrazia le menzogne dei militari sono state svelate una a una attraverso la voce di migliaia di testimoni e la scoperta dei luoghi dell’orrore, i campi di concentramento, le fossi comuni, i resti di prigionieri gettati vivi in mezzo al mare. Poi arrivarono i governi Kirchner, prima Néstor e poi Cristina, che hanno collocato i diritti umani al centro delle loro politiche. Secondo loro lo stato aveva il dovere di chiarire la storia di quegli anni e il loro lemma diventò: Memoria, verità e giustizia. Nel 2003 si derogavano le leggi di Punto final (1986) e di Obediencia debida (1987) norme che impedivano i processi. Di conseguenza si riaprirono le cause contro i genocidi. Da allora, molte sono le cause che sono arrivate a sentenza e altre ancora sono tuttora in corso. Con il nuovo governo di Maurizio Macri molte delle conquiste acquisite stano cadendo una dietro l’altra. Si va avanti a forza di decreti annullando diritti e spianando la strada al pieno ritorno del neoliberismo. Estela Carlotto, presidenta delle Abuelas de Plaza de Mayo ha dichiarato: «Non siamo state sconfitte dalla dittatura, non lo saremo ora», mettendo sullo stesso piano l’attuale governo e il regime. Coloro che da più di un decennio hanno seguito con grande interesse le esperienze in atto in America Latina sono rimasti sorpresi dagli eventi che si sono scatenati dopo la vittoria di Macri. L’Argentina, che il 10 settembre 2015 era riuscita ad ottenere un importante successo contro i fondi speculativi internazionali alle Nazioni Unite (136 a favore; 41 astensioni e solo 6 contro) ora ha aperto le negoziazioni con i fondi avvoltoi cedendo su tutto. I Principi fondamentali della ristrutturazione del debito sovrano che erano stati approvati a Washington e ratificati dal Parlamento locale sono diventati lettera morta.

E ora arrivano per primi

Cosa accade in America Latina? Sembra che Barack Obama voglia aggiornare la dottrina Monroe «America per gli americani». Si parte da Cuba, dove è stato ricevuto con gli onori del presidente che dovrebbe rompere con l’embargo e dare inizio a un processo di sdoganamento che nessuno è in grado di prevedere come si concluderà. Le vittime non sono d’accordo con questa visita e nessuno prenderà parte all’evento. Le Madri di Piazza di Maggio, i Familiari deidesaparecidos, le Abuelas e il premio Nobel per la pace Pérez Esquivel, hanno voluto sottolineare la complicità degli Stati uniti.Obama arriva in Argentina proprio nei giorni in cui ricorre il 40° anniversario del colpo di Stato. All’ultimo momento il presidente Usa ha deciso di recarsi al Parco della Memoria per rendere omaggio ai desaparecidos, ma per le organizzazioni dei diritti umani la visita è una provocazione. Gli Stati uniti hanno promosso tutti i colpi di Stato nella regione e ora arrivano per primi a sostenere il nuovo governo di destra. La novità dell’imperialismo del XXI secolo è che per questa grande offensiva contro i governi progressisti della regione non sono più necessari i generali. Ora il premio Nobel per la Pace Barack Obama arriva insieme a un esercito di 500 imprenditori. Tutto anticipato da veri e propri colpi di mercato, minacce dei fondi finanziari, della magistratura locale e di quella degli Stati uniti, grandi gruppi mediatici ecc. che contribuiscono a destabilizzare i governi e influire pesantemente sulle urne. La possibilità di concepire un’alternativa al modello neoliberista, il laboratorio latinoamericano costruito a partire dal rifiuto dell’Alca (l’Accordo di libero commercio proposto da George Bush nel 2005) sembra in fase di veloce scioglimento. In Brasile, dopo i due mandati di Luiz Inácio Lula da Silva e quello in corso di Dilma Rousseff il pericolo che le elezioni del 2018 fossero di nuovo vinte da Lula ha scatenato una guerra mediatica senza esclusione di colpi. A questa offensiva si è aggiunta la magistratura che farà di tutto per distruggere la grande popolarità di Lula. Rispecchiando quanto succede in Brasile, anche i giornali argentini hanno cominciato ad annunciare l’arrivo di una valanga di processi per corruzione contro l’ex presidenta Cristina Fernández de Kirchner. Ma le destre non avranno vita facile, in questo 40° anniversario del golpe quel Nunca más avrà il sapore di un nuovo inizio.

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