legge 194 – Micciacorta https://www.micciacorta.it Sito dedicato a chi aveva vent'anni nel '77. E che ora ne ha diciotto Wed, 23 Nov 2016 13:56:36 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.4.15 Anni ’70. Amore e politica a Bergamo https://www.micciacorta.it/2016/11/22695/ https://www.micciacorta.it/2016/11/22695/#respond Wed, 23 Nov 2016 13:56:36 +0000 https://www.micciacorta.it/?p=22695 Anticipazioni. Pubblichiamo la prefazione al libro di Carlo Simoncini «Sai dove trovarmi», in uscita per Sestante edizioni

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Quando cominci a leggere Sai dove trovarmi potresti pensare che si tratti dell’ennesimo «amarcord», una nostalgia di reduci. E invece non è affatto così: perché in questo romanzo nessuno degli amici che si ritrovano nella casa di campagna di Alessandro e Stefania ha l’aria di esserlo; e poi, infatti, scopri che, sia pure in forme non esplicitamente politiche, tutti hanno continuato ad occuparsi della società in cui vivono (che è poi proprio l’essenza della politica); e capisci che la storia raccontata nel libro non è affatto l’agiografico ritorno, romantico e un po’ melanconico, alle spensieratezze della gioventù in cui così spesso cade chi comincia ad invecchiare. No, questo libro è la cronaca – una bella cronaca – di un amore, dentro un contesto che ha la precisione di un saggio storico: su un momento particolare della storia del nostro paese, gli anni ’70 ; su un’esperienza molto particolare come è stato il Manifesto-Pdup; su una città particolarissima, Bergamo, provincia bianchissima dove, tuttavia, si può dire abbia avuto sue radici importantissime un singolare movimento politico, piccolo ma culturalmente prestigioso, nato, curiosamente, dall’incontro di un gruppo di giovani ex Dc e di un gruppo di comunisti, prevalentemente operai. L’uno e l’altro particolarmente intelligenti. È OVVIO CHE IL RACCONTO di Carlo Simoncini è in modo speciale appassionante per chi ricorda la sede del Pdup di Bergamo a via Quarenghi, per avere vissuto in prima persona i dibattiti che la animavano e le lotte che vi si organizzavano. E però il libro – proprio per l’accuratezza dell’analisi storica che fa da sfondo alla vicenda sentimentale di Lorenzo e Greta – riveste un grande interesse generale come squarcio su un tempo difficile ma bellissimo, quegli anni ’70 in cui tanta parte di una generazione venne coinvolta nell’affascinante tentativo di cambiare il mondo. E perché dà finalmente conto di cosa sia realmente stato quel movimento nato nel ’68 (e che in Italia durò più di un decennio), solitamente ridotto dalla vulgata corrente a nulla più che un moto antiautoritario, «sesso droga e rock and roll». SCORRENDO LE PAGINE di questo libro torna alla memoria di cosa siano state realmente fatte le giornate dei «sessantottini», un po’ di tutti, ma certo in particolare degli «pduppini», che sono stati parte di una vicenda un po’ particolare, perché il Manifesto nacque dall’incontro di due generazioni diverse e la contaminazione fu utile ad ambedue. (Mi hanno molto divertita gli accenni ai nostri ricorrenti litigi con Lotta Continua, alla disgraziata vita delle nostre coalizioni con gli altri gruppi della «nuova sinistra»). Colpisce, intanto, l’attenzione alle lotte operaie, per gli studenti la vera e propria scoperta della fabbrica, di quel lavoro duro e sfruttato che i figli del ceto medio avevano sempre ignorato. E di qui la maturazione di un’idea di libertà meno meschina di quella (ahimé) oggi nuovamente corrente: che non poteva essere individuale, ma – come ci aveva spiegato Marx e anche il contemporaneo Marcuse – qualcosa che nasce o muore per tutti, a seconda di quali sono i rapporti sociali di produzione. E poi – ecco un altro tratto di quell’epoca – la scoperta che le riunioni potevano farsi anche in parrocchia «perché i preti non sono più tutti come quelli di una volta». LA QUESTIONE POLITICA che emerge con più nitidezza e ricchezza di dettagli è la vicenda dell’aborto, anche perché la protagonista della storia d’amore è un medico che opera nei reparti ospedalieri di ginecologia. Viene così riportata alla luce non solo la storia del referendum, assai più conosciuta, ma quella dell’impegno oscuro e difficilissimo che ci fu per far rispettare la legge, la famosa 194, che non ci era del tutto piaciuta per i sotterfugi che consentiva ai medici obiettori di coscienza (o sedicenti tali) e per i limiti all’autonomia delle donne che continuava ad imporre. E che però le compagne, e i compagni, si impegnarono fino in fondo a far attuare perché rappresentava comunque una conquista. Questa dei comitati di vigilanza per l’applicazione della legge è una storia poco nota e che qui viene finalmente ricordata. E le interruzioni del testo narrativo lasciate alla penna di Greta che la racconta in prima persona, aprono uno squarcio prezioso su quel periodo. Così come aiutano a ricordare le diffidenze, quando non anche il vero contrasto, che si determinò nelle organizzazioni di sinistra all’irrompere in quegli anni del «nuovo femminismo». Un terremoto in particolare nel Manifesto-Pdup che per primo – e inizialmente irriso dalle altre formazioni di sinistra – ne riconobbe la valenza e cui aprì le porte delle proprie sedi e le pagine dei propri giornali. Il primo articolo femminista – Il maschio come valore – fu pubblicato addirittura nel numero 4 della rivista, nel 1969. Ma poi la spinta al separatismo si fece coì forte che coinvolse anche una gran parte delle nostre compagne. RICORDO LA LETTERA pubblicata sul quotidiano nel 1976 a firma del collettivo femminista di Bologna (molte firme ma non di tutte le compagne) in cui si diceva: «Non restituiamo la tessera perché questo implicherebbe una valutazione negativa del Pdup che invece è un buon partito, però non la rinnoviamo perché la sua pratica non è conciliabile con la nostra pratica». Rossana Rossanda commentò allora a latere sulla stessa pagina del giornale dicendo che capiva il valore di quella proposta estrema e, tuttavia, aggiungeva: «Penso che abbiate torto». E poi ci sono gli episodi in cui compare Eliseo Milani – un comizio in un posto ostile, una cena fra amici, una discussione. Riportano tutti con vivezza alla memoria questo grande bergamasco, militante arrivato dalla concreta vita operaia al comunismo (prima al Pci, poi, per via del suo coraggio politico, al Manifesto-Pdup ), di cui Lucio Magri quando morì ebbe a scrivere con ragione che egli rappresentava: «un pezzo di storia comunista italiana più di tanti verbali di direzione sempre volutamente elusivi». SEGUI SUL MANIFESTO

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