Jesús Santrich – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Fri, 30 Aug 2019 08:01:25 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Colombia, la dissidenza delle FARC annuncia: «Siamo costretti a riprendere le armi» https://www.micciacorta.it/2019/08/colombia-la-dissidenza-delle-farc-annuncia-siamo-costretti-a-riprendere-le-armi/ https://www.micciacorta.it/2019/08/colombia-la-dissidenza-delle-farc-annuncia-siamo-costretti-a-riprendere-le-armi/#respond Fri, 30 Aug 2019 08:01:25 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25631 Colombia. Si spacca ufficialmente il partito erede della guerriglia. «Accordi di pace traditi dallo Stato». L’annuncio dato dall’ex numero 2 Ivan Márquez, che fu protagonista dei negoziati

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Che la dissidenza delle Farc avesse deciso di riprendere la lotta armata era già noto da tempo, ma ora è arrivata anche la conferma ufficiale: «Annunciamo al mondo che è iniziata una nuova Marquetalia (il luogo di nascita delle Farc, ndr) nell’ottica del diritto universale che garantisce a tutti i popoli del mondo di sollevarsi in armi contro l’oppressione», ha dichiarato in un video diffuso ieri l’ex numero due dell’organizzazione guerrigliera Iván Márquez, il quale aveva fatto perdere le sue tracce da più di un anno, rientrando in clandestinità. Accanto a lui, un’altra ventina di leader armati, tra cui si distinguono Hernán Darío Velásquez, “El paisa” e Jesús Santrich, il leader non vedente che era stato arrestato nell’aprile del 2018 con l’accusa di aver partecipato a un traffico di cocaina (ritenuta dai più una montatura), rimesso in libertà il 30 maggio scorso dopo un lungo braccio di ferro istituzionale e, dopo aver persino occupato il suo seggio al Congresso ribadendo il proprio impegno per la pace, scomparso nel nulla il 30 giugno. «NON SIAMO MAI STATI VINTI o sconfitti ideologicamente. Per questo la lotta continua. La storia scriverà nelle sue pagine che siamo stati obbligati a riprendere le armi», ha aggiunto Márquez, che è stato, paradossalmente, il principale negoziatore degli accordi di pace tra governo e guerriglia firmati nel 2016 a Cuba. Di sicuro, con l’annuncio di ieri, diffuso dalla zona del fiume Inírida, nella regione amazzonica, una nuova scure si abbatte sul già minacciatissimo processo di pace, riducendo sempre più al lumicino la speranza, a cui tanti si erano aggrappati, che con la firma dell’accordo tutto potesse prendere una direzione nuova nella storia della Colombia. Tre anni dopo, di quella speranza non rimane quasi più traccia, soffocata dalla mancata applicazione dell’accordo e dal massacro sistematico di leader sociali e membri dell’ex guerriglia. Finché persino l’unica conquista che sembrava certa – quella della fine delle ostilità – non è stata di nuovo, e ora definitivamente, messa in discussione. LE AVVISAGLIE, del resto, non erano mancate, a cominciare dalla ripetuta autocritica di Iván Márquez rispetto al «grave errore» di «aver consegnato le armi a uno stato traditore confidando nella sua buona fede». Dichiarazioni che avevano evidenziato un’insanabile spaccatura all’interno del nuovo partito Farc (Fuerza alternativa revolucionaria del común), il cui leader, Rodrigo Londoño (Timochenko), aveva risposto a muso duro, accusando Márquez di compromettere «l’autorità morale» del partito e rinfacciandogli di aver rinunciato al suo seggio in parlamento nel momento in cui ce n’era più necessità: «Non possiamo rischiare di perdere quanto ottenuto fino a oggi, per quanto complesso sia il compito che ci sta di fronte». E, ora, a spaccatura ormai consumata, a Londoño non resta che ricordare come «le grandi maggioranze» continuino a impegnarsi a favore dell’accordo «malgrado ostacoli e difficoltà», perché, ha detto, «siamo convinti che il cammino di pace sia quello giusto». HA COMMENTATO L’ANNUNCIO di ieri anche il guerrafondaio per eccellenza, l’ex presidente Álvaro Uribe, il cui partito, il Centro democratico del presidente Duque, si era riproposto in campagna elettorale di «fare a pezzi» l’accordo, per poi “limitarsi” a disattenderlo totalmente nella pratica: «Il paese deve essere cosciente che un processo di pace non c’è stato: si è avuto solo un indulto per alcuni responsabili di delitti atroci a un alto costo istituzionale», ha scritto su Twitter l’ex presidente, da sempre convinto che la pace dovesse nascere dall’annientamento militare delle Farc. Ed è la sua linea, in fondo, ad apparire vincente. Con l’unica differenza che la ex guerriglia, sopravvissuta a più di 50 anni di conflitto armato, l’annientamento lo sta rischiando in quelli che dovrebbero essere tempi di pace: dalla firma dell’accordo tra le Farc e il governo, sono circa 130 gli ex combattenti assassinati. Né va meglio ai leader sociali e ai difensori dei diritti umani: oltre 700 quelli caduti dal 2016, tra cui circa 160 dirigenti indigeni, più di 90 dei quali uccisi a partire dall’avvento al potere di Iván Duque. * Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO

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Colombia senza pace: «Dal 2016 uccisi 550 leader sociali e 150 ex guerriglieri» https://www.micciacorta.it/2019/07/colombia-senza-pace-dal-2016-uccisi-550-leader-sociali-e-150-ex-guerriglieri/ https://www.micciacorta.it/2019/07/colombia-senza-pace-dal-2016-uccisi-550-leader-sociali-e-150-ex-guerriglieri/#respond Thu, 11 Jul 2019 09:06:28 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=25539 Intervista al gesuita e attivista Javier Giraldo: «Dal 2016 uccisi 550 leader sociali. Il presidente Duque boicotta il processo di pace, non applicando l’accordo e le riforme previste. Così molti ex combattenti Farc, in pericolo di vita e delusi, hanno ripreso le armi»

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Con la firma nel 2016 dell’accordo di pace tra il governo e le Farc, tutto sarebbe potuto cambiare nella storia della Colombia. Benché fossero risultate subito chiare le contraddizioni legate al processo, la speranza di una pace non funzionale agli interessi dei dominatori di sempre era comunque molto profonda. Tre anni dopo quella speranza è ridotta al lumicino, soffocata dalla mancata applicazione dell’accordo e dal massacro sistematico di leader sociali e membri dell’ex guerriglia (il 9 luglio ne sono stati uccisi altri due). Persino l’unica conquista che sembrava certa – la fine delle ostilità – appare di nuovo messa in discussione, di fronte alla decisione disperata di tanti ex combattenti traditi dal governo di ritornare in clandestinità. Che sia stata proprio questa la scelta di Jesús Santrich – arrestato ad aprile 2018 con l’accusa di aver partecipato a un’operazione di traffico di cocaina e rimesso in libertà il 30 maggio scorso – se lo stanno chiedendo tutti in Colombia. Il leader delle Farc, che l’11 giugno aveva occupato il suo seggio al Congresso riaffermando il suo impegno per la pace, ha fatto perdere le sue tracce il 30 giugno, non presentandosi neppure all’udienza del 9 luglio alla Corte suprema (da cui era stato convocato per rispondere dell’accusa di narcotraffico). Di tutto ciò abbiamo parlato con il gesuita Javier Giraldo, del Centro de Investigación y Educación Popular, impegnato da più di 30 anni nella difesa dei diritti umani nel paese. Come sta reagendo il governo di Iván Duque allo sterminio in atto contro leader sociali ed ex combattenti? Non adotta alcuna misura e non mostra alcun interesse. Dalla firma dell’accordo di pace nel 2016, sono stati assassinati secondo i nostri calcoli circa 550 leader sociali e 150 ex combattenti delle Farc. E malgrado le proteste delle organizzazioni popolari, gli omicidi proseguono incessantemente. Ogni settimana si registrano nuovi casi.
Il gesuita Javier Giraldo
Non è vero che il paramilitarismo è stato smantellato. Nella prima tappa del conflitto che prende il via in Colombia negli anni ’60, erano direttamente i militari, con il viso scoperto, alla luce del giorno senza timore di punizioni, ad applicare ogni forma di repressione, tortura e assassinio. Era questa la politica ufficiale dello Stato. È negli anni ’80, quando le denunce della comunità internazionale cominciano a farsi sentire, che entrano in scena i paramilitari, dalle Águilas Negras al Clan del Golfo, presentandosi con un’identità collettiva al di fuori dello Stato. E agiscono indisturbati fino all’inizio del nuovo millennio, quando il governo avvia una campagna diretta a cancellare lo stesso termine «paramilitari», nel tentativo di convincere la società che tali gruppi non siano in alcun modo legati ai militari, né allo Stato, né alle imprese, ma che si tratti solo di delinquenza comune, di bande criminali. La situazione non è migliorata con la firma dell’accordo di pace. Dalla firma dell’accordo nel 2016, gli autori degli assassinii si muovono in un anonimato totale: si nascondono dietro un cappuccio, arrivano in motocicletta senza targa, sparano e si allontanano e non scrivono neppure un documento di rivendicazione. Nessuno li può vedere, nessuno li può identificare e nessuno sa perché hanno ucciso. Solo quando iniziano le indagini si scopre che le vittime svolgevano tutte un’attività contraria agli interessi del governo, denunciando la condotta di una multinazionale o di un’impresa mineraria, rivendicando la terra che era stata loro tolta o organizzando la gente. Si sta ripetendo in altra forma quello che è stato il genocidio politico contro l’Unione patriottica negli anni ’80? Prima la persecuzione era diretta contro la sinistra politica, come l’Unione patriottica, o contro i sindacati. Oggi è più ampia. La maggior parte delle vittime appartiene all’Acción comunal, un modello di organizzazione di base attivo soprattutto nelle aree rurali, nei piccoli villaggi. Che ne sarà dell’accordo di pace, soprattutto di fronte al sistematico assassinio di ex combattenti? In campagna elettorale, il partito di Duque, il Centro democratico, aveva annunciato che avrebbe «fatto a pezzi» l’accordo. Una volta eletto, il presidente ha un po’ moderato i toni, assicurando che sarebbero stati cambiati solo alcuni punti. In realtà, il boicottaggio nei confronti del processo di pace è più di tipo passivo, nel senso che non si sta applicando quanto era stato accordato. Nessuna delle riforme sociali previste, per esempio, è stata portata avanti. Questo ha fatto sì che molti ex combattenti, delusi, abbandonati a se stessi ed esposti al pericolo di perdere la vita, abbiano ripreso la via delle armi, formando quella che viene chiamata la dissidenza delle Farc. E anche alcuni leader dell’ex guerriglia, compreso il negoziatore principale degli accordi, Iván Márquez, sono tornati in clandestinità. Qual è la sua valutazione del caso Santrich? E come va interpretata la sua scomparsa? Sono convinto che sia una montatura: le accuse nei suoi confronti, provenienti dalla Dea, non hanno alcun fondamento. Riguardo alla sua scomparsa, la versione di quanti gli erano più vicini è che, mentre si trovava in uno spazio di reinserimento degli ex combattenti nel dipartimento di Cesar, alla frontiera con il Venezuela, l’intelligence bolivariana lo avebbe avvertito di un tentativo di ucciderlo e gli avrebbe consigliato di nascondersi. Alcuni dicono che si trovi già in Venezuela. C’è speranza per la Colombia? Credo ci siano piccole finestre di speranza, a partire da quella legata alla crescita dei movimenti di base, dalle organizzazioni indigene a quelle contadine. Per quanto la protesta sia stata sempre molto repressa in Colombia e continui a esserlo, ultimamente il paese ha assistito a una grande quantità di scioperi e manifestazioni. E il prossimo 26 luglio è prevista una marcia nazionale in difesa della pace e contro l’assassinio dei leader sociali. * Fonte: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO

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