Guido Buffarini Guidi – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Sat, 25 Mar 2023 08:33:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Strage delle Fosse Ardeatine, il revisionismo di Giorgia Meloni https://www.micciacorta.it/2023/03/strage-delle-fosse-ardeatine-il-revisionismo-di-giorgia-meloni/ https://www.micciacorta.it/2023/03/strage-delle-fosse-ardeatine-il-revisionismo-di-giorgia-meloni/#respond Sat, 25 Mar 2023 08:33:58 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=26610 Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944, ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. L’hanno ucciso perché era ebreo

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Giorgio Leone Blumstein era nato nel 1895 a Leopoli, città dell’Ucraina. È morto il 24 marzo 1944, ammazzato alle Fosse Ardeatine. Non l’hanno ucciso perché era italiano. Non era italiano. L’hanno ucciso perché era ebreo. Blumstein non è un caso isolato. Gli stranieri uccisi alle Fosse Ardeatine sono una dozzina. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni (così vuole essere chiamata) vanta giustamente la sua origine alla Garbatella, quartiere popolare di Roma. La Garbatella è direttamente contigua alle Fosse Ardeatine. Chi è cresciuto lì non può non aver sentito parlare di che cosa è successo. Le sue sorprendenti parole non sono frutto di ignoranza ma di inconfessata e tracotante vergogna. Non fu ucciso perché era italiano neanche il generale Simone Simoni, cacciato da Mussolini perché si era permesso di dubitare dell’inevitabile vittoria delle armate nazifasciste. Non fu ucciso perché era italiano Celestino Frasca, colpevole soltanto di essersi trovato vicino via Rasella dopo l’azione partigiana. Non fu ucciso perché era italiano Bruno Bucci, colpevole di avere nascosto sotto il letto una copia di un giornale antifascista. Non è stato ucciso perché era italiano Pilo Albertelli, professore di filosofia, colpevole di avere combattuto anche con le armi contro i tedeschi occupanti e i loro servitori fascisti. Come scrisse a suo tempo Vittorio Foa, sono stati uccisi per quello che erano, per dove si trovavano, per quello che avevano fatto: «Si uccidevano gli ebrei perché erano ebrei, non per quello che pensavano e facevano; si uccidevano gli antifascisti per quello che pensavano e facevano; si uccidevano uomini che non c’entravano per niente solo perché erano dei numeri da completare per eseguire l’ordine». In tribunale, Herbert Kappler, che aveva diretto il massacro, spiegò che secondo lui includere gli ebrei era stata una buona idea perché «se non avessi messo gli ebrei avrei dovuto aggiungere altre persone la cui colpevolezza era meno chiara»: in altre parole, gli ebrei erano colpevoli per definizione; gli altri (italiani o meno) no. Infatti il comunicato tedesco affisso dopo la strage spiegava perché li avevano uccisi: non perché erano italiani ma perché ai loro occhi erano tutti «comunisti badogliani». Quando l’italiano Guido Buffarini Guidi, ministro degli interni di quella che si era chiamata Repubblica sociale italiana, consegna ai nazisti la lista di una cinquantina di italiani da uccidere, non lo fa perché erano italiani. Lo fa precisamente perché, agli occhi del suo regime, erano tutto il contrario: nemici della patria, letteralmente «anti-italiani». Perché gli italiani non erano, non sono mai stati, una cosa sola. In un certo senso, questo tema degli «italiani vittime della barbarie tedesca», che risuona nei commenti odierni alla malaugurata uscita di Giorgia Meloni, rinvia a una narrazione della Resistenza, a lungo anche da parte antifascista, che ha cancellato le divisioni fra gli italiani (tanto che quando Claudio Pavone ricominciò a parlare di guerra civile molti furono come minimo disorientati). Raccontare la Resistenza come sollevamento unitario di tutto il popolo italiano contro l’invasione nazista, o l’invasione nazista come crimine contro gli italiani in quanto tali significa assumere il popolo, o adesso «la nazione», come un tutto unitario, indistinto. La guerra civile significa invece che «il popolo», «il paese», «la nazione» sono entità conflittuali e divise – e continuano ad esserlo. Quella di Giorgia Meloni è una reazione istintiva che maschera una sorta di afasia, ma che anche evoca l’ invereconda e ipocrita par condicio dell’anti-antifascismo contemporaneo, e ribadisce quel senso di vittimismo che accompagna tante narrazioni del nazionalismo italiano che si adopera a resuscitare (non a caso applica pedissequamente alle Fosse Ardeatine il mantra di destra sulle foibe – che come sappiamo non funziona davvero neanche per quel crimine lì). Ma le sue parole sono comunque preziose: ci aiutano a capire che le Fosse Ardeatine sono ancora una memoria insopportabile e vergognosa per gli eredi dei carnefici. Per generazioni, hanno sparso menzogne cercando di infangare i partigiani e giustificare i nazisti; adesso Meloni prova maldestramente a disinnescarla in nome dello ius sanguinis della nazione. Il giornale clandestino trovato sotto il letto dagli assassini di Bruno Bucci si chiamava “Italia Libera”. Perché è vero, di Italia si trattava; ma l’aggettivo non è meno importante del nome – di che Italia parliamo? È vero, i partigiani e gli antifascisti erano italiani; i partigiani si definivano «patrioti» ben prima che di questa parola si impadronissero i fratelli d’Italia. Ma l’Italia che volevano, la patria a cui appartenevano, era un’altra. * Fonte/autore: Alessandro Portelli, il manifesto   ph by Formkurve92 (Diskussion) 23:54, 21. Jul. 2017 (CEST), CC BY-SA 3.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/deed.en>, via Wikimedia Commons

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La via del fascista Azzariti intitolata alla bimba della Shoah https://www.micciacorta.it/2015/10/la-via-del-fascista-azzariti-intitolata-alla-bimba-della-shoah/ https://www.micciacorta.it/2015/10/la-via-del-fascista-azzariti-intitolata-alla-bimba-della-shoah/#comments Thu, 08 Oct 2015 14:21:09 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=20584 Resta ancora più imbarazzante, a questo punto, il mutismo della Corte costituzionale. Dove il busto del presidente del Tribunale della razza campeggia ancora del corridoio nobile. Protetto da un silente cameratismo castale

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La storia ha dato ragione a lei, Luciana Pacifici, vittima della Shoah. Sarà dedicata a lei, a Napoli, la via in precedenza di Gaetano Azzariti, già presidente del Tribunale della razza. A lla fine la storia ha dato ragione a lei, la piccola Luciana. Il prossimo 17 novembre, dopo una battaglia durata anni e sposata dal sindaco Luigi de Magistris, la targa pomposamente dedicata nel 1970 a Gaetano Azzariti, il presidente del Tribunale della razza fascista riciclato incredibilmente dalla lavanderia togliattiana al punto di entrare anni dopo nella Corte costituzionale per diventarne addirittura il presidente, sarà buttata giù a martellate, raccolta in un secchio di plastica grigia, scaricata tra i calcinacci da qualche parte. E lì, nel cuore di Napoli, vicino all’Università Federico II, la strada verrà dotata finalmente di una nuova insegna: via Luciana Pacifici. Che la scheda della banca dati «I nomi della Shoah italiana» del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, corredata da una foto della bimba con un vestitino bianco a fiori, descrive così: «Luciana Pacifici, figlia di Loris Pacifici e Elda Procaccia, nata in Italia a Napoli il 28 maggio 1943. Arrestata a Cerasomma (Lucca). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah». Furono 558 i bambini sotto i dieci anni rastrellati nell’autunno 1943. Non uno, eccetto le gemelline Andra e Tatiana Bucci salvate solo dalla buona sorte, tornò vivo. Non uno. Esistono, su quella nuova retata di Erode, testimonianze terribili. Come quella raccolta nel libro Roma Clandestina da Fulvia Ripa di Meana, che aveva visto inorridita un camion carico di bambini in piazza di San Lorenzo in Lucina: «Ho letto nei loro occhi dilatati dal terrore, nei loro visetti pallidi di pena, nelle loro manine che si aggrappavano spasmodiche alla fiancata del camion, la paura folle che li invadeva, il terrore di quello che avevano visto e udito, l’ansia atroce dei loro cuoricini per quello che ancora li attendeva. Non piangevano neanche più quei bambini, lo spavento li aveva resi muti...». Hanno scelto lei, Luciana, perché era nata lì, a poche decine di metri dall’attuale via Azzariti condannata alla rimozione. Aveva pochi mesi, quella bambina, quando fu arrestata, cinque giorni dopo l’infame circolare del 30 novembre 1943 firmata dal ministro dell’Interno repubblichino, Guido Buffarini Guidi. Dispaccio che dimostra le pesantissime responsabilità fasciste: «Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento... Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche...» Caricata sul treno piombato diretto in Polonia, Luciana morì di stenti, pare, nel viaggio verso Auschwitz. Dove furono decimati il papà Loris e la mamma Elda, che avevano trentaquattro e venticinque anni, il nonno e la nonna materni Amedeo e Jole, il fratello della mamma Aldo... In quei giorni Azzariti si era già riciclato. Dopo esser stato il burocrate di fiducia di Mussolini al ministero della Giustizia al punto di essere premiato con la presidenza del cosiddetto Tribunale della razza (delegato a distinguere tra quelli che potevano essere sommersi e quelli che dovevano essere salvati spesso perché pagavano somme enormi e perciò definito da Renzo de Felice come l’espressione «immorale e antigiuridica» di un potere fondato «sull’arbitrio più assoluto...») il magistrato era riuscito infatti a saltare sul carro del governo Badoglio. Per poi offrirsi come braccio destro a Palmiro Togliatti. Grazie al quale riuscì a smacchiarsi fino a ripresentarsi bel bello, ossequiato e riverito, tra gli alti magistrati d’Italia del Dopoguerra. Il primo granello che ha fatto venire giù la slavina lo fece rotolare un paio di anni fa il giornalista e storico della Shoah Nico Pirozzi, con un articolo sul Mattino dove denunciava il suo scandalizzato stupore per la scoperta di quella targa stradale. Resta ancora più imbarazzante, a questo punto, il mutismo della Corte costituzionale. Dove il busto del presidente del Tribunale della razza campeggia ancora del corridoio nobile. Protetto da un silente cameratismo castale di giorno in giorno più insopportabile...

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