giunta Raggi – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Thu, 26 Jul 2018 08:57:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 La giunta Raggi sfratta la Casa internazionale delle donne https://www.micciacorta.it/2018/07/la-giunta-raggi-sfratta-la-casa-internazionale-delle-donne/ https://www.micciacorta.it/2018/07/la-giunta-raggi-sfratta-la-casa-internazionale-delle-donne/#respond Thu, 26 Jul 2018 08:57:23 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24700  Ieri l’annuncio della revoca della convenzione con scadenza nel 2021. 60 giorni di tempo per impugnare la decisione. «Ci opporremo con tutte le forze»

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La notizia è giunta ieri nel pomeriggio: il Comune di Roma revoca la convenzione alla Casa internazionale delle Donne. Il direttivo di via della Lungara è stato convocato appunto ieri nella sede dell’assessorato al patrimonio alla presenza delle assessore Laura Baldassarre, Rosalba Castiglione e Flavia Marzano, che hanno annunciato quanto stabilito alla presidente Francesca Koch, Lia Migale, Giulia Rodano, Maria Brighi e Loretta Bondì. Attendevano da mesi, insieme alle migliaia che si sono mobilitate in sostegno della Casa, la risposta relativa alla memoria presentata a gennaio sulla riduzione del debito (833mila euro) richiesto con insistenza dal Comune che tuttavia non teneva conto dei servizi offerti, delle spese ordinarie e straordinarie sostenute dalla Casa. A niente sono valse le trattative intercorse in questi mesi, poi bruscamente interrotte grazie anche alla mozione firmata da Gemma Guerrini, consigliera e presidente della Commissione delle elette, presente anche lei ieri per notiziare a proposito della revoca della convenzione. Non sono valse a niente neppure la pazienza, il tentativo di mediazione, la presa in carico di una responsabilità economica di saldare la morosità trovando un punto di incontro sensato. Così come a niente è servita la disponibilità espressa, nei mesi delle (finte) trattative, alla partecipazione a progetti che potessero consolidare il rapporto che dal 1992 la Casa ha con Roma Capitale che l’ha riconosciuta tra le sue opere. Servizi, spese vive sostenute, sia ordinarie che straordinarie, anche supplendo carenze delle istituzioni, sono tutte questioni che alla giunta 5stelle non interessano. Dunque memoria respinta in nome di una strada, che è quella della burocrazia, lasciando da parte, sempre, quella della politica. Ma è davvero così? Non si tratta di un «semplice» sfratto dai locali del Buon Pastore, la vicenda è ancora più grave di così proprio perché il merito è tutto politico. Si tratta dell’azzeramento, e conseguente appropriazione, di una esperienza attraverso cui il progetto della Casa è sorto, trasformandosi negli anni. Mettere a bando i servizi, rilanciare su ipotetici centri di coordinamento antiviolenza, non tiene conto del significato sotteso alla Casa. Sociale, culturale ma anzitutto politico. Ed è in quest’ultimo punto che la giunta 5stelle vuole intervenire, agendo in maniera dissennata e non tenendo conto di quante e quanti dalle piazze alle università, dall’Italia e dal resto del mondo, firmano petizioni, fanno appelli, manifestazioni, chiedono di essere ascoltati e ascoltate, sottoscrivono affinché possano mostrare sostegno pubblico e concreto a un progetto che è uno dei fiori all’occhiello di Roma e non solo. Non si può che rispondere a tutto questa violenta e unilaterale presa di posizione con una secca e ferma mobilitazione che non arretri di una virgola sul guadagno di libertà che risiede in luoghi come la Casa internazionale delle donne. In un comunicato stampa diffuso ieri, le esponenti del direttivo presenti alla riunione, dicono infatti che faranno «opposizione a tutto campo. Non possiamo – proseguono – non rilevare che l’annuncio della revoca della Convenzione avviene alla vigilia di agosto, nella peggiore tradizione di ogni vertenza pubblica e privata nel nostro paese. La Casa Internazionale delle donne e tutte le attività e servizi che al Buon Pastore vengono erogati rischiano la chiusura a causa di questo ulteriore incomprensibile attacco della giunta Capitolina al femminismo e alla vita associata a Roma; noi abbiamo proposto una transazione che chiuda definitivamente la questione del debito; grazie al grande sostegno che abbiamo ricevuto con la Chiamata alle arti e con la grande mobilitazione in Campidoglio del 21 maggio, c’è a Roma e nel paese la consapevolezza di quanto negativo e grave sarebbe scrivere la parola fine alla esperienza della Casa Internazionale delle donne. Ci sentiamo per questo di chiedere a tutte e a tutti di sostenerci, di continuare la campagna di solidarietà e anche di sottoscrivere». Sembra incredibile ma una volta di più la giunta Raggi stupisce per totale mancanza di presa sulla realtà. E per sordità, prima di tutto politica. * Fonte: Alessandra Pigliaru , IL MANIFESTO

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Via dedicata a Giorgio Almirante, l’ignoranza della storia genera mostri https://www.micciacorta.it/2018/06/via-dedicata-a-giorgio-almirante-lignoranza-della-storia-genera-mostri/ https://www.micciacorta.it/2018/06/via-dedicata-a-giorgio-almirante-lignoranza-della-storia-genera-mostri/#respond Sat, 16 Jun 2018 09:02:09 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24602 Campidoglio. Gli eletti 5Stelle di Roma votano una mozione di Fratelli d'Italia. Possibile che nessuno di loro abbia un vago sentore di chi sia stato Giorgio Almirante?

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Le lezioni dell’ultima vaudeville pentastellata si possono ridurre ad una: l’ignoranza della storia genera mostri. E alla voce “ignoranza” attribuisco due diversi significati. Uno «debole», elementare: non avere conoscenza del passato. Una ignoranza basica rispetto ai fatti del passato, remoto o prossimo remoto o prossimo. E un significato “forte”, ossia sapere ma non tenerne conto. In altri termini la storia, per essere “maestra”, pretende non soltanto di essere conosciuta, ma si aspetta che noi si impari da lei, ovvero pretende che tutto quanto precede il nostro presente venga conosciuto e tenuto in conto da chi non soltanto aspiri a vivere il proprio tempo, ma ambisca a interagire con esso, ad operare per migliorarlo, magari, o addirittura per rovesciare le sue coordinate se appaiano inique. E questo dovrebbe essere non un’opzione, bensì un preciso dovere di quanti scelgano la strada della politica, ossia decidano di mettersi al servizio della collettività, come recitano i manifesti di tutti i candidati ad ogni tornata elettorale. In questo lunghissimo crepuscolo italiano, il Movimento 5 Stelle, tra la falsa democrazia della Rete, il ducismo del fondatore, le ambizioni dei tanti homines novi che si affacciano alle stanze e stanzine dei bottoni, continua, imperterrito, anche nella sua variabile geografia interna, a dare la prova della ignoranza dei suoi dirigenti, che altro non sono che lo specchio della massa dei militanti. Ignoranza della storia nei due significati che ho indicato prima. Possibile che nessuno tra coloro che occupano i seggi in Campidoglio, con la casacca M5S, abbia un vago sentore di chi sia stato Giorgio Almirante? Possibile che la quasi unanimità abbia votato senza batter ciglio una mozione dei neofascisti di Fratelli d’Italia (e lasciatemi chiamare le cose col loro nome, altro che “postfascisti”: questi sono veri fascisti, sia pure “del terzo millennio”, quindi la dizione corretta è “neofascisti”) per l’intitolazione al sullodato Almirante di una strada della Capitale? Dobbiamo ogni volta fare un ripassino di storia? Oppure sanno che costui è stato un fucilatore di partigiani, segretario di redazione dell’infamissimo foglio La difesa della razza? È più probabile che molti, forse non tutti, sappiano, ma che abbiano votato in nome del secondo tipo di ignoranza, ossia ritenendo che il passato è passato, e che un po’ di pacificazione, con una targa stradale, possa servire alla collettività, ovvero hanno opinato, come tante volte abbiamo sentito dire dagli ideologi del Movimento, a partire da Gianroberto Casaleggio, che la distinzione destra/sinistra appartiene al passato (anche Matteo Renzi, peraltro, la pensa così salvo riscoprire l’antifascismo e l’egualitarismo, sia pure “temperato”, quando si è trovato messo all’angolo). In questa scelta, non escludo vi siano anche ragioni di oscura opportunità politica, magari per avere un bonus da parte della destra in relazione alla recentissima inchiesta della magistratura che ha messo nei guai qualche pezzo grosso del movimento. Che poi la sindaca Raggi scopra in un programma tv, in diretta, che il consiglio comunale romano ha votato la mozione della destra, e dichiari al furbo conduttore (l’immarcescibile Bruno Vespa) che lei non ha nulla da obiettare, perché «il Consiglio è sovrano»), salvo poi, poche ore più tardi, uscirsene con una intemerata di antifascismo duro e puro, e che il suo gruppo consiliare cambi radicalmente linea, presentando una mozione in cui si dichiara che mai Roma dedicherà una via a chi si è macchiato di crimini eccetera, appartiene al genere commedia degli equivoci, dove però il finale, quale che sia, non fa ridere nessuno. Mentre suscita una gran pena. FONTE: Angelo d'Orsi, IL MANIFESTO photo: Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2462943

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A Roma l’ipocrisia della «legalità» contro la Casa internazionale delle donne https://www.micciacorta.it/2018/05/a-roma-lipocrisia-della-legalita-contro-la-casa-internazionale-delle-donne/ https://www.micciacorta.it/2018/05/a-roma-lipocrisia-della-legalita-contro-la-casa-internazionale-delle-donne/#respond Thu, 24 May 2018 09:16:51 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24530 Roma e non solo. L’autonomia di queste imprese politico-culturali dalla governance delle istituzioni e dei mercati va difesa a oltranza

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In tutta Italia, dopo gli sgomberi dei sindaci è sempre seguito un deserto di iniziative che a stento ha nascosto un vero e proprio furto proprietario L’attacco sferrato dalla giunta pentastellata di Roma contro la Casa internazionale delle donne è il segnale inequivocabile di che cosa ci dobbiamo attendere: una guerra senza quartiere contro ogni forma di autogestione e autorganizzazione. Questo si cela dietro la bandiera della «legalità» che costituisce il collante più forte tra le due forze politiche che si accingono a governare il paese. Non è un caso che il capitolo dedicato all’ordine pubblico, alla repressione, all’inasprimento delle pene e allo smantellamento di ogni cultura garantista rappresenti la parte più concreta e dettagliata del contratto di governo. IL PRIMO PASSO consiste nel ricondurre alla categoria burocratico-amministrativa di «servizi alla cittadinanza» esperienze e pratiche politiche che non si limitano a soddisfare in forma sussidiaria una domanda esistente, ma creano e alimentano desideri e potenzialità fino a quel momento inespresse. E per farlo non possono che forzare il quadro delle procedure legali stabilite. Non vi è, insomma, «bando» adeguato a svolgere una simile funzione che solo la storia materiale dei movimenti è in grado di generare incidendo per via diretta sui rapporti sociali dati. Non è certo compilando moduli e stilando preventivi «convenienti» che si possono introdurre nuove forme della politica e della socialità. IL SECONDO PASSO, in piena sintonia con l’ortodossia liberista, consiste nel sottomettere al calcolo costi/benefici e dunque al mercato quella produzione di relazioni e ricchezze extraeconomiche che, per definizione, gli si dovrebbero sottrarre. Il tema degli «sprechi» accomuna singolarmente le vecchie vestali dell’austerità e i nuovi moralizzatori della vita pubblica. Due elementi sottendono questo processo di normalizzazione. Il primo consiste nell’evidente volontà di canalizzare e controllare attraverso precise procedure di partecipazione decise dall’alto bisogni e conflittualità che attraversano il corpo sociale, in una versione caricaturale della democrazia diretta on e off line. Il secondo elemento è rappresentato da una sorta di formalismo giuridico, privato però del rigore logico e delle aspirazioni universalistiche che gli sono proprie, e consegnato paradossalmente a quell’arbitrio ideologico dal quale la «dottrina pura del diritto» aveva la pretesa di difenderci. In buona sostanza ogni elemento di trasformazione sociale finisce sottoposto a una politica dirigista che ben si accompagna con la ritrovata passione per lo stato nazionale. Tutto quello che ricade al di fuori di questi criteri in quanto prodotto da una storia di culture, conflitti e autonomie estranee alle trafile burocratico-amministrative è dichiarato illegale, nemico, da cancellare. Bisognava pur aspettarsi che le minacce ripetutamente rivolte alle realtà occupate e autogestite presto sarebbero state estese, nelle parole e nei fatti, anche a chi si era conquistato una qualche patente di riconoscimento politico e istituzionale. Gli sgomberi, nei quali le amministrazioni del Pd da Roma a Bologna non hanno mancato di mettersi in luce (salvo la vigliaccheria dei sindaci che non sapevano, non volevano o non potevano farci nulla) sono la conseguenza pratica e militare dell’ideologia «legalitaristica» e delle regole di mercato che la ispirano. AGLI SGOMBERI NON SEGUE altro che il ritorno al silenzio e all’abbandono dei luoghi che gli occupanti avevano fatto rivivere e aperto alla città. Due soli esempi, tra tanti possibili, per restare nella capitale: il teatro Valle e il cinema America. Tra finte trattative, false promesse, fantasmatici progetti di restauro e riqualificazione, gli sgomberi non sono stati altro, possiamo ben dirlo a distanza di anni, che la riaffermazione astratta del principio di proprietà libero da ogni riferimento all’utilità sociale o anche solo al semplice valore d’uso. Da queste vicende converrebbe trarre qualche insegnamento. Gli spazi autogestiti devono essere difesi materialmente e in prima persona perché rappresentano un punto di rottura tra logiche confliggenti. Quella di una storia politica autonoma generatrice di idee e relazioni proprie e quella dei «servizi» messi a bando, o della concessione amministrativa, come se si trattasse di lucrosi stabilimenti balneari. Per la medesima ragione conduce a sicura disfatta il carosello dei distinguo, la competizione sui meriti culturali e sulla rispettiva utilità sociale, alla rincorsa di una amnistia normalizzatrice. Laddove la difesa del proprio prevale su quella del comune principio di autorganizzazione. PER LORO NATURA QUESTE imprese politico-culturali devono sapersi però rinnovare, non certo nel senso di una razionalizzazione concordata tra governance e mercato, ma in quello di una riformulazione della propria autonomia attraverso il mutare dei contesti, riaffermando le ragioni di una rottura e di una diversità capaci di mettere in campo nuove idee e giovani energie. Con le ruspe è problematico discutere, ma non mancano gli strumenti per spaventare chi le guida e fargli cambiare strada. FONTE: Marco Bascetta, IL MANIFESTO

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Non solo Casa delle donne. Il benessere sociale nei luoghi occupati https://www.micciacorta.it/2018/05/24517/ https://www.micciacorta.it/2018/05/24517/#respond Wed, 23 May 2018 08:48:57 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=24517 Nella minaccia di sfratto alla Casa Internazionale delle Donne di Roma si gioca una partita che riguarda a pieno titolo il senso della città

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Nella minaccia di sfratto alla Casa Internazionale delle Donne di Roma si gioca una partita molto seria che rinvia a più grandi e generali ideali che riguarda a pieno titolo il senso della città, il senso del vivere insieme, la democrazia. L’amministrazione vorrebbe applicare, ai tanti e diversi immobili occupati a Roma, una tecnica nota con il nome di “Analisi Costi e Benefici”. Quanto costa l’occupazione di un immobile pubblico in termini di mancato introito per le casse comunali? Sull’altro piatto della bilancia ci sono i benefici (collettivi) che derivano da questa occupazione. Ora mentre i costi sono oggettivamente quantificabili (per esempio, in denaro), i benefici sono soggetti ad interpretazioni politiche, sociali e di altro genere e i cui effetti si misurano in tempi lunghi. Se per esempio assumiamo l’espressione « con la cultura non si mangia», la conseguenza, in termini di Costi e Benefici sarà semplice: non ci sono benefici collettivi a fronte del mancato reddito. Se, all’opposto, l’occupazione produce eventi culturali, manifestazioni collettive, cultura, musica, ovvero benessere sociale, convivialità, felicità collettiva, e queste cose sono considerate essenziali per la vita pubblica di una città, ecco che il risultato è completamente rovesciato e i costi (sotto forma di mancato reddito) sono irrilevanti rispetto al valore d’uso prodotto. Fin qui nulla di nuovo. Ma l’apparente neutralità di una amministrazione comunale che si trincera dietro il mancato guadagno che da quegli immobili potrebbe venire (cosa tutt’altro che scontata, vedi il caso delle sale cinematografiche chiuse), in realtà svela come la città è considerata essa stessa una merce. A partire da queste premesse è ovvio che il confronto tra amministratori della cosa pubblica e “occupanti” (a vario titolo) risulta un dialogo tra sordi. Già molti anni fa (1968) Lefebvre nel suo famoso libro, Il diritto alla città, affermava che i processi produttivi capitalistici trasformano l’opera umana (valore d’uso) in prodotto di serie, in mera merce (valore di scambio). E’ quello che chiamiamo processo di mercificazione, in cui prevalgono le logiche di mercato (F. Biagi, Spazio e politica). Le città finiscono allora per essere trasformate in smart cities, città globali, hub cities. Questo processo impoverisce la vita pubblica e le manifestazioni del vivere collettivo, così che molte persone si ribellano a tale logica formando comunità spontanee che preferiscono vivere in luoghi sottratti alla detta mercificazione per creare ambienti di vita autentica. La conseguente riduzione dello spazio pubblico ne è il risultato: le mostre, le manifestazioni artistiche e persino le feste, sono sempre più confinate in luoghi non facilmente accessibili alle persone (e in special modo ai più deboli) e la città, originariamente opera pubblica e collettiva, diventa sempre più privata mentre, al contrario, è resa “attraente” dalle archistar, dalle grandi opere e dagli eventi spettacolari. L’esatto opposto dell’esperimento realizzato da Nicolini nella famosa Estate Romana, che aveva trasformato la città in un luogo di festa accessibile a chiunque volesse partecipare. Ecco che l’ideale di Lefebvre, il diritto alla città, riacquista un valore attuale: di trasformazione e riappropriazione dello spazio di vita fruibile a tutti, ideale che si contrappone chiaramente a quello della mercificazione. E’ questo lo sguardo con il quale si deve guardare alla Casa Internazionale delle Donne (e non solo) che nel tempo ha liberato uno spazio per discutere, incontrare, produrre convivenza, convivialità, socialità, come ben sa chi si è affacciato anche una sola volta in quell’edificio sottratto alla speculazione del mercato da oltre trent’anni. La logica miope e ragionieristica degli amministratori è penetrata anche nelle scuole, nelle università, nei trasporti, nella sanità. Ci sono servizi e istituzioni che “costano troppo e non ci possiamo permettere” è il mantra del nuovo linguaggio liberista. Ma il gioco non è a somma zero: sul piatto della bilancia c’è la felicità e il benessere delle persone e il senso di città. Infine, l’istanza legalitaria di cui si fanno vanto i cinquestelle e la sindaca Raggi ha prodotto fino ad ora il degrado dei manufatti occupati e “liberati”, così come dimostrano i tanti cinema chiusi a Roma in attesa di bando pubblico. FONTE: Enzo Scandurra, IL MANIFESTO

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Roma, emergenza abitativa. 200 famiglie «invadono» l’assessorato https://www.micciacorta.it/2017/10/roma-emergenza-abitativa-200-famiglie-invadono-lassessorato/ https://www.micciacorta.it/2017/10/roma-emergenza-abitativa-200-famiglie-invadono-lassessorato/#respond Tue, 24 Oct 2017 06:59:44 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23833 Movimenti e sindacati chiedono un confronto. Sempre irrisolto il nodo «rifugiati»: la ricetta della sindaca Raggi sembra ricalcare quella del ministro dell'Interno Minniti

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Una scena simbolica non da poco: duecento famiglie di diversi quartieri popolari di Roma hanno invaso ieri l’assessorato patrimonio e alla casa del Comune, un pezzo della giunta grillina che arrivò in Campidoglio proprio spinta dai voti delle periferie dimenticate. «Il degrado, l’abbandono e la cattiva gestione del patrimonio pubblico non sono colpa degli inquilini»: hanno detto chiedendo un tavolo di confronto sulla gestione delle case. Con loro c’era Asia, l’associazione di inquilini e assegnatari della federazione Usb. Hanno chiesto di incontrare l’assessore Rosalba Castiglione, che giusto una settimana fa aveva relazionato sul tema dell’emergenza abitativa in consiglio comunale, lasciando largamente insoddisfatti i movimenti per il diritto all’abitare e i sindacati degli inquilini, presenti in aula e protagonisti di una rumorosa contestazione. La reazione di Castiglione, ancora ieri, è stata gelida. Al telefono, trasmessa in viva voce, ha negato ogni dialogo e intimato lo sgombero degli uffici. A quel punto, i cittadini si sono rivolti a Virginia Raggi. E il vice-capo gabinetto della sindaca ha mediato con l’assessora, fissando un incontro per il prossimo 8 novembre. L’emergenza casa è sempre stata occasione di business. Nelle settimane scorse, l’amministrazione ha diffuso un bando, che si chiuderà a giorni, scritto apposta per reperire 800 alloggi destinati ai casi più gravi di emergenza abitativa. Parrebbe una buona notizia, soltanto che la giunta ha aperto alla possibilità di affittare le case a prezzo di mercato, lanciando una sponda inattesa ai costruttori e ai grandi proprietari che in questi anni hanno costruito a dismisura case poi rimaste inutilizzate. Allo stesso modo, Castiglione ha puntato tutta la sua dichiarazione d’intenti sul «ripristino della legalità», agitando casi clamorosi di abusivismo e occupazioni di abitazioni popolari da parte di cittadini benestanti senza offrire una possibilità di soluzione alle migliaia di romani in attesa di alloggio. «Questa amministrazione continua a parlare di passate giunte per scrollarsi dalle responsabilità a cui è chiamata, ma alle quali non riesce a far fronte – ha spiegato Guido Lanciani dopo l’ultima assemblea capitolina segretario romano dell’Unione inquilini – Abbiamo delle idee immediatamente praticabili per superare la precarietà abitativa, ma un confronto sembra impossibile». Insomma, pare che sulla questione la giunta grillina si limiti a ratificare le linee guida impartite dal ministro dell’interno Marco Minniti e poi pubblicamente apprezzate da Virginia Raggi all’indomani dello sgombero dei rifugiati eritrei di piazza Indipendenza. È passato quasi un mese da quegli eventi e l’elenco dei palazzi occupati da rifugiare con priorità continua a circolare, ricalcato sulla lista definita nella delibera stilata dall’ex commissario straordinario Francesco Paolo Tronca, che entrò in Campidoglio all’indomani della caduta di Ignazio Marino. Uno dei posti a rischio è al centro di un’insistente campagna a mezzo stampa che ne chiede lo sgombero. Si trova in via Carlo Felice 69, a due passi da piazza San Giovanni. Vi abitano 40 nuclei familiari, tra di essi anche in questo caso diversi eritrei, e dalle vetrine che affacciano sulla strada si scorgono le attività del centro sociale Sans Papiers, attivo ormai da tredici anni. Il palazzo è della Banca d’Italia, vorrebbero sgomberarlo perché «pericolante». Solo che, denunciano gli occupanti, nessuna perizia certifica questa condizione. «All’indomani del terremoto del 2016, vennero a fare un controllo i vigili del fuoco – spiegano al manifesto – In quell’occasione dissero che il palazzo non si trovava in condizioni pessime e addirittura si complimentarono per alcuni lavori che avevamo fatto nei sotterranei». Da posti come questo, situati dentro le mura storiche dai quali si vorrebbero espellere i poveri, passa l’attuazione della dottrina Minniti-Raggi. FONTE: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO

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Virginia Raggi contro gli occupanti e i movimenti, che protestano https://www.micciacorta.it/2017/08/raggi-niente-casa-agli-abusivi-protestano-gli-occupanti/ https://www.micciacorta.it/2017/08/raggi-niente-casa-agli-abusivi-protestano-gli-occupanti/#respond Thu, 31 Aug 2017 08:22:09 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23687 Roma. La sindaca, contestata dai movimenti, promette tolleranza zero. Il Comune esclude le «frange estreme»: «Vogliono solo scavalcare chi è in graduatoria»

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Il nuovo fronte sociale della giunta romana è quello della casa. Ieri Virginia Raggi è stata duramente contestata dagli occupanti dei movimenti cittadini che da mesi chiedono che il comune adoperi i fondi per le case stanziati dalla delibera regionale strappata dopo anni di lotte. Raggi, reduce da un vertice in prefettura, ha sostanzialmente ribadito quanto annunciato da un post su Facebook, prontamente rilanciato dal blog di Grillo: spenderanno i primi 30 milioni di euro provenienti dalla Regione, ma non ha intenzione di dare spazio a quelli che lei definisce «abusivi». «Dobbiamo dare priorità alle persone che aspettano la casa e sono in graduatoria da decenni», ribadisce Raggi. Che fine faranno tutti quelli che stanno per strada dopo gli ultimi sgomberi? «Abbiamo offerto aiuto per le fragilità, ma è stato più volte rifiutato», dice Raggi, delegando agli assistenti sociali una vicenda tutta politica. Poi prosegue: «Parallelamente stiamo lavorando sul tema dell’emergenza abitativa, ma sia chiaro che il percorso non può deviare dal solco della legalità. Non possiamo creare guerre tra poveri». LA PARTITA SI GIOCA su due piani, intrecciati dal precipitare degli eventi ma formalmente distinti. Da una parte ci sono le emergenze legate agli sgomberi di quest’estate, ultimo e più clamoroso quello di via Curtatone. Dall’altra c’è una vertenza che va avanti da anni, censimenti e liste di attesa compilate da tempo e frutto delle trattative tra movimenti di lotta per la casa e istituzioni. Sebbene nei dispacci della sindaca si mescolino le ombre di Mafia Capitale con i riferimenti a oscure «frange estreme» di occupanti, bisogna sapere che chi ha contestato ieri Raggi costruisce da anni vere e proprie forme di welfare autogestito, che la giunta grillina rifiuta di riconoscere in quanto «illegali». La delibera al centro del conflitto definisce una cornice di interventi per il diritto alla casa e stabilisce che il 30% delle assegnazioni venga riservato agli occupanti. Si tratta, invece, di persone (almeno 10 mila, stando alle stime più prudenti) che tutto hanno fatto tranne che starsene in panciolle ad aspettare le chiavi di una casa popolare: vengono da anni di durezze e conflitti, lavori di autorecupero di stabili abbandonati e intervento sociale nei quartieri. Per di più pare che Raggi non abbia intenzione di impiegare i fondi regionali per riqualificare pezzi di città e destinarli ad abitazioni: c’è il rischio che si costruiscano nuovi ghetti in periferia o che si acquisisca l’invenduto dei signori del cemento capitolino. Il contrario di quanto aveva proposto Paolo Berdini, l’assessore all’urbanistica che nella scorsa primavera ha abbandonato la giunta in polemica con le scelte della sindaca.Ma per Raggi, questi sarebbero dei semplici abusivi che vogliono scavalcare onesti cittadini. IN SERATA è arrivato un durissimo comunicato della Federazione romana del sindacato di base Usb, che al principio aveva aperto delle linee di credito verso l’amministrazione targata Movimento 5 Stelle. «È sconcertante vedere una giunta che aveva saputo intercettare le aspettative di centinaia di migliaia di romani su un programma che prevedeva la salvaguardia del carattere pubblico delle aziende, il sostegno alle periferie, una forte attenzione al diritto alla casa, una politica di reale inclusione, produrre adesso questo autentico voltafaccia», si legge nel comunicato, che rilancia con maggiore vigore uno sciopero cittadino per il 29 settembre prossimo. Raggi, come se non bastasse, promette tolleranza zero contro le occupazioni. Si temono nuovi sgomberi, questa volta in concordia con il Viminale e le scorciatoie poliziesche delle norme varate da Marco Minniti con la scusa del «decoro». FONTE: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO

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La giunta Raggi continua gli sgomberi: tocca di nuovo al Rialto https://www.micciacorta.it/2017/05/la-giunta-raggi/ https://www.micciacorta.it/2017/05/la-giunta-raggi/#respond Wed, 10 May 2017 08:02:27 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23287 Beni Comuni. Lo storico immobile, casa di una serie di associazioni della capitale tra cui il Forum dei movimenti per l’acqua è stato murato.

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Le proteste delle associazioni in consiglio comunale. La giunta a Cinque Stelle ha pubblicato un bando "per associazioni che si occupano di beni comuni" il giorno prima dello sgombero. Un ordine del giorno che impegnava la giunta a rinunciare ai bandi per il patrimonio indisponibile è stato respinto A tre giorni dalla manifestazione «Roma non si vende»a cui hanno partecipato diecimila persone, la giunta Raggi ha provveduto a ri-sgomberare il Rialto Sant’Ambrogio, sede tra l’altro del coordinamento romano dell’acqua pubblica, la prima «stella» del movimento che fa capo a Beppe Grillo. I vigili hanno murato il palazzo che ospiterà, un giorno, gli uffici della Sovrintendenza capitaloni ai beni culturali. Coerente con le leggi mercatiste e meritocratiche dei Cinque stelle, un nuovo spazio è stato messo a bando fuori dal centro storico. Ad avviso dell’assessore al patrimonio e al bilancio Andrea Mazzillo le associazioni ospitate al Rialto potranno concorrere e nel caso aggiudicarselo. «Poi con il nuovo regolamento sulle concessioni si aprirà una fase di vera valorizzazione dei beni comuni nel rispetto delle regole» ha aggiunto Mazzillo. «Una scelta vergognosa – sostengono le associazioni del «Rialtoliberato» – pubblicare un simile bando il giorno prima del nuovo sgombero». La precisazione di Mazzillo è singolare dato che è stata proprio l’amministrazione a non rispettare le sue regole negli ultimi vent’anni, scaricando gli oneri su più di 800 associazioni che hanno ricevuto avvisi di sfratto e richieste di risarcimenti da centinaia e milioni di euro, pur avendo pagato regolarmente il canone sociale. La stessa Corte dei Conti ha chiarito tramite sentenza la giustezza delle assegnazioni del patrimonio indisponibile alle realtà sociali. La decisione ha provocato le proteste delle associazioni anche in consiglio comunale dove ieri si è discusso sul patrimonio. «Il regolamento presentato non ci sembra che vada nella direzione di risolvere la situazione – sostiene Stefano Fassina (Sinistra per Roma) – Bisogna revocare la delibera 140 e scrivere delle nuove norme a tutela e valorizzazione dei beni comuni. Bisognava evitare di chiudere uno spazio durante la transizione in corso. Cosa che non è avvenuta». L’assemblea capitolina ha respinto un ordine del giorno di Fassina che impegnava la giunta a evitare i bandi, adottando strumenti partecipativi per il patrimonio e la tutela del Welfare. SEGUI SUL MANIFESTO

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A Roma cortea di 10mila per una capitale della solidarietà https://www.micciacorta.it/2017/05/23279/ https://www.micciacorta.it/2017/05/23279/#respond Sun, 07 May 2017 06:43:40 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23279 Roma non si vende. Licenziati di Sky, precari Alitalia, esodati Almaviva e in testa ambulanti senegalesi

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Una burattina con grandi orecchie e la fascia tricolore sormonta il teatrino ambulante – grande quanto un cartello ma con quinte teatrali – e parla in falsetto con voce di burattinaio: «Romeo, Romeo, facciamo una polizza?». Dietro c’è la Compagnia Mangiafuoco, burattinai romani che quest’anno festeggiano quattro decenni di attività, «ma forse anche l’ultimo», visto che il Comune di Roma esige, pena lo sfratto, 55mila euro di adeguamento del canone a prezzi di mercato a partire dal 2010. Sono una delle circa 900 associazioni che si trovano in questa situazione, senza più canoni agevolati, senza nuovi bandi per accedervi, con gli esattori alle costole, e per il secondo anno consecutivo scendono in piazza contro la cosiddetta delibera Tronca, in nome della difesa dei Beni comuni e degli spazi sociali nella capitale. Le associazioni sotto sfratto, dall’asilo multietnico Cielo Azzurro – quest’ultimo ha recentemente vinto il ricorso al Tar ma ancora aspetta il bando nuovo, che la giunta Raggi tarda a indirre – al Teatro stabile del giallo sulla Cassia, sono solo una parte del vivace corteo che ieri pomeriggio ha sfilato da piazza Vittorio al Campidoglio con centri sociali, movimenti per il diritto all’abitare, immigrati, sindacati di base: oltre 10 mila persone secondo gli organizzatori, 4 mila secondo la polizia. A reggere lo striscione di testa – «Roma non si vende, Roma siamo noi» – gli ambulanti senegalesi nel nome di Nian Maguette, il venditore di borse di 54 anni morto mercoledì scorso durante un blitz «per il decoro» davanti all’isola Tiberina. Nelle stesse ore la Procura fa sapere che i primi risultati dell’autopsia sul corpo di Maguette, tramite Tac, escludono fratture e quindi percosse anche se oggi saranno compiuti altri esami. I suoi amici, parenti e colleghi di strada però continuano a chiedere «giustizia per Niam» e la fine dei rastrellamenti «anti abusivi» della squadra speciale dei vigili urbani. Il corteo della rete «Decide Roma» è forse meno affollato di quello dell’anno scorso, in compenso più rappresentativo delle mille realtà di base che organizzano il disagio sociale e le sparpagliate voci di chi non ha voce. Meno bandiere politiche, anche se non mancano le bandiere di Rifondazione e di Roma Bene Comune, e più associazioni delle periferie, comitati di inquilini sotto sfratto per morosità, coordinamenti di lavoratori precari o esodati autorganizzati . Come i 1.666 licenziati romani del call center Almaviva che hanno «resistito all’accordo truffa». Walter Ambrosecchio, portavoce dei 1.666 bolla come «ennesimo intervento legislativo inutile e maldestro» il recente tentativo del governo di regolamentare il telemarketing e critica i sindacati confederali «che non hanno limiti all’ansia di concertazione». Poco più avanti Giammarco Borriello, che porta uno striscione monoposto – «il precariato vi seppellirà» – rappresenta il comitato «Alitalia precari 60 mesi». «Sì, come il Parmigiano – spiega – ma la nostra è stagionatura umana: siamo gli esuberi fantasma, 1.500 lavoratori a terra di cui nessuno parla dopo che i confederali per tre volte hanno alzato, in deroga alla legge, la soglia per la nostra regolarizzazione obbligatoria a ridosso della scadenza. Noi a 58 mesi siamo 500, a casa da un anno e mezzo senza più rinnovi e senza alcun sostegno». All’altezza di metro Cavour, una banda di fiati e grancassa offre le note di «Don Raffaé» di De André, poi il corteo si conclude in via Fori imperiali dove inizia la manifestazione raccolta-fondi di Emergency, che parla di buskers e di ong che soccorrono l’Africa (anche oggi), e sembra quasi una continuità. SEGUI SUL MANIFESTO

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Sfratti e sgomberi a Roma, oggi si manifesta https://www.micciacorta.it/2017/05/23276/ https://www.micciacorta.it/2017/05/23276/#respond Sat, 06 May 2017 07:53:48 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23276 Beni comuni. Oggi la rete di associazioni e centri sociali scende in piazza contro il grande pasticcio sul patrimonio immobiliare. Ancora irrisolto dalla giunta Cinque Stelle della capitale, lasciando nel limbo 800 realtà associative

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Decide Roma, il coordinamento delle associazioni e centri sociali della Capitale sotto sfratto o sgombero, tornano a manifestare oggi da piazza Vittorio alle 15. A POCO PIÙ DI UN ANNO dalla prima manifestazione, quando al Campidoglio c’era ancora il Commissario Tronca e ventimila persone sfilarono nelle strade, il grande pasticcio sul patrimonio immobiliare non è stato ancora risolto dalla giunta Cinque Stelle di Virginia Raggi. Sit-in (l’ultimo proprio al Campidoglio), sgomberi e rioccupazioni (Rialto Occupato), una battente campagna di stampa e una serie di ricorsi alla magistratura hanno prodotto un primo risultato. L’11 APRILE SCORSO, una sentenza della Corte dei Conti ha smentito un suo procuratore e ha stabilito l’illegittimità delle richieste di risarcimento avanzate da Roma Capitale ai danni di oltre 800 spazi sociali e associativi, la spina dorsale di quel tessuto culturale, sociale, di cura e civile che rappresenta 40 anni di storia dei movimenti e dell’associazionismo romano. Le procedure burocratiche sono andate avanti come schiacciasassi, anche perché sui dirigenti capitolini incombeva la minaccia di sanzioni e condanne. In coincidenza del caso Affittopoli (immobili comunali affittati a poco nel centro storico) si è fatto di tutta l’erba un fascio. LA CORTE DEI CONTI ha stabilito che si doveva pagare il canone di mercato per l’intero periodo di usufrutto. La giunta Marino combinò altri guai con la delibera 140: mise a bando gli immobili, promettendo di tutelare le realtà sociali in un secondo momento. Quel momento non è mai arrivato. A quasi un anno dall’elezione, la giunta Raggi sembra un pugile suonato anche su questa partita. HA ADOTTATO un’altra delibera che stabilisce che le associazioni “morose” – quelle che non possono pagare i canoni folli – non potranno partecipare ai bandi che comunque si terranno. E qui la beffa è diventata truffa. Un paradosso diabolico, frutto della subalternità della politica a una malintesa ideologia della «legalità». Dopo una serie di incontri la giunta pentastellata sembra intenzionata a districare questa matassa, anche scrivendo un regolamento della delibera con le associazioni, ma è ancora incerta sul da farsi sugli sfratti. LA RETE “DECIDE ROMA” chiede un superamento del sistema dei bandi e l’adozione di un regolamento sui «beni comuni urbani», «un modello di autogestione del patrimonio pubblico da parte dei cittadini», ricorda un editoriale della free-press Ztl che oggi sarà diffusa nelle strade e sui mezzi pubblici. Sono un centinaio i comuni ad avere legittimato questi beni comuni che risponderebbero al principio della partecipazione evocato da M5S. Un principio che a Roma sembra un lontano ricordo. SEGUI SUL MANIFESTO

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Cinque denunciati per l’occupazione del Rialto a Roma https://www.micciacorta.it/2017/03/cinque-denunciati-loccupazione-del-rialto-roma/ https://www.micciacorta.it/2017/03/cinque-denunciati-loccupazione-del-rialto-roma/#respond Wed, 15 Mar 2017 08:12:33 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=23105 Beni comuni. Anche Eleonora Forenza, eurodeputata dell'Altra Europa, tra i denunciati per la rioccupazione del Rialto Sant'ambrogio.

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Roma.  Forenza: «Sugli spazi sotto sfratto decide la politica non la burocrazia» Sono cinque i denunciati per la rioccupazione del Rialto Sant’Ambrogio, avvenuta a Roma lo scorso 24 febbraio, dopo la chiusura da parte dei vigili su impulso delle procedure avviate dalla Corte dei Conti che oggi mettono a rischio più di 800 tra centri sociali e interculturali, teatri, presidi sanitari, onlus, associazioni di sostegno ai malati, organizzazioni di volontariato nella Capitale. Il Rialto è la sede del comitato nazionale per l’acqua pubblica e quel giorno, insieme alla rete Decide Roma, agli esponenti delle associazioni ospitate al portico d’Ottavia e della sinistra cittadina e nazionale (da Sandro Medici a Stefano Fassina di Sinistra Italiana e Paolo Ferrero di Rifondazione) il comitato lo ha riaperto. Dopo un incontro con l’assessore al bilancio Andrea Mazzillo è stata intavolata una trattativa per individuare una nuova sede per il Rialto che oggi ospita, tra l’altro, il circolo Gianni Bosio, l’Associazione per il rinnovamento della sinistra, il Forum ambientalista, Transform. Dopo la manifestazione di venerdì 10 marzo, organizzata da Decide Roma, la giunta Raggi sembra avere recepito alcune richieste del movimento: scrivere un regolamento sui «beni comuni urbani» in maniera partecipata. Su molti altri punti – a cominciare dallo strumento del bando e sugli sfratti in corso – ci sono ancora distanze. Sabato 18 marzo è previsto un incontro tra movimento e giunta. In questa partita complessa, dove a rischio è la vita sociale e culturale della Capitale, è inserito anche il Rialto.
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Eleonora Forenza, eurodeputata dell’Altra Europa
                Con altri quattro attivisti Eleonora Forenza, deputata europea dell’Altra Europa, ha ricevuto la notifica della denuncia. «Quel giorno ero al mio posto – racconta – con gli attivisti che si battono per il diritto all’acqua bene comune, che hanno vinto il referendum del 2011, e hanno restituito uno spazio come il Rialto alla città. Come ero al mio posto, tra chi lotta, nel giugno scorso all’occupazione simbolica del teatro Valle, uno spazio chiuso da quasi tre anni. Lì ho ricevuto una denuncia per resistenza e occupazione». Cos’è successo quel giorno? Dopo la riappropriazione del Rialto, peraltro senza che fossero tolti i sigilli, c’è stato un intervento delle forze dell’ordine che hanno impedito il passaggio delle persone. Ci hanno detto che non ci sarebbero state conseguenze, qualora l’incontro con l’assessore fosse andato a buon fine. Ora si è aperto un tavolo… Proprio grazie a quel gesto di riappropriazione da parte delle associazioni. Mi auguro che la negoziazione continui e possa allargarsi, contribuendo a risolvere la situazione degli spazi che sono sotto sfratto o sgombero. Aspettiamo i fatti e non solo le parole. La giunta sostiene di non potere intervenire sulle decisioni della Corte dei conti, se non entro certi limiti. Cosa ne pensa? La cosa che più mi stupisce è che un partito che ha quasi il 30 per cento dei consensi si trinceri dietro la burocrazia contro la quale sostiene di non potere fare nulla. Al Rialto l’assessore al bilancio Mazzillo lo ha ripetuto più volte. La politica deve invece prendere una decisione e trovare soluzioni. Il movimento 5 stelle sostiene di fare della partecipazione dei cittadini una bussola. In realtà, da quando è al governo a Roma, continuano sgomberi, chiusura di spazi e la limitazione della partecipazione attiva di donne e uomini. Tra molte difficoltà, la giunta Raggi sembra comunque intenzionata a intervenire. Non crede? Mi sembra che ci sia ancora un divario enorme tra le parole e i fatti. Continueremo a chiedere che i fatti vadano in direzione di una maggiore partecipazione. Fin’ora l’unico spazio a cui hanno dato via libera è la costruzione dello stadio della Roma. *** Scuola popolare di musica di Testaccio. Giovanna Marini: “Ci sgombereranno solo con la forza” SEGUI SUL MANIFESTO

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